Non esistono biomarcatori non invasivi affidabili ed efficaci per l’endometriosi, pertanto attualmente la diagnosi di endometriosi richiede la visualizzazione diretta delle lesioni con la diagnostica per immagini o durante l’intervento chirurgico, oppure ancora, da parte di medici esperti, la valutazione di alcuni sintomi altamente predittivi come i cicli abbondanti, il dolore mestruale e il dolore alla penetrazione profonda.
Allo stesso modo, non esistono strategie di gestione risolutive, anche se il silenziamento ovarico tramite contraccezione ormonale continuativa e interventi chirurgici eseguiti nei centri di riferimento consentono un buon controllo dei sintomi e il recupero di una soddisfacente qualità di vita. Anche la diagnosi precoce, volta a intercettare la patologia nel “primo tempo” della sua storia naturale, ossia quando le lesioni non sono ancora visibili con gli attuali mezzi di indagine ma danno già segno di sé attraverso i sopracitati sintomi, è decisiva per determinare la prognosi e orientare quindi il futuro di salute della paziente.
Sebbene molteplici fattori genetici, ambientali e legati allo stile di vita sembrino influenzare lo sviluppo dell’endometriosi, l’infiammazione cronica è una caratteristica distintiva associata allo sviluppo e alla progressione della malattia. I dati mostrano inoltre che l’endometriosi si manifesta spesso in concomitanza con malattie autoimmuni, il che comprova ulteriormente come la disfunzione immunitaria contribuisca con un elevato grado di probabilità alla patogenesi del disturbo.
Ciò che resta da identificare nel sistema immunitario innato e adattativo sono gli specifici fattori scatenanti dell’endometriosi e i meccanismi patogenetici alla base della malattia.





