Caterina R.
1) disturbi lievi, noti come “baby blues”: si verificano nel 40-85% delle neomamme, insorgono generalmente pochi giorni dopo il parto e si risolvono nel giro di due settimane. Si manifestano con sbalzi di umore, facile tendenza al pianto, tristezza, mancanza di concentrazione. Un notevole aiuto per il superamento di tale condizione è dato dalla vicinanza della madre della neomamma, oltre che del partner;
2) disturbi di media gravità: è la vera e propria depressione post partum, che colpisce il 10-15% delle puerpere con un’incidenza massima del 36% nelle adolescenti. I sintomi sono rappresentati da umore instabile, perdita di interesse nelle attività che abitualmente danno piacere, modificazioni del sonno (incapacità di riposarsi) e dell’appetito (dall’inappetenza a episodi bulimici), ansia eccessiva nei confronti della salute del bambino, sentimenti di inadeguatezza riguardo al ruolo di madre, sensi di colpa, pensieri di morte e/o suicidio. La diagnosi è altamente probabile quando questi sintomi durano per più di due settimane (generalmente la maggior parte delle donne ne soffre per un periodo superiore ai sei mesi). Nella metà dei casi il disturbo esordisce subito dopo il parto, indicando una stretta correlazione con il rapido crollo dei livelli di estrogeni e lo stress legato alla nascita del piccolo (genesi psiconeuroendocrina);
3) disturbi gravi: la psicosi puerperale è rara, colpisce lo 0,1%-1,2% di tutte le puerpere, e richiede una competenza specialistica.
È opportuno ricordare che esiste un’importante associazione tra questi disturbi e altre patologie psichiatriche, in particolare i disturbi d’ansia. I principali fattori predittivi di depressione post partum sono rappresentati da episodi precedenti di depressione, dalla giovane età, dal concepimento con fecondazione assistita, dal parto gemellare o prematuro, dall’appartenenza ad etnie minoritarie, da eventi negativi della storia personale (perdita del lavoro, lutti). E’ fondamentale il riconoscimento di tale condizione per evitare conseguenze sia sulla madre sia sul bambino; l’attenzione al linguaggio verbale e gestuale della madre rappresenta il primo passo per una corretta diagnosi e per poter instaurare il trattamento in base alle esigenze reali della donna (personalizzazione del trattamento).
Vi sono tre diverse linee di intervento, eventualmente complementari tra di loro: farmacologica (terapia ormonale, antidepressivi), psicoterapeutica, psicosociale (assistenza sociale). A prevenzione del suo sviluppo è importante sostenere “fisicamente” la donna durante la gravidanza: la correzione di condizioni di anemia sideropenica, ipomagnesemia, diete non equilibrate rappresenta un notevole aiuto per ridurre la vulnerabilità neurobiologica alla depressione.