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L'incontro con Cristo, alla fine di ogni dolore

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25/03/2015

Tratto da:
Enzo Bianchi, Amico di una vita dal volto sconosciuto, Luoghi dell’Infinito, marzo 2015

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questa rubrica abbiamo ospitato tante pagine di Enzo Bianchi sulla figura di Gesù di Nazareth, il profeta e uomo giusto che i cristiani credono risorto da morte, Figlio di Dio e Signore della storia. Ora, in questa breve e densissima riflessione, Bianchi ci offre la possibilità di gettare lo sguardo sul suo personale rapporto con Cristo, alla luce dei suoi timori e delle sue speranze. Ne scaturisce una pagina eloquente soprattutto per chi crede, ma utile a tutti per capire che cosa significhi veramente essere cristiano, al di là delle sovrastrutture – spesso ingombranti e superflue – create dagli uomini e dalle chiese.
Il rapporto di Bianchi con Cristo non è riconducibile a un’adesione ideologica, ma a una prassi di fiducia, speranza e amore. Essere cristiani non significa in prima istanza credere in qualcosa, e tanto meno aderire a dogmi e ritualità, ma riconoscere nell’incontro con la persona di Gesù l’evento decisivo in grado di cambiare la vita, di dare senso a ogni esperienza e, in ultima analisi, di salvare dalla paura e dallo sgomento che il pensiero della morte inocula nei cuori.
Questo rapporto conduce a una speranza che, nella fede, può farsi certezza: nel momento in cui il nulla sembrerà inghiottire il morente, il male da lui commesso sarà purificato, le sue lacrime saranno asciugate, e con lui ci saranno tutti quelli che avrà amato in questa vita. La relazione autentica con Cristo, dunque, è negazione assoluta del male e vittoria definitiva sul dolore di vivere.
Altre tre considerazioni accrescono la profondità del brano e gli conferiscono una spiccata originalità:
1) ciascun credente «non solo ha un’immagine personalissima di Gesù, ma con la propria vita tratteggia un aspetto del suo volto»: è un’idea davvero nuova. E Bianchi, con umiltà e franchezza, ci sorprende, quando confessa di tratteggiare il volto di Cristo non nell’amore o nella misericordia, come in fondo ci saremmo aspettati da un monaco, ma – proprio in quanto monaco – nella tentazione del nulla che, immaginiamo, è quella stessa che afferrò il Messia sulla croce e per un attimo lo spinse a sentirsi abbandonato da Dio: a tanto può giungere l’attesa “estenuante” del ritorno del Signore, che è il vero orizzonte spirituale di chi fa dell’amore per Cristo la linea guida della propria vita quotidiana;
2) l’ascolto del proprio cuore e la voce (il pianto) di chi si incontra «portano parole del Signore che, illuminate da quelle contenute nelle sante Scritture, fanno sentire il Signore vicino e vivente»: la vita di fede è innanzitutto vita di relazione, con Dio e con gli altri, e da queste relazioni il credente cresce nella conoscenza di Dio e di sé. Le stesse Scritture ricevono vita da questo flusso di relazioni autentiche e concrete, primo riparo dalle letture fondamentaliste;
3) l’incontro con Cristo sarà insieme una conferma di quanto si è creduto di sapere su di lui, ma anche una sorpresa perché «Dio è tanto più grande del nostro cuore»: l’uomo che crede in modo maturo non ha la pretesa di costringere Cristo e Dio all’interno delle proprie immagini, fossero anche le più belle e devote, perché la grandezza del Creatore supera ogni possibile immaginazione.
Amore profondo, fiducia estrema, relazioni autentiche, persino affettuosa e umanissima curiosità, ma anche consapevolezza della fatica del cammino e del pericolo rappresentato dallo sconforto: sono queste le vere coordinate della vita del credente, contro ogni perfezionismo morale e ogni idealizzazione della vita religiosa.
Che ritratto dipingerei di Gesù? Io non l’ho mai visto e anche se più volte bramo vedere il suo volto continuo a non vederlo... Nessuno ha mai visto Dio, Gesù lo ha spiegato a noi, lo ha raccontato (cf. Gv 1,18), ma da noi, da me non è stato mai visto. Sì, lo amo, in lui c’è tutta la mia fiducia, la mia speranza, il mio amore, ma non l’ho mai visto, ho sempre e soltanto ascoltato chi mi ha parlato di lui, e così mi pare di conoscerlo... Più lo conosco, più lo amo: ho verificato nella mia vita com’è vero che più lo ascolto, più lo conosco, e di conseguenza più lo amo. L’amore basta all’amore.
Dunque, come rendere conto della speranza che è in me, della speranza che è Dio, il Dio vivente e vero che ha rivelato il suo volto in Gesù di Nazareth, il Messia? Ciascuno di noi non solo ha un’immagine personalissima di Gesù, ma con la propria vita tratteggia un aspetto del suo volto, ne dipinge una sfumatura, ne mette in luce un particolare. Ora, come monaco giunto all’anzianità, devo confessare che nella vita monastica “si va a fondo”, l’enigma che è in ciascuno di noi emerge, i mostri che ci abitano fanno vedere il loro volto e, conoscendo cosa significa la rinuncia, si è tentati dalla nientità: il nulla del nulla appare a volte come il pensiero che potrebbe sottrarci alla lotta spirituale, all’attesa estenuante del ritorno dell’Amato, il Signore... «Fino a quando? Perché, Signore?». Ma poi, «l’amore canta in fondo al cuore: “Cristo è risorto!”, ma ancora in segreto: Dio solo conosce la vita che è in noi». Certamente questo ascolto del proprio cuore, delle proprie profondità – a volte rumoreggianti come flutti e marosi, a volte silenti, quasi mute – insieme ai gemiti, ai pianti di chi si incontra, portano parole del Signore che, illuminate da quelle contenute nelle sante Scritture, fanno sentire il Signore vicino, vivente, amante. Cresce ancora la conoscenza, cresce dunque l’amore, ma cresce anche il desiderio della visione, del faccia a faccia, dell’incontro... Siamo nella notte e cerchiamo di veder chiaro, sospiriamo l’alba – «O mio amato, risplendi, mostrami il tuo volto» – e in questa attesa conosciamo il paradosso dell’essere senza Dio anche nella fede, l’incredulità che ci abita e che rende noi uomini tutti solidali, tutti fratelli in cerca del senso del senso...
«Bellezza tanto amata, bellezza tante volte surrogata, bellezza mai raggiunta, bellezza sempre lontana, elusiva…». Sì, alla mia età mancano molto più spesso di prima le parole, solo il silenzio sa gridare, si desidera soltanto la comunione: «Communicantes in unum, id est Deus!». Dove sei, Signore? In chi ti sta accanto: fratello e sorella sono un sacramento di Gesù Cristo, sono icona di Dio...
Ormai da più di sessant’anni sono un cristiano consapevole di esserlo, un discepolo di Gesù il Messia che cerca di seguirlo ovunque vada: dovendo dire oggi chi è per me Gesù, direi che è l’inviato da Dio venuto non per i sani ma per i malati, non per i giusti ma per i peccatori. Solo così posso pensare che è il mio Signore! Solo così lo confesso come colui che ha raccontato il Dio vivente. Sovente ormai penso all’ora in cui mi chiamerà a sé: da un lato è il Signore che mi chiamerà in giudizio perché appartengo agli ottocento milioni di ricchi che nel mondo vivono nell’abbondanza grazie al lavoro, allo sfruttamento, alla povertà degli altri 5 miliardi; mi chiamerà in giudizio perché so di aver commesso il male, di non essere meno peccatore degli altri che io ho conosciuto da vicino. D’altra parte aspetto Gesù il Messia, mio fratello, che mi farà posare il capo sul suo seno, mentre mi presenterà al Padre sussurrandomi «Vieni al Padre…». Allora – io lo spero veramente, anche se ho timore grande – il male da me commesso sarà purificato, le mie lacrime saranno asciugate, e con me ci saranno tutti quelli che ho amato (amato bene o amato male) su questa terra. Anzi, siccome amo questa terra e le sono fedele, spero di abitare in modo nuovo questa terra ormai diventata “terra del cielo” la cui primizia ora è Maria, madre dei credenti. Questa terra trasfigurata, questa terra redenta, questa terra nuova sarà la dimora del regno di Dio.
Sì, chi sarà per me Gesù, il Veniente per tutti i miei fratelli e le mie sorelle in umanità? Attendo, spero sia come l’ho amato e conosciuto, ma non sono certo di questo: Dio è tanto più grande del nostro cuore...

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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