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Di fronte alla casa con le statue

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17/11/2010

Tratto da:
Borís Pasternàk, Il dottor Živago, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 239-240

Selezione del brano, guida alla lettura e biografia a cura di Emanuela Aliquò

Guida alla lettura

Il brano che proponiamo, tratto dal celebre romanzo di Boris Pasternàk (che racconta la storia di un giovane medico-poeta per un periodo che, a partire dai primi del Novecento, copre i trent’anni cruciali della Russia), parla dell’addio tra Jurij Andrèeviĉ Živago e Larisa Fëdorovna Antipov, amanti e rispettivamente protagonista e personaggio femminile principale dell’opera.
Siamo tra i boschi degli Urali e il dottor Živago, percorrendo quei luoghi per l’ennesima volta, all’imbrunire, sta per tornare a casa, a Varýkino; stavolta con l’intenzione di confessare a Tonja il proprio tormento.
Solo pochi mesi prima, nella sala della biblioteca comunale della non distante Jurjatin, illuminata da un bel sole di primavera, Jurij Andrèeviĉ, vista, di scorcio, la Antipov (la crocerossina incontrata nell’ospedale militare) e, copiato il curioso indirizzo (“Via Kupèĉeskaja, di fronte alla casa con le statue”) dalla richiesta dei volumi da lei consultati, si decideva, alcuni giorni dopo, di andarla a cercare.
Poi i loro incontri intensi e proibiti tra paesaggi, condivisioni, grande affinità; quindi la prova cocente del distacco: schiacciato dal peso della colpa per aver tradito e ingannato la moglie, una mattina, mentre fuori piove, Jurij comunica a Lara la difficile decisione di porre fine alla loro storia; lei, incurante di sé, si preoccupa solo di tranquillizzare lui, ma il suo dolore, messo da parte e tenuto a distanza, come se non la riguardasse, si fa visibile attraverso le lacrime inconsapevoli e silenziose che scorrono sul suo volto, immobile e quasi inanimato. Ancora una volta, come in altre memorabili pagine di questo capolavoro, la Natura si compenetra all’uomo: con un linguaggio figurato efficacissimo, le lacrime di Lara (spogliatasi della naturalità del proprio sentire) sono paragonate alla pioggia del cielo che, come sostanza “altra”, scivola sui volti di pietra delle statue della inquietante casa grigia di fronte.
Molteplici i volti del dolore: c’è il dolore di Živago, il quale, prostrato dal rimorso per il male agito e combattuto (il problema complesso e sempre attuale dell’agire morale) tra il profondo amore per Lara e i valori altrettanto importanti della fedeltà coniugale, della memoria, dell’integrità, abbraccia, con sofferenza, la decisione ritenuta giusta e prioritaria; c’è il dolore di Tonja, che non sa e che non riesce a darsi pace per l’inquietudine del marito; c’è l’immagine struggente, generosa e avvolgente di Lara (che, per tanti aspetti, sembra riprodurre il modello della donna russa tradizionale), il cui dolore silenzioso del perdere (“il loro era un grande amore” – scrive Pasternàk) è superato dall’eroico desiderio del dare e la cui docilità nei confronti del destino trova nella forza d’animo, e nella voglia di ricominciare sempre, il più potente e disarmante contrappeso.
Non possiamo infine non accennare al valore delle lacrime che, specie nella sofferenza, si rivelano preziose per alleggerire, proteggere e rigenerare l’anima, nonché alla forza dei grandi sentimenti che, oggi come allora, continuano ad essere il motore della vita.
Erano passati più di due mesi dal giorno in cui, in uno dei suoi viaggi in città, non era tornato a casa la sera, ed era rimasto presso Larisa Fëdorovna. Aveva detto che si era trattenuto in città per affari e che aveva pernottato nella locanda di Samdevjatov. Da tempo dava del tu alla Antipov e la chiamava Lara, mentre lei lo chiamava Živago. Ingannava Tonja e quello che le nascondeva era sempre più serio e più grave.
Era inconcepibile. Amava Tonja fino alla venerazione. La pace della sua anima, la sua tranquillità gli erano più cari di ogni cosa al mondo. Il suo onore gli stava più a cuore che non a lei stessa o al padre. Per difendere l’orgoglio ferito di lei, avrebbe ucciso con le proprie mani l’offensore. Ed ecco, quell’offensore era lui, adesso.
A casa, tra i familiari si sentiva come un delinquente non ancora scoperto. Il fatto che essi non sapessero nulla, la loro consueta affettuosità lo straziavano. Durante una conversazione, d’un tratto si ricordava della propria colpa e impietriva, incapace di ascoltare e di capire quel che si diceva intorno. (…)
Sotto il peso della coscienza inquieta si sentiva esausto.
Ma ormai era finita: aveva deciso di tagliare quel nodo. Tornava a casa con la ferma decisione di confessare tutto a Tonja, di chiederle perdono e non vedere più Lara.
Ma non era così semplice. Con Lara gli sembrava di non essere stato abbastanza chiaro, di non averle fatto capire che intendeva rompere definitivamente, per sempre. Quella mattina stessa le aveva confidato la sua decisione di confessare tutto a Tonja, aggiungendo anche che sarebbe stato impossibile vedersi ancora in seguito, ma ora aveva la sensazione di averlo fatto in modo troppo blando, non abbastanza deciso.
Larisa Fëdorovna non aveva voluto amareggiarlo con scene penose. Capiva quanto egli soffrisse già per suo conto e aveva perciò cercato di accogliere quella decisione con la maggior calma possibile. Il loro colloquio si era svolto nella stanza vuota degli antichi proprietari, che dava sulla via Kupèĉeskaja, e che Larisa Fëdorovna non abitava. Lungo le guance di Lara colavano lacrime silenziose, di cui ella non si accorgeva, come la pioggia che cadeva in quel momento sui volti di pietra delle statue nella casa di fronte. Ripeteva sinceramente, senza arie di generosità, con voce sommessa: «Fa’ come credi. Non pensare a me. Io potrò farcela».
Non sapeva di piangere e non si asciugava le lacrime.

Biografia

Borís Leonidoviĉ Pasternàk nasce a Mosca nel 1890. Il padre Leonid, affermato pittore, e la madre Rozalija Kaufman, apprezzata pianista, determinano i primi interessi artistici del giovane Borís, attratto inizialmente dalla pittura e poi, per un periodo più lungo, dalla musica. Su consiglio del compositore Alexander Skrjabin studia composizione, ma nel 1909 s’iscrive alla Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università di Mosca. Nel 1912, in Germania, segue le lezioni di Hermann Cohen. Laureatosi nel 1913, lavora inizialmente come precettore privato, mentre frequenta i circoli e i gruppi letterari del tempo.
Il suo esordio come poeta avviene nel gruppo futurista di Centrifuga, ma la sua poesia, pur legata all’esperienza delle avanguardie, mantiene un saldo legame con la tradizione della lirica filosofica e simbolista di Lermontov, Tjutĉev e Rilke. I primi volumi di versi pubblicati, quasi completamente ignorati dalla critica, sono “Il gemello tra le nuvole” (1914) e “Oltre le barriere” (1917). Solo con le poesie “Mia sorella la vita”, scritte nel 1917 e pubblicate nel 1922, egli fornisce una piena manifestazione dell’originalità della sua arte complessa, ricca di simboli e di metafore, di associazioni di immagini apparentemente divergenti, affermando quella poetica di unità fra poesia e natura che resta una delle sue maggiori caratteristiche. Nel 1923 pubblica le poesie “Temi e variazioni”, insieme ad alcuni racconti che segnano gli inizi della sua carriera di narratore.
Nello stesso anno entra nel gruppo Lef diretto da Majakovskij, col quale rimane legato solo per qualche tempo, data la sua innata riluttanza a ogni forma di “inquadramento”. Sono tuttavia gli anni in cui s’impegna anche sul fronte politico e risultato di tale sforzo sono vari poemi di ambizione epica: “L’anno 1905” (1926-1927) e il romanzo in versi “Spektorskij”, iniziato nel 1925 e pubblicato nel 1931. Questa fase creativa rappresenta la risposta di Pasternàk alla problematica del suo tempo, ed esprime il rapporto e anche l’antagonismo tra poesia e storia.
“Il salvacondotto” (1931) e più tardi “Autobiografia” (1957) riguardano invece l’intento di fornire un quadro delle proprie esperienze biografiche e poetiche. Gli anni Trenta sono caratterizzati da una profonda crisi esistenziale e politica, dovuta al divorzio dalla prima moglie e, dopo un periodo di adesione allo stalinismo, al progressivo isolamento. Il ciclo di poesie “La seconda nascita” (1932) è seguito da poche altre incursioni in campo poetico: “Sui treni mattinali” (1943) e “La vastità terrestre” (1945), volumi in cui, con un sempre maggiore impegno sui contenuti, è espressa la solidarietà dell’autore con il popolo russo in guerra contro il Nazismo. L’impegno contenutistico, ma questa volta in senso religioso, appare anche nelle “Poesie di Jurij Živago”, insieme all’annuncio della pubblicazione del romanzo “Il dottor Živago” al quale Pasternàk già attendeva da vari anni e che si sarebbe rivelato il suo capolavoro. Ma la pubblicazione dell’opera, giudicata ostile all’Unione Sovietica, non viene autorizzata. Il romanzo appare in Italia nel 1957, suscitando in patria vivaci polemiche e critiche: una tensione che si aggrava l’anno successivo, quando a Pasternàk viene assegnato il premio Nobel, un riconoscimento che egli, per i violenti attacchi dell’Unione degli Scrittori Sovietici, si sente costretto a rifiutare.
L’ultimo periodo della vita di Pasternàk, amareggiato dalla campagna scatenata contro di lui dal regime sovietico, ne segna tuttavia il riconoscimento come una delle grandi voci della letteratura mondiale contemporanea. Muore a Peredelkino (Mosca) nel 1960.
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