La osservo. Cerco di farla sentire a suo agio. Parliamo. La visito. Tocco ogni punto delicatamente. Ma non mi convince. Mariasole, che succede? Da quel momento si apre un fiume in piena che travolge la mia giornata e sconquassa i miei pensieri. Affido lo sfogo del suo animo a un foglio di carta, su cui annoto ogni frase, ogni emozione celata nelle sue parole, cercando di non farmi coinvolgere dal dramma. Mariasole, annichilita da un segreto terribile: la furia violenta di un marito, bianco, ammalato di sesso.
Mariasole racconta:
«Ho sempre sognato un uomo come lui. Ma c’è stata una collisione improvvisa e fortissima tra il mio fantasticare e la realtà. C’è stato un rapporto devastante per il mio mondo intimo. Un rapporto violento, rapido, doloroso. Mi colse subito una vaga scontentezza. Era mio marito, di cosa avevo paura? Lui mi amava. Me lo ripeteva tante volte al giorno, con messaggini e bigliettini nascosti ovunque. Ma in qualsiasi momento del giorno o della notte, mentre il mondo degli altri esseri umani rotolava meravigliosamente nella vita, il mio mi inghiottiva nelle tenebre. Al mattino, mi sembrava di dover allontanare da me pesanti blocchi di granito, con il sangue che colava e il dolore impossibile. Mio marito mi preparava la colazione prima ancora di accertarsi che fossi viva. Metteva un fiore fresco sul vassoio. Vagava per casa come se niente fosse, anche dopo avermi costretto a una vera e propria violenza. Una, dieci, cento, mille volte, poi non le ho contate più. Se ne andava dandomi un bacio sulla fronte, e io volavo in bagno, per sentirmi pulitissima dentro. Mi guardavo allo specchio. Avevo sempre i suoi occhi indagatori e penetranti davanti a me. Mi sentivo protagonista di una storia non a lieto fine, e mai la principessa del castello. L’Italia non poteva essere questa. No, non poteva essere così l’esistenza. Quanto avrei voluto urlare! Aprivo la bocca, ma non ne usciva nessun suono. Il grido liberatorio rimaneva sempre chiuso nel petto. Con il tempo, diventava sempre più difficile sopportare. L’imbroglio mi aveva reso schiava e complice, e non sapevo come uscirne. Non nascondo che il desiderio di farla finita prendeva spesso il sopravvento sull’idea di separazione. Sarebbe stato più facile. Quando sfiori la morte, questa non ti fa più paura come prima. Ho resistito, per fortuna. Perché oggi mio marito ha il cancro, e io lo assisto giorno e notte. Lo vedo soffrire e spegnersi lentamente, lamentarsi, gemere, temere il buio. Eppure non soffro. Non provo pena né dolore, né compassione. Lo accompagno a fare la chemioterapia, si regge a malapena in piedi. Io sto sempre zitta. Gli appoggio la coperta sulle gambe, il golf sulle spalle, gli sorreggo la fronte mentre vomita. Non provo nulla. E’ questa, la mia lenta vendetta».