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Un dolore forte e deciso dentro e contro di me

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11/04/2008

Le vostre lettere alla nostra redazione

Il 2005 è stato un anno che ha segnato la mia vita: da qualche mese avevo dolori al ventre e mestruazioni abbondantissime che mi lasciavano prostrata. A un certo punto i medici pensarono a un’endometriosi: ma l’intervento chirurgico sostenuto prima dell’estate non risolse nulla.
In autunno, la diagnosi corretta: adenocarcinoma uterino. E non ci fu più alcun dubbio sul percorso da affrontare: chemioterapia per ridurre la massa tumorale, asportazione e successiva radioterapia. Il tutto a 39 anni e in un momento già difficile della mia esistenza, che mi vedeva sola e con un bambino da crescere.
«Perché proprio a me?», mi sono chiesta. Ma, dopo un primo momento di completa perdita di orientamento, mi sono rimboccata la maniche e ho affrontato la prova che la vita mi poneva davanti. «E’ grosso, cattivo e infiltrante – disse l’oncologo senza tanti giri di parole – ma noi dobbiamo essere più cattivi di lui!». La strada era davvero molto in salita...
Ho iniziato con la chemioterapia, ma le cose non sono andate come si sperava: «Il tumore non si è ridotto tanto quanto ci aspettavamo – ammisero i medici – quindi l’intervento dovrà essere molto più invasivo: dovremo tagliare parte della vagina».
E’ stata questa la notizia che ha cambiato il corso della mia vita, e che mi ha lasciata senza fiato: mi sentivo “castrata”, chiusa alla vita, senza futuro... No, non lo potevo proprio accettare!
L’intervento andò bene, e anche le cure successive: dal punto di vista dei medici, che mi avevano salvato la vita, il bilancio era davvero positivo. In effetti, ero stata aiutata e accompagnata benissimo nella fase operatoria e nelle cure... ma dopo fui lasciata completamente da sola. Il dolore vero e proprio non c’era più: era guarita. Ma dentro di me c’era un altro dolore che si insinuava forte e deciso, che mi toglieva il fiato e che nessun medico pareva saper curare.
Durante i controlli successivi, ho continuato a chiedere ai bravissimi medici che mi seguivano che cosa avrei potuto fare per riconquistare l’idea di una vita sessuale normale, allora compromessa dall’intervento e dalla successiva brachiterapia, un’irradiazione locale della vagina che mi aveva irrigidito ulteriormente i tessuti. Ma le indicazioni erano sempre e solo due: usare dei tutori vaginali per cercare di rendere la vagina un po’ più elastica; avere dei rapporti sessuali. Peccato che io in quel momento fossi sola!
Mi sentivo sempre meno donna e sempre più chiusa in me stessa: chi avrebbe mai accettato una come me? Il dolore si era impossessato di me, e mi toglieva la voglia di scommettere ancora con la vita.
La svolta si è presentata due anni dopo, quando finalmente sono riuscita a contattare un medico che mi ha fatto intravvedere un po’ di futuro e che, col sorriso e la sua empatia, oltre che con una professionalità enorme, ha tracciato per me la nuova strada da seguire: servivano sì i tutori vaginali, ma anche una ginnastica e un massaggio giornalieri, uniti all’intervento mensile del medico per potenziare l’allungamento della vagina.
La strada era di nuovo in salita, prevedeva la messa in campo di tanta pazienza, ma alla fine c’era un po’ di luce, la speranza di una vita nuovamente quasi normale. Finalmente mi sentivo capita, rassicurata, supportata e libera di dire veramente ciò che provavo... non ero più sola e non mi sentivo più come “un puntino in mezzo al deserto”.
Avevo anche saputo che altre donne avevano il mio stesso problema e che non ero la sola a doverlo affrontare! La mia sofferenza doveva perciò essere feconda, non restare inutilizzata… e così ho scritto questa testimonianza. Anche perché ho capito che se questa terapia viene effettuata addirittura durante la radioterapia può minimizzare i danni e mantenere una maggiore elasticità dei tessuti della vagina. E una donna può sentirsi ancora donna e viva. Ho sentito che era importante dire alle donne che si trovino ad affrontare il mio stesso percorso che c’è una via d’uscita, che non bisogna mai stancarsi di cercare, perché qualcosa che si può fare c’è! Tanto prima, tanto meglio! Parlarne è importante, perché – attraverso la speranza – il peso della malattia viene condiviso e il passo verso la guarigione, alleggerito.

Serena P.

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