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L'inganno

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21/05/2008

Tratto da:
Thomas Mann, L'inganno
In: Roberto Fertonani (a cura di), Thomas Mann. Romanzi brevi, Arnoldo Mondadori Editore, 1997 (sesta edizione)

Guida alla lettura

Ultimo romanzo breve di Thomas Mann, L’inganno riprende il tema del rapporto fra amore e morte già trattato in La morte a Venezia.
La protagonista, Rosalie von Tümmler, vedova, vive a Düsseldorf nei primi anni Venti, insieme con i figli Eduard e Anna. Rosalie ha cinquant’anni, ama profondamente la vita e la natura, ma attraversa con inquietudine la stagione del climaterio («L’adattamento dell’anima al nuovo stato del corpo – confiderà un giorno alla figlia – è la difficoltà più grave»). Mann, pur approfondendo soprattutto gli aspetti psicologici della vicenda, descrive la situazione clinica della donna con rigore scientifico, tanto che il racconto suscitò aspre polemiche per la crudezza di certi dettagli, davvero inusuali per i tempi.
Quando nella vita della famiglia si inserisce il giovane e affascinante americano Ken Keaton, reduce della prima guerra mondiale e insegnante di inglese, Rosalie poco per volta rivive l’emozione di un innamoramento che, nonostante l’opposizione di Anna, si fa sempre più forte e travolgente.
Il ritrovato amore sembra trasformare Rosalie: il fascino del suo viso, mai del tutto sfiorito, rinvigorisce; l’impeto romantico del carattere, la passione per i fiori, lo slancio genuino dei sentimenti sembrano avere la meglio su ogni considerazione di buon senso e di convenienza sociale, in quella che la donna stessa – consapevole dei risvolti pericolosi del suo sentimento – non esita a chiamare “dolorosa primavera”. Fino al giorno in cui, con immensa emozione, confida alla figlia la miracolosa e inspiegabile ripresa del ciclo mestruale, silente ormai da mesi: l’amore sembra davvero avere la meglio su tutto, anche sul corso ineluttabile della natura!
Durante l’inverno, però, le condizioni di salute della donna peggiorano in modo progressivo: le passeggiate nei boschi si fanno sempre più brevi, gli occhi appaiono stanchi, il volto si ammanta spesso di pallore.
In primavera, l’epilogo inatteso e drammatico. Durante una gita al castello di Holterhof, Rosalie dichiara a Ken il suo amore, e gli promette di raggiungerlo presto per donargli tutta se stessa. Ma quella notte stessa è colta da un grave malore: viene ricoverata d’urgenza, e i medici diagnosticano un tumore maligno all’utero. L’apparente mestruazione, in cui Rosalie aveva ravvisato il prodigioso ritorno della giovinezza, era in realtà un’emorragia, primo segno della terribile malattia.
L’operazione chirurgica non dà i risultati sperati: il male è troppo esteso, e le metastasi hanno ormai invaso tutti gli organi pelvici. Il quadro clinico si aggrava rapidamente, e Rosalie in pochi giorni muore. Ma muore serenamente, in pace con se stessa e con quella natura che ha tanto amato, e che pure l’ha così crudelmente ingannata.
Di questo straordinario racconto proponiamo tre brevi passi:
- nel primo, Rosalie con gioia rivela ad Anna l’apparente ritorno del ciclo mestruale;
- nel secondo, la donna coglie con parole profonde l’essenza della speranza – un sentimento che disdegna di mirare a fini pratici, ma è fine a se stessa, e tende a un futuro di bellezza che non conosciamo e che possiamo soltanto vagheggiare;
- nel terzo, in punto di morte, Rosalie invita Anna a non rimproverare la natura, perché la morte può talora assumere l’aspetto «della resurrezione e dell’amore».
Rosalie si sollevò a sedere, gettò le braccia al collo della figlia, se la fece sedere accanto sull’orlo del divano e le sussurrò tutto d’un fiato all’orecchio, a guancia a guancia, in tono di beatitudine:
«Vittoria, Anna, vittoria, hanno ripreso, ripreso dopo così lunga interruzione, con piena naturalezza, proprio come si conviene a una donna matura in piena vitalità. Un miracolo, figlia cara! Quale miracolo opera in me la grande e benigna natura, dando la sua benedizione alla mia fede!... Non è l’anima che permette rassegnata al corpo di compiere la sua opera su di lei e di guidarla al dignitoso stato matronale, ma al contrario, piccina, al contrario, è l’anima che si afferma dominatrice sul corpo... Sono di nuovo donna, creatura completa, donna efficiente, posso sentirmi ancora degna della giovinezza virile che mi ha ferita, non devo più chinare gli occhi umiliata con senso di impotenza.»
(op. cit. pag. 670-671)


«Il mio cuore è gonfio d’orgoglio e di gioia, del pensiero che io ora affronterò ben diversamente la sua giovinezza, con ben altra fiducia in me stessa. Il cuore di tua madre è gonfio di speranza nella felicità e nella vita!»
«Tutto questo è molto bello, cara mamma, ed è delizioso da parte tua farmi partecipe della tua beatitudine!... Tu parli della tua speranza e di quanto ad essa ti autorizza... Ma tu trascuri di precisare meglio tale speranza e di dirmi dove essa miri, a che cosa voglia giungere nella realtà della vita...»
«La speranza» riprese la madre «chi osa precisarla, come vorresti? La speranza è speranza: come vuoi che essa chieda a se stessa, come tu ti esprimi, dei fini pratici? Ciò che la natura ha operato in me è così bello... non posso attenderne che cose belle, ma non dirti come mi immagino che esse giungano e si avverino, né dove mi portino. Così è la speranza.»
(op. cit. pag. 674-675)


Non sofferse a lungo. Il coma uremico la immerse presto nell’incoscienza, e alla polmonite doppia che andò intanto sviluppandosi il suo cuore stanco non resistette che pochi giorni.
Ma prima della fine, appena alcune ore avanti, la mente ritrovò la chiarezza. Alzò gli occhi verso la figlia che sedeva accanto al suo letto tenendole la mano.
«Anna» mormorò riuscendo a spostarsi un poco verso il margine del letto, più accanto alla cara confidente, «mi senti?»
«Ma certo che ti sento, mamma cara!»
«Anna, non parlare di inganno e di crudeltà schernitrice della natura. Non rimproverarla, come non la rimprovero io. Me ne vado a malincuore, da voi, dalla vita e dalla sua primavera. Ma come ci sarebbe primavera senza morte? La morte è pure un grande strumento di vita, e se per me assunse l’aspetto della resurrezione e dell’amore, non fu inganno, ma bontà e grazia.»
S’accostò ancora un pochino alla figlia e disse con un ultimo mormorio:
«La natura, io l’ho sempre amata, ed essa ha ricambiato amore alla sua creatura.»
Rosalie morì di una morte serena, compianta da quanti l’avevano conosciuta.
(op. cit. pag. 700-701)

Biografia

Thomas Mann nasce a Lubecca, in Germania, nel 1875. Fin da giovanissimo si dedica al giornalismo e alla letteratura, scrivendo saggi per la rivista studentesca Der Frühlingssturm (La tempesta primaverile). Nel 1894 si trasferisce a Monaco di Baviera, ove in un primo tempo lavora per una compagnia di assicurazioni. Un anno dopo decide di diventare scrittore a tempo pieno.
Nel 1897, su invito dell’editore Fischer, inizia a lavorare al suo romanzo più famoso, I Buddenbrook, che sarà pubblicato quattro anni dopo con grande successo.
Nel 1905 sposa Katharina Pringsheim (1883-1980), figlia del matematico Alfred Pringsheim e nipote di Hedwig Dohm, un’appassionata propugnatrice dei diritti della donna, famosa nell’Ottocento per il sostegno dato al suffragio femminile e alla lotta a favore dell’aborto. Dal matrimonio fra Thomas e Katharina nasceranno sei figli.
Nel 1929 gli viene conferito il Premio Nobel per la Letteratura.
Nel gennaio del 1933, Mann tiene una celebre conferenza all'Università di Monaco, che segna la sua ultima apparizione pubblica in Germania: “Dolore e grandezza di Richard Wagner”. In quell'occasione lo scrittore mette radicalmente in discussione i legami fra nazionalsocialismo e arte tedesca. La conferenza suscita molte proteste. L’11 febbraio, pochi giorni dopo l’ascesa di Hitler al potere, Mann si reca all’estero per un ciclo di conferenze e non fa ritorno. Si stabilisce dapprima presso Zurigo, poi – nel 1941 – a Pacific Palisades, in California, ove frequenta tra gli altri Arnold Schoenberg e Theodor Adorno.
Nel 1944 diviene cittadino americano. In un famoso appello radiofonico della serie “Attenzione, tedeschi!”, sostiene che gli alleati non mirano a ridurre la Germania in schiavitù, ma a ripristinare la democrazia in Europa.
La prima visita in Germania dopo la guerra risale al 1949. Nel giugno 1952 si trasferisce a Zurigo. Tre anni più tardi, mentre si trova in Olanda, viene colpito da una trombosi: muore la mattina del 12 agosto.
Il primo romanzo di Mann, I Buddenbrook, narra la storia e la decadenza di una ricca famiglia di mercanti, seguendone le vicende attraverso diverse generazioni: all’analisi psicologica dei personaggi si affianca un’altrettanto acuta osservazione della società europea e dei suoi mutamenti nei primi anni del Ventesimo secolo.
A I Buddenbrook fanno seguito numerosi racconti, fra i quali Tonio Kröger (1903) e La morte a Venezia (1911). Nel 1912, durante una visita alla moglie nel sanatorio di Davos, in Svizzera, nasce l’idea di Der Zauberberg (La montagna incantata): concepito anch’esso in un primo momento come racconto, si trasformerà in un ampio romanzo pubblicato nel 1924.
Fra il 1933 e il 1942, Mann scrive la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli. Nel 1947 compare il suo romanzo più complesso, Doctor Faustus, storia del compositore Adrian Leverkühn e della corruzione della cultura tedesca negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Nello stesso anno, durante un viaggio in Italia, lo scrittore riceve il premio dell’Accademia dei Lincei.
Nel 1951 esce il romanzo L’eletto, e Mann diviene membro della “Academy of Letters” americana. Il racconto L’inganno, ultimo romanzo breve, viene pubblicato nel 1953.
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