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Terrorismo, come assistere i sopravvissuti: l'esperienza norvegese

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26/11/2015

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Kärki FU.
Norway’s 2011 terror attacks: alleviating national trauma with a large-scale proactive intervention model
Psychiatr Serv. 2015 Sep; 66 (9): 910-2. doi: 10.1176/appi.ps.201500050. Epub 2015 Jun 1
Analizzare gli interventi di sostegno messi in atto dalle autorità socio-sanitarie norvegesi dopo gli attentati del 22 luglio 2011: è questo l’obiettivo dell’articolo di Freja Ulvestad Kärki, del Dipartimento Norvegese della Salute.
Il primo attacco terroristico fu sferrato con un’autobomba di fronte alla sede del primo ministro, l’attuale segretario generale della NATO Jens Stoltenberg: nell’esplosione morirono 8 persone e 209 rimasero ferite. Il secondo attacco avvenne meno di due ore dopo sull’isola di Utøya, ove era in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese. Un uomo travestito da poliziotto e munito di documenti falsi giunse sull’isola e aprì il fuoco sui partecipanti, uccidendone 69 e ferendone 110. Fu l’atto più violento avvenuto in Norvegia dalla fine della seconda guerra mondiale.
In casi come questi, il destino di molti sopravvissuti non è meno amaro di chi ha perso la vita, a causa delle molteplici ferite fisiche ed emotive che la violenza porta con sé, spesso per sempre, e che determinano un trauma individuale e collettivo difficile da superare.
Il progetto è stato coordinato da un gruppo di esperti a livello nazionale, provenienti da diverse realtà: medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, educatori, gruppi di auto-aiuto, sindacati, volontari.
Il modello messo a punto per assistere le vittime dirette e indirette è stato concepito su base municipale (il 44 per cento delle 428 municipalità norvegesi hanno avuto vittime e/o sopravvissuti) e presenta alcune importanti caratteristiche:
- proattività del servizio di assistenza, volto a identificare le persone più bisognose di aiuto nei gruppi a maggior rischio di conseguenze a lungo termine: i sopravvissuti agli attacchi, soprattutto se giovani, e i loro familiari; i familiari di chi è morto; i soccorritori volontari; i soccorritori professionisti; ma anche chi non si trovava, per le più svariate circostanze fortuite, sul luogo della tragedia;
- personalizzazione degli interventi: ogni vittima è seguita da una persona di riferimento nel proprio luogo di residenza;
- continuità del supporto e sua proiezione nel lungo periodo;
- collaborazione fra le diverse figure di supporto coinvolte;
- screening standardizzato dei sintomi correlati alla sindrome post traumatica da stress (sviluppato sulla base delle esperienze maturate in occasione dell’11 settembre, dell’uragano Katrina e di sparatorie in luoghi pubblici);
- riunioni nazionali di due giorni per le persone colpite da un lutto, e riunioni di contea di un giorno per i sopravvissuti agli attacchi e le loro famiglie, a 4, 8, 12 e 18 mesi dagli attentati.
Dopo quattro anni di follow up, le informazioni preliminari attualmente allo studio indicano che:
- gli attacchi hanno provocato una notevole incidenza di disturbi psicopatologici, soprattutto fra i più giovani;
- sei mesi dopo i fatti, i sopravvissuti dell’isola di Utøya presentavano sintomi post traumatici da stress sei volte più gravi rispetto alla popolazione generale;
- diciotto mesi dopo i fatti, l’82 per cento dei genitori che avevano perso uno o più figli manifestavano i sintomi di un lutto non elaborato;
- il 95,5 per cento delle persone direttamente esposte agli attacchi ha ricevuto supporto, e l’86 per cento considera “sufficiente” l’aiuto ottenuto;
- il 96 per cento delle famiglie colpite da un lutto considera “di grande aiuto” il supporto fornito dalle autorità.
Sarà importante, in futuro:
- produrre più precisi dati di follow up;
- diffondere a livello internazionale l’esperienza maturata, in modo da sviluppare un protocollo condiviso sulle azioni da intraprendere in casi come questi.
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