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Il pane, bene da condividere nell'amore

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20/05/2015

Tratto da: Enzo Bianchi, Pane: bene necessario anche per il regno, Avvenire, 19 aprile 2015

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questa elegante riflessione Enzo Bianchi, priore di Bose, espone i molteplici significati della domanda del Padre Nostro «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». In tempi di Expo, e di fame diffusa in tutto il mondo a causa delle carestie e delle guerre, ci pare opportuno riflettere su questa richiesta, incastonata fra alcune invocazioni che riguardano direttamente Dio (sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà) e altre che riguardano il nostro rapporto con gli altri e con il male (rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori; non indurci in tentazione – che sarebbe meglio tradurre “non abbandonarci quando siamo tentati”). Una richiesta – quella del pane – strana, perché sembra spostare i termini del problema: perché chiedere il pane a Dio quando è evidente che è con il nostro lavoro che ci guadagniamo gli alimenti quotidiani?
Molteplici le risposte di Bianchi: chiedere il pane a Dio è innanzitutto un esercizio di umiltà, perché significa riconoscersi creature che, per quanto intelligenti e capaci (a volte) di alte operazioni culturali e morali, in fin dei conti hanno bisogno di mangiare per sopravvivere. Questo ci pone sullo stesso piano degli altri esseri viventi, e in particolare degli animali, di cui siamo fratelli nell’origine naturale e nella morte. Ma per il credente chiedere il pane a Dio significa anche è lui, in ultima istanza, il signore del mondo e della vita; che da soli non possiamo vivere; e che la legittima richiesta di pane non deve degenerare nel possesso avido e nell’esclusione degli altri dalla condivisione delle risorse necessarie alla vita. Le due ultime istanze – pane come simbolo di vita comune, in cui ognuno dà e riceve secondo il proprio lavoro e le proprie capacità; pane come bene da condividere senza egoismi, e che non a caso il testo della preghiera definisce “nostro” – sono certamente valide anche per il non credente, perché traggono origine da una visione non religiosa, ma semplicemente etica della vita: temi presenti anche all’Expo 2015 di Milano, ed esigenze sempre urgenti in un mondo in cui il divario fra poveri e ricchi si fa sempre più profondo e devastante. Quanto dolore, ogni giorno, sul nostro pianeta, per la mancanza di pane per tutti!
Bianchi si sofferma poi sul significato dell’aggettivo “epioúsios”, di cui non v’è traccia nella letteratura greca e che però definisce il pane da chiedere a Dio: può significare il pane essenziale “necessario per la sussistenza quotidiana”, ma anche il pane “sovra-essenziale”, il pane della Parola di Dio, e dunque Gesù Cristo stesso, compagno di cammino su questa terra e punto di arrivo di tutta la storia. Anche in questo caso la valenza dell’oscillazione semantica si fa duplice: estremamente eloquente per il credente, che dovrebbe vivere non di solo pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (cfr. Mt 4,4); ma potenzialmente significativa anche chi non crede, se alla pur cruciale esigenza di cibo decide di premettere i valori in cui crede e l’amore di cui è capace. Chiedere il pane sovra-essenziale significa allora invocare – da Dio, da se stessi – la saggezza di distinguere il bene dal male, e la forza di fare il bene sempre, anche a costo della vita, in nome di una fraternità che tutti ci accomuna nell’incessante fluire dei giorni.
Sappiamo che al cuore del Padre nostro sta proprio la richiesta del pane espressa con fiducia al Padre: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Dopo le grandi richieste a favore di Dio, eccone una semplice, quotidiana, che riguarda noi esseri umani nella condizione di creature bisognose di mangiare per vivere. L’umiltà di questa domanda, se messa a confronto con l’ampio respiro delle altre sei, potrebbe stupirci, ma è proprio questa che illumina tutte le altre. La domanda del pane è eminentemente contemplativa: è il modo con cui il credente afferma la signoria di Dio sulle realtà create; è l’atteggiamento di chi sa di non poter disporre della propria vita, ma riconosce di riceverla sempre e solo all’interno di una relazione; è la maniera con cui il credente elabora il suo bisogno in desiderio, ponendolo davanti a Dio e sottraendosi così alla tentazione del possesso.
In Matteo e in Luca questa domanda è identica nell’essenziale, nell’oggetto richiesto, ma nella sua formulazione si registrano alcune differenze. In Luca i termini usati esprimono l’idea di un’azione durevole e contengono la precisazione «il nostro pane, quello di ogni giorno», ovvero la richiesta a Dio di rinnovare ogni giorno il dono. In Matteo invece lo stesso verbo è usato in una forma che indica un’azione puntuale, in sé compiuta, come dimostra anche la specificazione temporale «oggi».
Ma la vera difficoltà è costituita dalla comprensione dell’aggettivo con cui entrambi gli evangelisti definiscono il pane: “epioúsios”, termine che, stando a Origene, «non viene citato da nessun scrittore greco né da alcun filosofo e non è nemmeno usato nella lingua parlata dal popolo, ma sembra essere stato coniato dagli evangelisti». Le discussioni sul suo significato sono state molte, dall’antichità fino ai giorni nostri, ma possiamo riassumerle attorno a due possibili interpretazioni di questo pane «quotidiano»: il pane “essenziale, necessario per la sussistenza quotidiana”, oppure il pane “celeste, sovra-essenziale, il pane del Regno”.
Si chiede innanzitutto a Dio il pane di cui l’uomo ha bisogno per vivere. Anche il credente, come tutti, è abitato dal bisogno di vivere, dal bisogno degli altri, dal bisogno di non essere preda del male: sono questi i tre bisogni materiali, reali ed esistenziali che troviamo espressi nella seconda parte del Pater, primo tra tutti quello del pane. Nel nostro occidente oggi la maggioranza della popolazione non conosce più la fame né, di conseguenza, il bisogno assillante del pane. Chi però pratica almeno un poco il digiuno – pur avendo comunque la possibilità di interrompere il digiuno, poiché il pane è sempre a portata di mano – sa che cosa significhi la mancanza di cibo: tutto il nostro corpo, tutta la nostra persona è toccata da questo bisogno, è questo bisogno. Chiedere a Dio il pane è dunque innanzitutto una presa di coscienza della nostra realtà: siamo esseri che hanno bisogno di nutrirsi per vivere. Il “pane” inoltre – Gesù non dice “cibo”! – è ciò che abbiamo seminato, fatto crescere, raccolto, trasformato in farina, impastato e cotto; è frutto della terra lavorata dall’uomo, della cultura dunque, e, nel contempo, è un dono del Padre: lui ci ha dato la vita, lui ce la dona ogni giorno mediante il pane. Chiedere il pane per oggi significa allora confessarsi creatura, figlio del Padre, significa credere nella vita…
Con questa richiesta, inoltre, si inizia a pregare alla prima persona plurale: si dice «nostro pane», lo si invoca per tutti, per sé insieme agli altri, a indicare che anche il pane, soprattutto il pane deve testimoniare la nostra filialità nei confronti di Dio e la fraternità che ci accomuna. E’ così che nella prima comunità cristiana «i credenti tenevano ogni cosa in comune» (At 2,44; cf. 4,32) e «a ciascuno veniva dato secondo il suo bisogno» (At 4,35). Era proprio questa concreta condivisione che, unita alla fede, permetteva ai cristiani di essere «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,35): e tutto trovava una sintesi proprio nel gesto della “fractio panis” (At 2,44), che recava in sé la valenza eucaristica ma anche quella del pane quotidianamente spezzato e condiviso.
Ma dicevamo che il pane “epioúsios” può essere inteso anche come «pane del Regno». Chiedendo il pane necessario per vivere si chiede infatti anche quel pane di cui l’uomo vive oltre il pane: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4; cf. Dt 8,3). Si tratta del pane della Parola di Dio e dell’eucaristia, quel «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6,51) che è Gesù Cristo stesso, secondo l’interpretazione dei Padri della chiesa indivisa. Purtroppo fame di pane e fame di Parola di Dio nell’attuale contesto socio-culturale sono poste in concorrenza, nel senso che il soddisfacimento della prima sembra impedire la seconda, perché «l’uomo nel benessere non comprende» (Sal 49,21)! Ma un vero credente sa assumere ogni giorno la fame di pane e, nella gratitudine a Dio che lo esaudisce, sa condividerlo con gli altri; nello stesso tempo, chiedendo al Padre il pane quotidiano, si apre a leggere il proprio bisogno della sua Parola vivente, Gesù Cristo, per camminare nella fede verso il Regno.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.
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