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La meditazione e il trapasso di mia madre – Prima parte

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30/11/2012

Le vostre lettere alla nostra redazione

Il giorno del funerale di mia madre è stato uno dei giorni più felici della mia vita.
Ho avuto la fortuna di incontrare la Meditazione da bambino. All’età di circa sette anni mia zia mi ha introdotto a questa pratica e da allora non l’ho più lasciata. Ogni sera, prima di andare a letto, e ogni volta che ne sentivo il bisogno, mi sedevo a gambe incrociate ed entravo dentro di me. Avevo imparato che esiste un posto, una dimensione interiore dove potevo rimanere ad osservare cosa accadeva dentro la mente. Una prospettiva di calma e di pace, uno spazio in cui poter semplicemente “stare” in un quieto silenzio accogliente e avvolgente. Qui nessuno mi giudicava, tantomeno i miei stessi pensieri.
La Meditazione mi ha accompagnato per tutta l’infanzia fino al difficile periodo dell’adolescenza. E’ stato forse in questa fase della mia vita, e poco dopo, che ho cominciato a comprendere le potenzialità di questa pratica. Come ben tutti sappiamo, l’adolescenza è un periodo piuttosto difficile, soprattutto quando in famiglia le cose non vanno molto bene. Sono cresciuto (anche se dovrei dire “siamo”, includendo mio fratello) in un’atmosfera familiare tutt’altro che quieta. I miei giovani genitori litigavano spessissimo, a volte anche in modo piuttosto violento, inoltre la situazione era aggravata dal fatto che mamma spesso beveva e questo era come metter benzina sul fuoco.
Assieme alla situazione familiare non proprio rosea, arrivarono poi anche le tutte le varie crisi esistenziali tipiche dell’età, influenzate anche dalle situazioni che la vita ci presenta. Banali o stupide, gravi o meno, facili o difficili, nella vita ciò che fa la differenza è come le interpreti, e la tua esperienza interiore ne regola il volume e l’intensità con cui le vivi.
Il più delle volte, a quell’età, non si è imparato ad avere quella capacità d’introspezione necessaria a far fronte alle esperienze della vita e a dare loro il giusto peso, ed io di sicuro non l’avevo. Arrivano così le prime sconfitte, le delusioni, il senso di abbandono, d’inadeguatezza, il sentirsi incompreso, i primi innamoramenti e le conseguenti crisi in seguito alle separazioni, e la morte.
Incontrai la morte in più occasioni, come tutti, vissi con occhi di bambino e soffrii per la perdita di persone vicine, per la nonna materna e in particolare per una zia a cui ero molto legato, entrambe stremate dalla malattia dei nostri tempi, il cancro. Ma quello non fu l’incontro più speciale e incisivo con la morte. Mi spiego: in alcuni momenti della vita, a seguito di certi eventi, ho letteralmente desiderato morire o, meglio, credevo che quello fosse l’unico modo di far cessare la sofferenza che sentivo dentro. Una sofferenza per la quale non ci sono farmaci o cure, ma che a volte ti fa inginocchiare dal dolore, desiderando solo di porvi fine.
Da bambino avevo avuto un sogno: vivere in uno stato di felicità permanente. In alcuni momenti scoppiavo letteralmente di gioia: le prime galoppate a cavallo col vento nei capelli; l’incontro con gli occhi delle ragazze che ho amato; lo stendersi a guardare il cielo, stremato da una lunga camminata in montagna; il silenzio nell’acqua quando mi immergevo in apnea; e quanti momenti ancora. Entravo in una specie di estasi, avrei desiderato ardentemente avere il potere di fermare il tempo e rimanere lì, eternamente felice, innamorato. Poi, tutto finiva.
Non avrei mai pensato che tutta la sofferenza e le situazioni annesse, verso le quali provavo avversione, mi avrebbero in seguito avvicinato a quello stato tanto ambito.
Non avevo mai cercato nell’alcol o nelle droghe una via di fuga a quella sofferenza che mi portavo dentro, l’avevo però trovata nella Meditazione. Poi, anche quest’ultimo spazio intimo non si rivelava più un rifugio.
All’età di circa 23 anni, in seguito a una separazione avvenuta in circostanze al di fuori della mia (nostra direi…) comprensione, mi ritrovai in preda a un profondo dolore a cui, date le circostanze, non riuscivo a dare una spiegazione logica. Tutte le mie sicurezze, sulle quali avevo costruito l’idea della vita, caddero, ed io mi sentii precipitare nel vuoto. Si dice che il posto per trovare la risposta alle domande più importanti e al senso della sofferenza sia dentro di noi… ma come? Io sapevo meditare, almeno credevo, ma cosa significava trovare le risposte? Nessuno mi aveva mai parlato da dentro per rendermi le cose più facili.
Con nulla da perdere, senza alcuna certezza, deciso a capirci qualcosa, e a far cessare tutta quella sofferenza, cominciai a cercare dentro, nel silenzio della Meditazione, ma in modo diverso dal solito. Sedevo per ore osservando tutto quello che sperimentavo e che accadeva dentro la mia mente, senza più reagire. Ormai conoscevo quella dimensione di osservatore, mi ci ero allenato fin da bambino. In quieta osservazione, semplicemente presente, sentivo tutta la sofferenza, anche fisica, vedevo il legame con i miei pensieri e le credenze su cui costruivo la mia vita, le idee, le convinzioni e i ricordi, le immagini. Osservavo tutto senza reagire. Rimanevo semplicemente immobile, anche se tutto si muoveva vorticosamente, pensieri, emozioni, sensazioni, dolore e piacere fisico. Sedetti per rimanere presente a me stesso, deciso a osservare e a non reagire più a nulla, non avevo più niente da perdere. Volevo capire, mi ero arreso, lasciavo che le cose accadessero dentro, ma questa volta sarei rimasto a vedere fino a che punto questo uragano interiore poteva andare avanti. Rimasi a tal punto che ebbi la netta consapevolezza che alla fine, per quanto dolore potessi autoprocurarmi, per quanto dolorose fossero quelle esperienze, alla fine sarei sempre rimasto “io”, quello stato di presenza: il semplice esserci avrebbe vinto, sarebbe rimasto. Spazioso e pieno, esserci. Lo spazio dal quale sorgono, permangono e tramontano tutti i pensieri, idee, credenze, immagini, ricordi, emozioni, sensazioni, rabbia, odio, tristezza, felicità, gioia, dolore, colori, esperienze…
Poi tutto si calmò.
Cessarono i pensieri e l’attività mentale, tutte le sensazioni fisiche rimasero un eco, come il respiro. E’ difficile, credo impossibile, esprimere a parole ciò che accadde in seguito. Le parole sono come scatole troppo piccole per certe esperienze. Sperimentavo un immenso stato di spazio, di quieto esserci e ad un tratto tutto si riempi del più dolce e profondo amore che conosca, completamente immerso nell’amore, un tutt’uno con quell’amore, innamorato. Nulla aveva più importanza se non essere lì. In quello stato riuscii a formulare solo un unico pensiero: «Ho cercato tutto questo per tutta la vita», anche se sempre nei posti sbagliati… al di fuori di me. Da quel momento cambiò tutto.
Fino ad allora avevo sempre pensato che l’amore, l’innamoramento, fossero da ricercare nell’unione con altre persone, in particolare nel ricercare una ragazza verso la quale sentire un profondo senso di unione. Ma adesso sapevo che non era così, quell’amore era la base di tutta la vita, di ogni cosa, dovevo solo addestrare la mente a vedere oltre l’apparenza della separazione (processo tutt’ora in corso… e non molto semplice).
Vidi tutta la mia esperienza passata, presente e futura in maniera diversa. Il rapporto con le persone che mi stavano più vicine cambiò radicalmente. Io cambiai, da dentro.
Vidi i miei genitori, le persone, le situazioni con cui avevo rapporti difficili, soprattutto me stesso, con occhi nuovi. Compresi che ognuno di noi sta semplicemente evolvendo a suo modo influenzando chi gli sta vicino, e non solo. Io stesso non avrei mai sperimentato ciò che ho descritto se non fosse stato per il mio passato, per le stesse persone e condizioni a causa delle quali avevo provato tanta sofferenza. Compresi quanto tutto fosse stato perfetto così. Provai un profondo senso di gratitudine. Il rancore sparì o si affievolì moltissimo, per lasciar spazio alla comprensione, alla pazienza verso me stesso e all’affetto. Anche il rapporto con miei genitori e mio fratello cambiò radicalmente, in meglio.
M.B.

[fine della prima parte - segue]
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