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Dolore pelvico cronico: fattori psicogeni e impatto psicologico – Terza parte

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06/09/2011

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Introduzione

Nella prima parte dell’articolo abbiamo visto come il dolore, soprattutto se cronico, sia un segnale che reclama un’attenzione immediata al nostro stato di salute fisica e psichica; e abbiamo esaminato i fattori psicogeni (intrapsichici e dipendenti dal contesto) che possono indurre la cascata di eventi che porta alla manifestazione algica. Nella seconda parte abbiamo analizzato il processo attraverso cui i fattori psicogeni si traducono in dolore fisico, con particolare riferimento all’abuso fisico e sessuale, e al dolore cronico in area pelvica.
In questa terza parte approfondiamo i criteri diagnostici che permettono di accertare l’eventuale componente psicogena del dolore: in particolare, analizziamo le differenze chiave fra dolore somatico e dolore psicogeno, e illustriamo alcune domande chiave da formulare nell’ambito dell’iter diagnostico.

Dolore psicogeno: criteri diagnostici

Le caratteristiche chiave del dolore psicogeno sono riepilogate nella tabella 1. Le differenze fra dolore preminentemente psicogeno e dolore somatico sono state estremizzate per facilitare la lettura delle differenze chiave. Nella vita reale, però, c’è un’interazione continua fra i due. Solo un piccolo sottogruppo di pazienti colpite da dolore pelvico cronico lamenta un dolore preminentemente psicogeno. La grande maggioranza delle pazienti presenta invece solidi fattori biologici del dolore e frequenti comorbilità, spesso mal diagnosticate, trascurate, sottovalutate per anni. La componente psicologica può crescere a causa dell’angoscia, della disperazione, della depressione reattiva, del peggioramento del quadro clinico stesso, con manifestazione di una forma di dolore più diffusa e meno differenziata. Comprendere il peso e l’impatto della componente psicogena, quando presente, è cionondimeno essenziale per affrontare in modo integrato i vari fattori che contribuiscono al dolore stesso. In questo senso, nel team multidisciplinare di una clinica o di un servizio ambulatoriale dedicato alla cura del dolore, lo psicologo/psicoterapeuta è prezioso nell’offrire alla paziente il diritto e gli strumenti per dare voce al proprio dolore (Mombelli, 2003; Field & Swarm, 2008), nel momento in cui si sente ben curata, e quindi valutata rigorosamente, dal punto di vista strettamente medico.
Tabella 1. Dolore somatico e dolore psicogeno: differenze chiave - Modificato da F. Mombelli, 2003
Tabella 1. Dolore somatico e dolore psicogeno: differenze chiave - Modificato da F. Mombelli, 2003

Alcune domande chiave

La tabella 2 riporta alcune domande chiave per comprendere a fondo la potenziale componente psicogena del dolore (Mombelli, 2003). L’obiettivo è capire se il dolore sia emerso nel contesto di una vita per ogni altro aspetto “normale”, o se esso sia invece la punta dell’iceberg di una vita disfunzionale da molteplici punti di vista. Il dolore psicogeno può servire a differenti propositi consci o, più spesso, inconsci, come ottenere attenzione dedicata o vantaggi secondari, attivare dinamiche di potere, di colpevolizzazione o di evitamento, o semplicemente chiedere aiuto per abusi pregressi che la paziente, non sentendosi ascoltata in modo adeguato e comprensivo, non ha mai trovato il coraggio e le parole di rivelare.
La domanda sulla “qualità del sonno”, apparentemente neutra, può fornire informazioni preziose. Come regola generale, il dolore nocicettivo peggiora di notte; il dolore neuropatico puro o psicogeno, invece, usualmente si placa durante il sonno. Tuttavia le pazienti con una componente psicogena del dolore, soprattutto se associata a un disturbo post-traumatico da stress (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD), riportano una bassa qualità del sonno, definito come leggero, disturbato, con frequenti interruzioni, con un risveglio mattutino molto precoce, non riposante, e con la sensazione, al mattino, di essere più stanche della sera prima. Tutti questi cambiamenti sono usualmente correlati all’iper-eccitazione tipica, per esempio, di abusi pregressi e/o dei disturbi post-traumatici da stress. Il punto chiave è che l’alterazione del ritmo del sonno è uno dei fattori biologici di stress più importanti, e contribuisce al senso di debolezza, di astenia, di sfinimento fisico e mentale, in aggiunta al parallelo aumento degli indici di infiammazione. Inoltre i frequenti incubi, anche a contenuto confuso, dovrebbero allertare sul rischio concreto di pregressi abusi fisici o sessuali, con parallela iperattività del sistema di allerta e adrenergico che può contribuire ad amplificare qualsiasi segnale di dolore.
Quando si formulano domande su eventuali eventi stressanti, è assolutamente cruciale capire se ci sia un qualche legame temporale e/o simbolico con l’inizio o la localizzazione del dolore.
La qualità della risposta al dolore, o “coping”, è un’altra area critica. Le pazienti con una significativa componente psicogena del dolore tendono ad avere una risposta poco capace di adattarsi alle difficoltà della vita (Mombelli, 2003). Il modo in cui esse le affrontano è inadeguato: possono essere travolte anche da eventi minori. La tendenza al catastrofismo è l’atteggiamento più pericoloso per una cura efficace del dolore. Persino di fronte a un diario auto-gestito del dolore, indicante un evidente miglioramento del dolore stesso, di fronte alla domanda «Come si sente adesso?», queste pazienti rispondono «Malissimo, come al solito». «Ma il suo diario indica un netto miglioramento…». «Sì, ma se peggioro di nuovo?». Questo tipo di risposta può indicare che la vita della paziente è stata profondamente strutturata intorno a differenti esperienze di dolore, e/o che essa non crede più alla possibile risoluzione del suo problema, o, ancora, che “perdere” il suo dolore può provocare la perdita di determinati vantaggi secondari.
Tabella 2. Domande chiave da porre quando si ipotizzi una componente psicogena del dolore - Modificato da F. Mombelli, 2003
Tabella 2. Domande chiave da porre quando si ipotizzi una componente psicogena del dolore - Modificato da F. Mombelli, 2003

Conclusioni

In questa prospettiva, l’opinione della paziente riguardo al dolore, la presenza di sensi di colpa (per esempio in una paziente religiosa per una interruzione volontaria di gravidanza), i tempi o le caratteristiche del dolore, e i suoi potenziali legami con altri problemi (ad esempio, familiari o professionali) dovrebbero essere prese delicatamente in considerazione. Infine, la possibilità che il dolore possa comportare qualche vantaggio reale o simbolico, per esempio nel contesto familiare (attirare l’attenzione dei genitori o del partner, altrimenti distratti da altri impegni) o sul lavoro, dovrebbe essere presa in considerazione nell’ambito della valutazione psicodinamica e dell’intervento psicoterapeutico, talora da estendere anche al partner, o ai genitori nel caso la paziente sia adolescente (Fields & Swarm, 2008). L’obiettivo dovrebbe essere quello di aiutare la donna a ottenere la stessa attenzione, e dinamiche familiari più sane, con strategie inconsce meno distruttive e meno foriere di dolore.

Approfondimenti specialistici

Field B.J. Swarm R.A.
Chronic pain – advances in psychotherapy. Evidence based practice
Cambridge, MA, Hogrefe & Huber, 2008

Mombelli F.
Dolore psicogeno
In: Panerai AE, Tiengo MA (Eds): Le basi farmacologiche della terapia del dolore
Milano, Edi-Ermes, 527-536, 2003
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