Guida alla lettura
In un bel libro di Severino Cesati (Colloquio con Giulio Einaudi, Einaudi 2007), Giulio riparla di questa consuetudine: «Tutte queste morti hanno pesato come montagne. Anche le assenze, di chi è andato via. E anche i muri lo sanno che quando prendo un’iniziativa, ho l’abitudine ormai, nella mia mente, di convocare questi assenti, anche i vivi ma comunque assenti, e chiedere loro consiglio. Che cosa può pensare Pavese? Che cosa può pensare Leone? Cosa pensava Calvino? Ora aggiungo: cosa penserebbe Bollati? Continuo a dialogare con chi ha lasciato la casa editrice. E nel presente agisco con chi c’è».
Siamo di fronte a qualcosa di molto più profondo di un ricordo attualizzante. Einaudi dialoga realmente con queste persone scomparse, ne assimila criticamente gli insegnamenti per l’avvenire, e a sua volta ci insegna che la vita è davvero più forte della morte, e che tutti possiamo alimentare la presenza di chi ci ha lasciato: nel cuore, certo, ma anche nel pensiero e nella volontà.
Quanta forza sia occorsa a questo uomo per superare l’abisso di dolore provocato da certe separazioni (l’uccisione di Leone Ginzburg a opera delle SS, la morte prematura di Italo Calvino), lo confermano le parole di Natalia Ginzburg, vedova di Leone, che nella post-fazione a “Frammenti di memoria” scrive a proposito del suicidio di Pavese: «Fu una sventura e una perdita incolmabile per quelli che lo amavano; ma fu anche una perdita incolmabile per la casa editrice. Pavese aveva in mano tutto. La sua morte fece vacillare l’intiera casa editrice nelle fondamenta. Ci sentimmo come un branco di topini ciechi. Anche Einaudi fu colto dallo sgomento e dal panico, nei mesi che seguirono e che furono, a quanto ricordo, per ognuno derelitti e tetri, non soltanto perché da quelle stanze era scomparsa quella amata figura, ma perché senza di essa ci sentivamo inetti a lavorare e orfani».
Nulla di superficiale o di sentimentale, dunque, nel fedele dialogo che Giulio Einaudi intrattiene con i suoi amici scomparsi: ma un’attitudine di vita e di lavoro conquistata a caro prezzo, che anche noi possiamo fare nostra per lenire e rendere feconda l’angoscia degli addii.
Biografia
Frequenta a Torino il liceo classico Massimo d’Azeglio, dove è allievo di Augusto Monti. Entra quindi ben presto nel gruppo di allievi di questo straordinario Maestro, di cui fanno parte, fra gli altri, Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Vittorio Foa, Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat, Franco Antonicelli e altri: tutti protagonisti della cultura italiana ed europea nei decenni a venire.
Il 15 novembre 1933, Einaudi fonda a Torino la casa editrice che prende il suo nome e associa, nel logo, il celebre struzzo e il motto “Spiritus durissima coquit”: lo spirito può digerire le vicende più dure. Il riferimento agli eventi coevi è trasparente.
Einaudi imposta la sua attività editoriale con una forte attenzione alla cultura straniera e all’approfondimento di innovative questioni di ordine storico, critico, filosofico, scientifico. Dopo la Liberazione, coadiuvato soprattutto da Ginzburg e Pavese, e poi da Elio Vittorini, Italo Calvino, Vittorio Foa, Giulio Bollati, rinnova la narrativa italiana promuovendo nuovi autori, continuando la riflessione politica e dando amplissimo e prestigioso spazio alla produzione saggistica. Le collane Saggi, Coralli, Millenni, Centopagine, Gli struzzi, Biblioteca di cultura storica, oltre alla celeberrima “collana viola” voluta da Cesare Pavese («Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici») segnano tre decenni di successi editoriali. Negli anni Ottanta si fanno più forti le difficoltà finanziarie, da sempre dovute alla scarsa capitalizzazione dell’editrice: pur rimanendo presidente e riferimento imprescindibile della strategia editoriale, Einaudi deve accettare l’amministrazione controllata, nel 1987, e poi cedere la proprietà alla Mondatori, nel 1994.
Giulio Einaudi si ritira il 4 settembre 1997, all’età di 85 anni. Muore a Magliano Sabina, in provincia di Rieti, il 5 aprile 1999, alla fine di un secolo che ha profondamente segnato con la sua intelligenza raffinata e severa. E’ sepolto nella tomba avita del cimitero di Dogliani, nel Cuneese. La vita gli ha donato due mogli, Clelia Grignolio e Renata Aldrovandi, scomparsa nel 2012, e sei figli: Ida, Riccardo e Mario dalla prima consorte; Elena, Giuliana e Ludovico (pianista e compositore) dalla seconda.
Roberto Calasso, fondatore dell’editrice Adelphi, dirà di lui: «E’ stato un personaggio capace di stare insieme con editori di tutti i Paesi di riconosciuto lignaggio, differenti tra loro, ma ancorati tutti all’idea di una cultura nutrice, con i suoi saperi, della vita dell’uomo, che non ha nulla a che fare con le idee della maggior parte degli editori nostrani, omologati, privi di una propria identità, preoccupati solo della contabilità». E Norberto Bobbio gli farà eco dicendo: «E’ uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sotto la sabbia».
Per approfondire la storia dell’Einaudi e dei suoi protagonisti:
- Gian Carlo Ferretti, L’editore Cesare Pavese, Einaudi, 2017
- Florence Mauro, Vita di Leone Ginzburg, Donzelli, 2013
- Luisa Mangoni, Pensare i libri – La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Bollati Boringhieri, 1999
- La storia e il significato del logo della casa editrice Giulio Einaudi