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Dopo la morte dell’amato: il privilegio e il tormento della presenza

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Dopo la morte dell’amato: il privilegio e il tormento della presenza
29/03/2023

Wisława Szymborska, Addio a una vista
In: La gioia di scrivere – Tutte le poesie 1945-2009, Adelphi, 2009

Guida alla lettura

Il risveglio della natura. Il ricordo e il rimpianto. L’afflizione di chi è sopravvissuto alla persona amata, e il rifiuto di tornare nei luoghi della felicità di un tempo. Sono questi i motivi ispiratori, profondamente elegiaci e musicali, della lirica “Addio a una vista” che la poetessa polacca Wisława Szymborska pubblicò a Poznań nel 1993, all’interno della raccolta “La fine e l’inizio”.
I versi ci regalano immagini liete della primavera che ritorna: il verde rinnovato dell’erba dei prati, lo stormire degli ontani nell’acqua, la bellezza della riva di un lago, la baia scintillante sotto i raggi del sole, il battere veloce di “giovani ali” (meravigliosa immagine, e vivida figura retorica: la sineddoche) fra i giunchi silenziosi, le acque profonde ai margini del bosco. Uno scenario d’incanto, e al tempo stesso capace di inasprire un dolore acuminato, perché simbolo di giorni sereni e condivisi con chi non c’è più: ad altri spetta ora contemplare quella meraviglia, uniti dall’amore e dalla vita.
Dinanzi a tutto ciò Wisława non ha sentimenti di rancore o di invidia: sa bene che la forza dell’essere è destinata ad affermarsi sulla morte individuale, e dopo tutto la primavera che ritorna non fa che «adempiere ai suoi doveri». Ma un diritto reclama con categorica determinazione: di potersi ritrarre, di poter rinunciare, per non rivivere – attraverso il paradossale «privilegio della presenza» – quella bellezza che, nella solitudine dell’oggi, diventerebbe una tortura del corpo e dell’anima. L’amato è ormai lontano, e in quella lontananza la donna sopravvissuta colloca sé stessa per sempre: luogo della rimembranza e della sofferenza, luogo astratto del pensiero, e concreto come un morso che tormenta il cuore e la ragione.
Testimonianza esemplare di lirica dell’amore perduto, la composizione della Szymborska è anche un capolavoro di sapienza costruttiva. Abbiamo già accennato all’uso mirabile della sineddoche, una figura retorica che sostituisce, per esempio, la parte con il tutto: qui, le «giovani ali» a indicare gli uccellini appena nati. Ma l’intera struttura dei versi rivela una grande maestria compositiva: quella che, a prima vista, appare come una descrizione oggettiva di situazioni naturali è in realtà un flusso di ricordi filtrato dalla soggettività del dolore e dell’assenza di risentimento, magistralmente espressa, quest’ultima, dalla lunga serie di negative, esplicite o implicite, che aprono le frasi: «non ce l’ho», «non la incolpo», «capisco», «non mi fa soffrire», «prendo atto», «non ho rancore», «riesco perfino», «rispetto», «auguro» e, ripetuto, «non pretendo». E sono infine da rilevare alcune espressioni che, in uno stile semplicissimo e quasi colloquiale, ci lasciano immagini indimenticabili per la dolcezza o, al contrario, l’angoscia che sanno evocare: il filo d’erba che oscilla al vento, gli isolotti di ontani sull’acqua, la baia abbacinata dal sole, il tacere felice della coppia di innamorati seduti sul tronco di betulla capovolto, e il «braccio vivo» di lui a stringere lei, aspro “contrappasso” visivo del braccio morente che la poetessa, forse, ha tenuto stretto nelle ore dell’addio.
Nella sua bellezza, la poesia di Wisława Szymborska conquista quell’immortalità a cui le creature di questa terra non hanno accesso. E conferma la missione dei grandi poeti: dire l’indicibile, svelare la verità degli eventi, dare voce all’intimo sentire dell’uomo e del mondo, gridare il dolore e la gioia, tenere vivi i ricordi e, con essi, dare un senso al nostro apparire nel flusso del tempo.

La parola dell'Autrice

Non ce l’ho con la primavera
perché è tornata.
Non la incolpo
perché adempie come ogni anno
ai suoi doveri.

Capisco che la mia tristezza
non fermerà il verde.
Il filo d’erba, se oscilla,
è solo al vento.

Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sull’acqua
abbiano di nuovo con che stormire.

Prendo atto
che la riva d’un certo lago
è rimasta – come se tu vivessi ancora –
bella com’era.

Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.

Riesco perfino a immaginare
che degli altri, non noi,
siedano in questo momento
su un tronco rovesciato di betulla.

Rispetto il loro diritto
a sussurrare, a ridere
e a tacere felici.

Suppongo perfino
che li unisca l’amore
e che lui la stringa
con il suo braccio vivo.

Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.

Non pretendo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.

Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro,
ora nere.

Una cosa soltanto non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza –
ci rinuncio.

Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano.

Biografia

Wisława Szymborska nasce a Bnin, attualmente parte di Kornik, nei pressi di Poznań, il 2 luglio 1923. Fra il 1941 e il 1943 lavora come impiegata alle ferrovie per evitare la deportazione in Germania. Comincia a scrivere le prime poesie. La seconda guerra mondiale segna la vita della giovane poetessa, costretta a studiare clandestinamente.
Nel 1945 si iscrive alla facoltà di Letteratura presso l’Università Jagellonica di Cracovia, passando a successivamente a Sociologia, che abbandona dopo soli tre anni, motivando così la rinuncia: «Nel 1947 la sociologia diventò mortalmente noiosa, si doveva spiegare tutto con il marxismo. Ho lasciato l’università perché già da allora dovevo guadagnarmi da vivere».
Nel 1954 esce il volumetto di poesie “Domande poste a me stessa”. Compie un viaggio in Bulgaria nell’ambito di scambi culturali, che si rivela fonte di ispirazione.
Nello stesso anno riceve il Premio della Città di Cracovia. Intanto, ha la fortuna di incontrare il saggista e poeta Czesław Miłosz, futuro Premio Nobel per la letteratura nel 1980, che la coinvolge nella vita culturale della capitale polacca. Le sue liriche sono tradotte in molte lingue europee, ma anche in arabo, ebraico, giapponese e cinese. E alcune sue raccolte sono pubblicate in Germania e negli Stati Uniti. Pietro Marchesani, che ha curato l'Introduzione del libro (Adelphi) dal quale abbiamo estratto la poesia “Addio a una vista”, ha tradotto in italiano la maggior parte della sua opera poetica, la quale si è nutrita anche di un’intensa attività politica, sempre più forte negli anni Ottanta, durante i quali si impegna a favore del sindacato Solidarnosc di Lech Wałęsa.
Nel 1996 viene insignita del Premio Nobel per la Letteratura. La motivazione che accompagna il premio: «Per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà».
Nel 2001 diventa membro dell’American Academy of Arts and Letters. Nel 2002 esce “Attimo”, primo volume di poesie dopo il Nobel, che dà il titolo anche a una lirica. La sua prima raccolta di versi era uscita nel 1945, “Cerco la parola”. L’ultima raccolta, “Dwukropek” (Due punti), viene pubblicata in Polonia il 2 novembre 2005: uno strepitoso successo, oltre quarantamila copie vendute in meno di due mesi.
Dopo un lungo periodo di malattia, il 1º febbraio 2012 Szymborska muore nel sonno nella sua casa a Cracovia.
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