Guida alla lettura
Il racconto ebraico della creazione parla di “terrestre”, che si declina poi nel maschio e nella femmina, con una distinzione innegabile di figura che non contempla però differenze ontologiche e di valore; e sottolinea come Dio considerò tutto ciò come “molto buono” e degno di accudire il mondo venuto alla luce. Le parole del papa riprendono dunque questa antica verità e pongono finalmente l’uomo (e la Chiesa) di fronte alle proprie responsabilità storiche nei confronti della donna: responsabilità che hanno via via determinato discriminazioni nel campo familiare, politico, culturale, sociale, economico e scientifico. Il nostro sito sottolinea sovente lo strabismo di una medicina che guarda a certe patologie con prospettive immotivatamente diverse a seconda che si tratti di uomini o di donne: si pensi solo alla grande sfera del dolore fisico, dove all’approccio biologico che caratterizza la medicina del maschile corrisponde ancora troppo spesso, nel campo del femminile, un’esclusiva attenzione ai fattori emotivi e psicologici.
In questo contesto, Enzo Bianchi liquida con nettezza la lettera di certe pagine bibliche che – a partire proprio dalla Genesi – sembrano fondare i vecchi stereotipi, e che sono solo un’espressione della «cultura del tempo e del luogo», da leggere «con intelligenza, senza letteralismi né fondamentalismi».
Come si diceva, però, la riflessione di Bianchi non banalizza la questione del rapporto fra uomo e donna, né la risolve semplicisticamente in un generico invito al rispetto reciproco. Le sfide sul tappeto sono molto più complesse e impegnative. E due sono le domande cruciali che Bianchi formula senza reticenze: la donna «è portatrice di una specificità oppure è destinata ad appiattirsi sull’immagine dell’uomo?»; e ancora: «L’antagonismo tra uomini e donne deve continuare o la ferita della diversità può essere una benedizione per entrambi?».
Sia chiaro: la parità di diritti e di opportunità, ancora da conquistare in tante parti del mondo (e a volte anche a casa nostra), sana giustamente la ferita. Ma è sufficiente di fronte alla potenziale ricchezza, alla “benedizione”, della diversità? La posta in gioco è enorme, e la cultura di questo secolo è chiamata a uno sforzo di immaginazione e di elaborazione, dal quale potrà forse scaturire un mondo più giusto per tutti.
Ma se questa era e permane la creazione secondo la volontà di Dio, nella storia si è realizzata in modo drammatico: l’uomo contro la donna, la donna contro l’uomo, sicché la prima inimicizia, la prima violenza si manifesta proprio nella coppia. Certo, la Bibbia cerca di rivelare questa realtà attraverso immagini mitiche, che portano il segno della cultura del tempo e del luogo, ma l’intento è quello di evidenziare che la responsabilità del male sta nell’uomo e nella donna quando soggiacciono all’alienazione dell’idolatria, che è sempre un falso antropologico. Nel racconto biblico il serpente tenta la donna e questa a sua volta induce l’uomo alla tentazione di non riconoscere il limite umano, ma la lettura di questo testo va fatta con intelligenza, senza letteralismi né fondamentalismi. E’ innegabile che da questo racconto sia emersa l’immagine della donna tentatrice, ispiratrice del male, ma tale lettura, come denuncia papa Francesco, è un luogo comune, persino offensivo. Dobbiamo riconoscere che simili giudizi sulla donna sono presenti in testi biblici. Basterebbe leggere alcuni brani sapienziali, tra i quali il Siracide (25,24): “«Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo»; eppure è significativo che Paolo corregga e riformuli proprio questa espressione: «Poiché a causa di un uomo (“terrestre”) venne la morte, a causa di un uomo verrà la risurrezione dai morti» (1 Corinti 15,21), attribuendo la responsabilità del peccato non alla donna soltanto, ma all’umanità tutta e proclamando la salvezza, la resurrezione a causa di un uomo, Cristo, richiamato dalla morte dal Padre suo, il Dio vivente.
Nonostante questa affermazione cristiana in cui l’uomo e la donna sono uguali nella propria dignità di immagine di Dio, figli di Dio, resta vero che nella cultura patriarcale si è continuato a giudicare la donna come tentatrice. Come negare che molti uomini continuano a esprimersi in questo modo ancora oggi, in una società secolarizzata e senza Dio? Il messaggio evangelico ha proclamato l’uguale dignità dell’uomo e della donna: i vangeli sono una testimonianza senza incertezze dell’atteggiamento di rispetto, di amore, di onore, di dignità riconosciuti da parte di Gesù nei confronti delle donne che furono sue discepole e alle quali fu rivolto il primo annuncio pasquale. Proprio per questo la chiesa ha saputo esaltare Maria di Nazareth, l’umile donna di fede e obbedienza radicale, dichiarandola madre del Signore non solo perché l’ha umanamente partorito, ma perché l’ha anche generato spiritualmente in sé quale donna di fede, di attesa, di carità.
Nella vita cristiana, dice Paolo, «non c’è più né maschio né femmina», cioè questa differenza non può essere motivo di opposizione o di separazione. In Cristo, l’uomo e la donna sono uguali in dignità, hanno la stessa vocazione alla filialità divina, a essere “partecipi della natura divina”. Certo, come dice il papa, «c’è spazio per una teologia della donna che sia all’altezza di questa benedizione di Dio» e nella chiesa c’è ancora un lungo cammino da fare affinché la donna sia valorizzata nella dignità che la accomuna all’uomo e nella differenza che segna entrambi. E’ comunque urgente, anche se arduo e faticoso, giungere a precisare meglio come la donna abbia anche una sua vocazione specifica nella chiesa, nella famiglia, nella società: è portatrice di una specificità oppure è destinata ad appiattirsi sull’immagine dell’uomo? Questa guerra, questo antagonismo tra uomini e donne deve continuare o la ferita della diversità può essere una benedizione per entrambi? Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth, ma attraverso una donna che è stata sua madre in tutto, donna di fede e di giustizia dalla nascita di questo figlio fino alla croce. E questo è un messaggio di speranza per gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo.
Biografia
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.