Guida alla lettura
L’immagine dell’inverno è nota ai poeti di tutte le epoche, che però tendono, di solito, ad accostarla alla stagione della vecchiaia: ci sono esempi di straordinaria intensità, dalla lirica greca arcaica sino ai nostri giorni. E però quell’immagine rivela presto i propri limiti: l’inverno è stagione di riposo, ponte verso la gioiosa e colorata rinascita della primavera; la vecchiaia dell’uomo, invece, si conclude con la morte, non conosce la circolarità degli eventi naturali. La similitudine è bella, ma vacilla quando dall’incanto della lettura dei versi spostiamo il pensiero alla considerazione del vero.
Bianchi, invece, ci propone un’immagine diversa: l’inverno come metafora della vita intera, e in particolare dei suoi momenti più tristi e bui. Allora le dinamiche di rinascita proprie di questa stagione possono adattarsi bene anche al nostro essere in questo mondo: ogni difficoltà può celare un’opportunità; le perdite – anche quelle definitive – non sanciscono la morte di tutto; c’è sempre la possibilità di un riscatto, di una nuova primavera della mente e del cuore. La metafora, che a prima vista sembrava porsi nel solco della tradizione, rivela tutta la sua novità, e da operazione estetica diventa insegnamento etico, capace di orientare i nostri passi quando il sentiero sembra perduto.
Si capiscono allora le considerazioni delle ultimissime righe, le più importanti per tutti noi: non dobbiamo vergognarci di soffrire, e non dobbiamo aver timore di parlare del nostro soffrire. Il dolore ha una sua dignità e merita di essere raccontato a chi ci conosce e ci ama, e dunque è in grado di guardare dentro di noi e capire la nostra verità di persone abitate da sogni, ferite dalla realtà, e però sempre pronte a rialzarsi per riprendere il cammino.
Due, quindi, i meriti di questa splendida pagina: fornire immagini e parole familiari perché tutti possano dare un volto al disagio interiore che, a volte, è difficile descrivere; esortare al dialogo, perché solo nel dialogo – con se stessi e con gli altri – si possono gettare le basi della nuova primavera che verrà.
La parola dell'autore
Non a caso, allora, nel cuore dell’inverno si cerca di moltiplicare le occasioni per far festa: Natale, l’anno nuovo, l’Epifania, il carnevale… quasi si volesse combattere contro una quotidianità dura, faticosa, un po’ triste. E poiché scarseggia la luce naturale si moltiplicano le “luci” create dagli uomini: si illuminano le vie di città e i paesi, si accendono gli alberi che pagano o morti denudati di foglie o dormienti nel loro letargo sempreverde. Anche questo indaffararsi, di cui oggi conosciamo fin troppo bene anche i risvolti commerciali, ha origine in una lotta contro l’inverno e il suo buio.
I bambini dal canto loro attendono la neve che tutto imbianca, rendendo altro il panorama e più festosi i loro giochi, ma questo accresce la mestizia dei vecchi: non solo perché rimpiangono ancor di più la loro infanzia, ma perché si sentono combattuti tra il desiderio di veder scendere il manto bianco che tanto giova alla terra e il timore di essere costretti a un’ancor più rigida clausura domestica.
Ma l’inverno è anche stagione prodiga di insegnamenti, se solo lo si vuole ascoltare: è sufficiente pensare che tutto ciò che appare come una morte è in realtà un riposo, un modo diverso di operare, carico di attesa. E capace di sorprese: gli alberi, per esempio, così spogli da apparire secchi, o i prati ingialliti dal gelo, non appena sono baciati dalla galaverna si rivestono di brillanti e scintillano tra le nebbie mattutine. Chi poi vive fuori dai grandi centri abitati conosce in modo iconico da solitudine: rari o nessun passante, un grande silenzio che avvolge ogni cosa, i gesti rapidi ogni volta che si esce di casa per poi rientrare subito, senza indugiare sulla soglia né attendere di scambiare due parole… A volte l’inverno sembra una metafora della nostra vita: una stagione che sembra non finire mai, ora nebbiosa, ora uggiosa, privata della speranza di un nuovo slancio, a volte addirittura prossima alla morte. Sì, l’inverno può anche essere dentro di noi e talora riusciamo a dirlo a noi stessi e agli altri. E’ uno svelamento benefico perché non dobbiamo vergognarci di soffrire: la sofferenza infatti ha una dignità, merita di essere raccontata e comunicata a chi può capire la verità di una persona.
Biografia
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.