EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Una sofferenza che possiamo orientare, ma non sfuggire

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
06/04/2016

Tratto da:
Paolo Curtaz, Sul dolore – Parole che non ti aspetti, Edizioni San Paolo, 2011

Selezione del brano, guida alla lettura e biografia a cura di Pino Pignatta

Guida alla lettura

Va detta subito una cosa: questo è un libro “partigiano”. Nel senso che più di parte non potrebbe essere, non intende essere diversamente, non ne fa mistero, e la sua analisi sui sentieri della sofferenza è tutta nella prospettiva cristiana dell’autore, uno degli scrittori spirituali più apprezzati e letti di questi ultimi anni. Ma la sua è “una” possibile risposta al dolore, non “la” risposta. Ve ne sono altre ugualmente degne e potremmo raccontarvele qui in questo spazio: per esempio, c’è la strada del monaco laico Echkart Tolle, autore del libro best-seller “Il potere di Adesso”, per cui ogni nostro malessere e dramma è dovuto alla forza negativa della mente, che ha eccessiva influenza su di noi, ci tiene in pugno, ci tiene incatenati al passato o al futuro, mentre ogni soluzione è qui, adesso, nel presente. Oppure c’è la via buddista, secondo cui tutta la vita è dolore, non soltanto singoli episodi, e così continuerà sino a quando l’uomo giunge alla perfezione e sprofonda nel Nirvana.
Il libro di Paolo Curtaz, “Sul dolore – Parole che non ti aspetti”, nasce dall’esigenza intima di esplorare questo mistero e di dare risposta, per quanto ballerina, a chi interroga l’autore in un certo senso sfidandolo a dire “una parola” che sia di conforto, lui che promuove “la Parola” così intensamente e con convinzione. Un po’ come i centurioni romani che sotto la croce si prendono gioco di Gesù, schernendolo: «Se è veramente il Messia, perché non salva se stesso?». Ecco, la domanda che è maturata via via intorno a questo libro, una richiesta vera e propria dell’editore e dei suoi più affezionati lettori, è stata: «Ma perché non ci dici, proprio tu, qualcosa di convincente per spiegare e giustificare il dolore?».
Infatti, anche da tanta parte di chi crede (in teoria, il terreno più fertile per accogliere i semi di una riflessione come questa), la sofferenza, specialmente quella “cruda”, che non dà via di scampo, «è l’unica seria obiezione all’esistenza di un Dio buono e compassionevole». E, diciamolo pure chiaramente, l’unica circostanza in cui la fede, per chi ce l’ha, o per chi ce l’ha ancora nonostante tutto, rischia di essere spazzata via dalla considerazione che non esiste motivo alcuno per cui un Dio “buono” permetta tanto dolore, fisico o sociale, sotto forma di ingiustizie e sopraffazioni.
Perché soffriamo? L’autore segue «le poche tracce di luce che emergono dalla riflessione biblica e dall’esperienza di chi ci è passato, riuscendo a scorgere una dimensione di speranza». E racconta la storia di Guido, un ebreo italiano, che illustra la rivelazione esoterica dell’ebraismo secondo cui l’uomo, cacciato dal Paradiso, porta in sé dei “traumi”, sotto varie forme, che si possono attenuare soltanto riavvicinandosi a Dio. La malattia e la morte sono semplicemente agenti rivelatori della nostra natura fragile e transitoria, dalla quale impariamo che «siamo fatti per un altrove, per un di più».
Il senso della sofferenza, dunque, sarebbe un’attesa. E perché alcuni non sperimentano affatto la sofferenza, e dunque, da un certo punto di vista, sono fortunati? Perché, secondo questa logica, sono “distratti”, o così inconsapevoli, oppure orgogliosamente superbi, da non comprendere che qualcosa, qualcuno, un di più, li attende. Mentre coloro che soffrono, all’opposto, sono i “privilegiati” ai quali viene donata la sensibilità per capire, sono coloro che intravedono meglio di altri la prospettiva che li attende. In questo senso, spiega Paolo Curtaz, il pensiero delle società attuali orientate alla fama, alla bellezza, alla ricchezza, alla potenza di sé, alla bramosia, all’ambizione smisurata – dunque un pensiero materialistico, individualistico, secondo il quale il dolore va sempre evitato, tenuto lontano come la peste – è ingenuo e ingannevole. Possiamo orientarlo il dolore, non sfuggirlo, «possiamo farlo diventare un trampolino di lancio... Esiste una sofferenza inevitabile che ci rimanda a Dio. In qualche modo».
Anzitutto non capisco per quale misteriosa ragione qualcuno dovrebbe entrare in una libreria per comprare un libro che parla della sofferenza.
Se lo fa, è evidente che spera di trovare in quel libro una qualche indicazione, più o meno una risposta. Forse spera di imbattersi in una specie di manuale che lo aiuti a superare il proprio dolore, in una serie di suggerimenti per uscire da una situazione di sofferenza. O, peggio, pensa di regalarlo a qualche amico in crisi: qualcuno che vive un lutto, una separazione, una malattia, una depressione...
Se conoscessi la soluzione per superare il dolore, non la pubblicherei; la regalerei, rendendola accessibile in Rete. Meglio: visto che devo pur vivere anch’io e che il mio lavoro è quello di scrittore e di teologo, scriverei un libro da pubblicare a prezzo simbolico in decine di milioni di copie. Così non è: non ho soluzioni, non so per quale ragione soffriamo, né so perché Dio, all’apparenza, non si occupi della questione. E la cosa straordinaria è che neppure un altro libro, conosciuto e studiato, un libro che noi cercatori di Dio pensiamo essere stato ispirato da Dio stesso, la Bibbia, offre delle soluzioni.
Ancora una ragione: non sono l’avvocato difensore di Dio e Dio, se proprio deve, può benissimo difendersi da solo.
Quante volte mi è successo di essere messo alle strette, a causa delle mie convinzioni, da parte di persone che, vivendo momenti di autentica tragedia, sfogavano la propria rabbia verso Dio investendomi con domande e accuse. Come se io avessi delle risposte pronte, come se ci fosse una logica stringente ed assoluta nel mondo, come se Dio, in fondo, dovesse sempre giustificarsi! Il ragionamento è semplice: voi cattolici dite che Dio è buono. Ma, allora, da dove proviene il dolore, e, in particolare, il dolore dell’innocente? Come vedremo più avanti, le risposte che difendono Dio a tutti i costi lasciano l’amaro in bocca e un senso di frustrazione…
Parlare della sofferenza riapre una ferita, come quando cambia il tempo e l’umidità acuisce gli acciacchi e le cicatrici… Ho parlato della resurrezione, qualche anno fa, scrivendo che la gioia cristiana è una tristezza superata, un dolore redento. Voglio farmi coraggio e dedicare ora del tempo a meglio descrivere e approfondire la natura della tristezza da superare, e indicare concretamente come si possa superare il dolore.
E, già che ci sono, ho bisogno di cercare di capire cosa dice la Bibbia riguardo alla sofferenza.
E se il dolore e la bontà di Dio si possono in qualche modo conciliare.
E perché Dio non interviene direttamente per sanare il dolore.
E come sia possibile che alcune persone, all’apparenza, vivano il dolore con maggiore intensità rispetto ad altre...

Biografia

Paolo Curtaz, valdostano, nasce il 31 luglio 1965. Scrittore e teologo, è stato ordinato sacerdote nel 1990 ed è arrivato a essere viceparroco di Courmayeur e di altre comunità della Val d’Aosta. Dopo quasi vent’anni come prete, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale, ma sceglie di proseguire su altre strade il cammino dell’evangelizzazione. Oggi è sposato e ha un figlio di nome Jakob. Ha scritto numerosi libri di spiritualità pubblicati in gran parte dalle Edizioni San Paolo. Con l’Associazione Zaccheo, di cui è presidente, organizza serate di esegesi spirituale in Italia e viaggi in Israele. Cura due siti Internet: Ti racconto la Parola, dove propone la propria riflessione biblica, e PaoloCurtaz.it, un blog nato per allargare la riflessione ai temi e alle contraddizioni della vita.

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter