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Dopo la guerra: il dolore infinito, e l’ombra dell’oblio

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Dopo la guerra: il dolore infinito, e l’ombra dell’oblio
24/05/2023

Tratto da:
Wisława Szymborska, La fine e l’inizio
In: La gioia di scrivere – Tutte le poesie 1945-2009, Adelphi, 2009

Guida alla lettura

Nella lirica «La fine e l’inizio», pubblicata nel 1993 all’interno della raccolta che da essa prende il nome, la poetessa polacca Wisława Szymborska descrive con schiettezza quasi brutale ciò che attende una popolazione colpita dalla guerra dopo la fine del conflitto: non la pace immediata e la ritrovata serenità che, spettatori distratti, immaginiamo seguire l’armistizio, ma un lungo cammino di pulizia e ricostruzione fra macerie e cadaveri, cenere e sangue.
Nessuna illusione, tuttavia, sulla nostra partecipazione al fluire del tempo del lutto: il lavoro di ricostruzione «non è fotogenico», può richiedere anni; nel frattempo, «tutte le telecamere sono già partite per un’altra guerra». I media sono irrequieti, superficiali, e il mondo dimentica: ben presto l’interesse lascerà il posto a un malcelato senso di noia; prima o poi, insieme ai rottami, anche i ricordi corrosi dalla ruggine verranno abbandonati tra i rifiuti; infine, «chi sapeva / di che si trattava, / deve far posto a quelli / che ne sanno poco. / E meno di poco. / E infine assolutamente nulla». Parole terribili che ricordano quelle di Liliana Segre sullo sterminio del suo popolo: «La gente non ne può più di sentir parlare di ebrei… Fra pochi anni sulla Shoah ci sarà, nei libri di storia, appena una riga».
Ci sentiamo interrogati: che cosa ricordiamo, veramente, dei conflitti che hanno segnato la storia? Sappiamo quali circostanze profonde e immediate li hanno scatenati? Ne conosciamo le conseguenze sull’assetto politico degli stati, sulla storia delle idee, sugli equilibri economici? E soprattutto: abbiamo idea della sofferenza che hanno provocato e che talora, come per i sopravvissuti sfigurati di Hiroshima, è durata anni, decenni – e per qualcuno, i più piccoli di allora, i più indifesi, dura ancor oggi?
«Ktoś musi», qualcuno deve, ripete Wisława Szymborska con ritmo implacabile e uniforme: qualcuno deve occuparsi di liberare le strade, seppellire i morti, rifare le case distrutte. Ma in un futuro nemmeno troppo lontano, qualcuno dovrà starsene disteso «sull’erba che ha ricoperto / le cause e gli effetti», a fissare pigramente il cielo: «ktoś musi», quel verbo ripetuto ancora una volta ci ricorda che dimenticare è inevitabile, fa parte della nostra natura di esseri effimeri e incapaci di vera memoria.
Quell’erba calpestata senza pensarci è il segno della fondamentale ingiustizia del nostro mondo umano, è l’atto d’accusa che ci incatena a responsabilità individuali e collettive sempre uguali, è l’immagine che spiega perché il male grande, quello della Storia, sembra prevalere sempre, come oggi in Ucraina, e in tanti altri luoghi del nostro pianeta, a schiacciare la vita e i suoi sogni. Consapevolezza, chiarezza interiore, coraggio, generosità: a questi valori siamo dunque chiamati ogni giorno, per tenere viva quell’erba e con essa le nostre stesse speranze in un futuro meno crudele, nel quale tutti abbiano la possibilità di vivere in dignità e pace.

La parola dell'Autrice

Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.

C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non è fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C’è chi con la scopa in mano
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.

Ma presto lì si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po’ noioso.

C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

Biografia

Wisława Szymborska nasce a Bnin, attualmente parte di Kornik, nei pressi di Poznań, il 2 luglio 1923. Fra il 1941 e il 1943 lavora come impiegata alle ferrovie per evitare la deportazione in Germania. Comincia a scrivere le prime poesie. La seconda guerra mondiale segna la vita della giovane poetessa, costretta a studiare clandestinamente.
Nel 1945 si iscrive alla facoltà di Letteratura presso l’Università Jagellonica di Cracovia, passando a successivamente a Sociologia, che abbandona dopo soli tre anni, motivando così la rinuncia: «Nel 1947 la sociologia diventò mortalmente noiosa, si doveva spiegare tutto con il marxismo. Ho lasciato l’università perché già da allora dovevo guadagnarmi da vivere».
Nel 1954 esce il volumetto di poesie “Domande poste a me stessa”. Compie un viaggio in Bulgaria nell’ambito di scambi culturali, che si rivela fonte di ispirazione.
Nello stesso anno riceve il Premio della Città di Cracovia. Intanto, ha la fortuna di incontrare il saggista e poeta Czesław Miłosz, futuro Premio Nobel per la letteratura nel 1980, che la coinvolge nella vita culturale della capitale polacca. Le sue liriche sono tradotte in molte lingue europee, ma anche in arabo, ebraico, giapponese e cinese. E alcune sue raccolte sono pubblicate in Germania e negli Stati Uniti. Pietro Marchesani, che ha curato l’Introduzione del libro (Adelphi) dal quale abbiamo estratto la poesia “La fine e l’inizio”, ha tradotto in italiano la maggior parte della sua opera poetica, la quale si è nutrita anche di un’intensa attività politica, sempre più forte negli anni Ottanta, durante i quali si impegna a favore del sindacato Solidarnosc di Lech Wałęsa.
Nel 1996 viene insignita del Premio Nobel per la Letteratura. La motivazione che accompagna il premio: «Per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà».
Nel 2001 diventa membro dell’American Academy of Arts and Letters. Nel 2002 esce “Attimo”, primo volume di poesie dopo il Nobel, che dà il titolo anche a una lirica. La sua prima raccolta di versi era uscita nel 1945, “Cerco la parola”. L’ultima raccolta, “Dwukropek” (Due punti), viene pubblicata in Polonia il 2 novembre 2005: uno strepitoso successo, oltre quarantamila copie vendute in meno di due mesi.
Dopo un lungo periodo di malattia, il 1º febbraio 2012 Szymborska muore nel sonno nella sua casa a Cracovia.
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