Quali sono state le mie carte vincenti, nella lunga partita contro la malattia? Sicuramente l’aiuto dei medici, delle terapie, dei farmaci è stato determinante, però unito ad alcune “strategie” mentali, che ho messo in atto spontaneamente, e ad alcune mie convinzioni, che ho seguito con fermezza. Eccole.
Ho deciso a priori, con assoluta determinazione, che non volevo lasciare orfani i miei figli, costasse quel che costasse.
Non mi sono accontentata. Non ho accettato di recuperare soltanto una scarsissima qualità di vita, ripiegandomi nell’autocommiserazione, e non mi sono fermata davanti ai «Non si può fare altro» che mi venivano detti riguardo alle cure. Ho cambiato, e ho cercato medici migliori e più competenti, non solo a livello professionale, ma anche umano: prima fra tutti, la professoressa Graziottin. E’ così che è cominciata la magnifica “collaborazione” fra me e la professoressa, che anno dopo anno mi ha riportata a una condizione di salute prima totalmente impensabile.
Ho inventato un piccolo “trucco” mentale. Mentre mi trovavo a vivere situazioni drammatiche, ho sempre continuato a dire a me stessa di “mettere una cosa bella vicino a una brutta”. Accarezzando i miei bambini, crescendo con loro, continuando a tenere vive tutte le mie passioni, in particolare quelle artistiche, sono riuscita a rinnovare il GUSTO della vita, per bilanciare il dolore, la paura, il cambiamento del mio corpo, le invasioni fisiche, l’isolamento sociale degli anni più bui.
Ho dato ascolto alla disperazione degli altri, cercando di aiutarli, più che alla mia. Ho taciuto i lati più terribili della mia situazione, per proteggere la mia famiglia dalla disperazione e dalla disgregazione derivanti dalla mia lunghissima malattia.
Ho continuato a concentrarmi sui progressi, anche minimi, invece di focalizzarmi solo sul dolore e sui danni patiti per la malattia. In questo modo, ho potuto “fare il tifo” per me stessa, gratificandomi per ogni piccolo passo avanti che facevo, e togliendo attenzione e peso alla sofferenza.
Ho “approfittato” della malattia, utilizzandola per lavorare su me stessa: prima per cercare le cause profonde, psicologiche e umane, che mi hanno indotto ad ammalarmi, e poi per trovare un nuovo modo di stare al mondo, in modo che questa esperienza fosse utile per me stessa e per gli altri.
Quello che ho scoperto è che non ci vuole un coraggio eroico, come dicono, per tornare a vivere dopo una malattia grave: ci vuole una testarda, silenziosa, quotidiana costanza; una forza che non sai di avere, ma scopri dentro di te man mano che vai avanti.
A chi sta ancora combattendo, dico solo che ha già dentro di sé quello di cui ha bisogno, l’unico vero antidoto alla malattia e alla morte: il gusto della vita. Perché, per ogni cosa brutta che ci succede, ce n’è sempre una magnifica da metterle vicino: i figli, l’amore, gli affetti, le passioni, la meraviglia del mondo, e di se stessi.
Gabriella