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Dal dolore alla speranza, il percorso della mia vita

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01/07/2011

Le vostre lettere alla nostra redazione

Ho 50 anni e sono sempre stata emotiva fin da piccola, credo però che alcuni traumi subiti nell’infanzia abbiano contribuito a certi miei malesseri. E’ da trent’anni infatti che combatto con colon irritabile, candida e cistiti il più delle volte invalidanti; non so quanti medici mi hanno visitata. Ho fatto tutti gli esami possibili, ho assunto un’infinità di antibiotici e altro, senza risultato: anzi, a volte peggioravo. Ho subito persino un assurdo intervento all’uretra.
Finalmente, una domenica mattina ho sentito alla televisione una dottoressa che trattava questo argomento e così, poco dopo, ho prenotato una visita. Subito mi sono sentita a mio agio: qualcuno capiva il mio dolore e il mio disagio. Oltre alla cura, ogni volta mi raccomanda di avere un atteggiamento positivo verso la vita, di cantare e sorridere: consigli che mi hanno fatto riflettere e che, piano piano, ho messo in pratica.
Da allora sono trascorsi tre anni e sto molto meglio. E' vero: abbastanza pessimista lo sono sempre stata, ma ribadisco che cono stati certi eventi a segnare il percorso della mia vita.
Da piccola ho vissuto in una famiglia serena, e sono la più grande di tre fratelli: mio padre era severo e determinato, per niente permissivo, ma molto protettivo, mentre mia madre, presente e attenta, è sempre stata caratterialmente fragile.
Avevo dodici anni quando, una brutta notte, la nostra esistenza fu raggelata dalla morte di mio papà che, a soli 40 anni, venne stroncato da un’emorragia cerebrale. Il ricordo è ancora vivo e angosciante: il terrore della mamma, l’ambulanza, noi piccoli spettatori impotenti e impietriti, e il verdetto del medico che annullava le nostre fievoli speranze.
Il nostro stato psicologico ne risentì profondamente e la notte bastava un banale rumore per farci sobbalzare. Paura e insicurezza ci hanno accompagnato per anni, così come quel tremendo senso di abbandono che, quando emerge, sconvolge. Fummo visti da uno psicologo, il quale ci liquidò sostenendo che con il passare del tempo queste emozioni si sarebbero attenuate. Sì, il tempo aiuta a lenire le sofferenze, ma gli shock rimangono indelebili soprattutto nella memoria di un bimbo. Questa situazione ha creato in noi un forte senso di responsabilità, unione e complicità.
Ora io e mia sorella siamo felicemente sposate e madri, io nonna di tre tesori; la mia triste storia però continua. Quattro anni fa, il mio adorato fratello, che da qualche tempo conviveva con la sua dolce compagna, se ne è andato via per sempre quindici giorni prima della nascita del suo primogenito: un infarto ce l’ha portato via, lasciando un vuoto incolmabile. Neppure il lieto evento sembrava placare la nostra disperazione. Ci sentivamo abbandonate da Dio e persino il sole sembrava emanare una luce diversa.
Da tempo percepivo una certa preoccupazione riguardo a mio fratello, lo confidavo spesso sia a mia sorella che a mio marito. Notavo la sua insicurezza e diffidenza verso la vita, lo vedevo sempre teso e preoccupato, e da tempo soffriva di mal di schiena. E’ lui quello che più ha sofferto la mancanza di mio padre. Lui che adorava i suoi nipotini non ha visto suo figlio, che ora ha quasi quattro anni ed è stupendo. Questo piccolo e i tre di mio figlio ci hanno restituito la voglia di vivere e sorridere. Sono spesso da noi perché le mamme lavorano. Ci riempiono le giornate e insieme ne combinano di tutti i colori, e la sera siamo stanchi, ma appagati. Ci hanno aiutato anche dei libri di carattere spirituale che ci siamo scambiate, e il sostegno dei nostro amici e della gente del nostro piccolo paese. Ci sentiamo ricompensate da Dio: mio fratello non c’è più, ma per fortuna c’è suo figlio che, quando sorride e anche quando si arrabbia, ha l’identica espressione del padre.
Francesca
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