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Gesù Cristo, medico del corpo e dello spirito – Terza parte

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15/02/2012

Tratto da:
Enzo Bianchi, Miracoli: il tocco di Dio che cambia la vita, Avvenire, 11 dicembre 2011

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Concludiamo oggi la pubblicazione dell’articolo di Enzo Bianchi sulla figura di Gesù come medico. Nelle due parti precedenti abbiamo messo a fuoco cinque fatti fondamentali, che riprendiamo in breve:
1. è incontrando concretamente i sofferenti che Gesù, in quanto uomo, ha appreso l’arte della compassione;
2. Gesù ha sempre lottato con tutte le sue forze contro il male e la malattia, senza mai predicare atteggiamenti di pia rassegnazione;
3. Gesù guarisce condividendo la sofferenza degli ammalati, e rischia in prima persona sfidando i pericoli sanitari e gli interdetti religiosi del suo tempo;
4. la compassione di Gesù non è mai commiserazione, ma autentica capacità di lasciarsi ferire dalla sofferenza dell’altro, rifiuto radicale dell’indifferenza al male;
5. Gesù guarisce ascoltando il malato e coinvolgendolo in modo sostanziale nel processo di cura.
In questa terza e ultima parte Bianchi sottolinea innanzitutto come le guarigioni compiute da Gesù indichino non soltanto una compassione profonda verso i sofferenti, ma siano anche «segno della salvezza, che è liberazione definitiva dal male e dalla morte». Esse, in altre parole, rimandano a una “guarigione” radicale che trascende la vita biologica e che i credenti chiamano “vita eterna”: uno stato di pienezza che nulla è più in grado di intaccare. Ricordiamo a questo proposito come, nel Vangelo di Giovanni, i miracoli che gli altri evangelisti chiamano “dynámeis”, opere potenti, siano detti “segni” (sēmeîa), ossia espressioni eloquenti di una forza di vita che vince la morte e le sue molteplici manifestazioni.
Anche qui però, avverte Bianchi, è indispensabile guardarsi dai cedimenti concettuali che portano a enfatizzare la dimensione divina della vita di Cristo a discapito della sua concretissima fatica di essere uomo: come la resurrezione non sarà una sorta di “lieto fine” dopo la disavventura della crocifissione, ma l’esito non scontato di un amore radicale e senza limiti, così le guarigioni non sono una magia a basso prezzo, ma costano tempo ed energie, comportano un indebolimento e dunque, paradossalmente, un’esperienza di morte. Solo così, d’altronde, l’esperienza di Cristo può diventare esemplare per chiunque si spenda quotidianamente al servizio degli ammalati e dei sofferenti.
Nelle conclusioni, Bianchi propone una lettura stimolante del celebre affresco del giudizio finale tracciato da Gesù nel vangelo di Matteo («Ero malato e mi avete visitato…», cfr. Mt 25,36): Cristo si identifica con il malato, e come tale attende la nostra visita, ma è anche colui che «che ci visita nel malato, proprio perché è lui che ha preso su di sé una volta per sempre tutte le nostre sofferenze e le nostre malattie, e può insegnarci ad amare e ad accettare di essere amati anche nell’ora della nostra massima debolezza».
Come a conferma di ciò, la riflessione si chiude con un’intensa preghiera tratta dagli “Atti di Tommaso”, un apocrifo del Nuovo Testamento risalente alla prima metà del III secolo, in cui si supplica Gesù di dare «vita alle nostre anime» proprio in quanto «medico dei nostri corpi»: una splendida testimonianza di come l’idea del dolore come “strumento di salvezza” sia del tutto estranea alla mentalità originaria del Vangelo, e di come sia l’amore per chi cammina «nella terra della stanchezza» ciò che ha dato senso alla vita di Cristo, e può darlo alla nostra.
4. Le guarigioni operate da Gesù, segno della salvezza
Vorrei infine abbozzare un elemento che meriterebbe ben altro sviluppo. La guarigione operata da Gesù nel corpo e nello spirito delle persone malate è segno della salvezza, che è liberazione definitiva dal male e dalla morte: la potenza dei suoi atti di guarigione è infatti la potenza stessa dell’evento pasquale, che agisce grazie a un indebolimento di Gesù, a una sua perdita di forza, insomma a una sua morte.
Significativamente, i racconti di guarigione lasciano trasparire la lunghezza e la fatica di tali interventi di Gesù: non si tratta di interventi magici, ma di incontri personali, che costano tempo ed energie fisiche e psichiche per condurre colui che sragiona a entrare in una relazione umanizzata (cf. ancora Marco 5,1-20), che chiedono a Gesù di informarsi e di avere ragguagli sulla malattia del ragazzo epilettico per poter intervenire (cf. Marco 9,14-29), che esigono la ripetizione di gesti terapeutici (come nel caso della guarigione del cieco di Betsaida: cf. Marco 8,22-26), che gli sottraggono energie (come nell’episodio della guarigione dell’emorroissa: cf. Marco 5,25-34). Nella debolezza umana di Gesù agisce la potenza di Dio: Gesù guarisce grazie a una morte e a una resurrezione. Ogni guarigione rinvia dunque all’evento salvifico definitivo che è la resurrezione: dietro ogni guarigione si staglia la sagoma della croce e della sua paradossale potenza vivificante.
L’evangelista Marco mostra questa realtà con particolare finezza quando, per narrare la guarigione del ragazzo epilettico, usa la terminologia con cui il “kérygma” [annuncio, N.d.R.] cristiano proclamava la morte e resurrezione di Cristo: «Il ragazzo divenne come morto (nekrós), sicché molti dicevano: È morto (apéthanen). Ma Gesù, presa la sua mano, lo fece rialzare (égheiren) ed egli stette in piedi (anéste)» (Marco 9,26-27).

Conclusione
Si legge negli Atti di Tommaso, un apocrifo del Nuovo Testamento:

Signore Gesù Cristo,
compagno e aiuto del malato,
speranza e fiducia del povero,
rifugio e riposo di chi è stanco,
asilo e porto di quanti percorrono la regione delle tenebre,
tu sei il medico che guarisce gratuitamente.
Tu sei stato crocifisso per tutti gli uomini
e per te nessuno è stato crocifisso!
Nella terra della malattia sii tu il medico,
nella terra della stanchezza sii tu il fortificatore;
o medico dei nostri corpi,
da’ vita alle nostre
anime,
rendici tua dimora
e in noi abiti lo Spirito santo.
(Atti di Tommaso 156)

A questa bella preghiera, che costituisce una degna sintesi della nostra meditazione su Gesù Cristo quale medico del corpo e dello spirito, vorrei far seguire solo un’ultima apertura di orizzonte. Nel grande affresco sul giudizio finale Gesù proclama, tra l’altro: «Ero malato e mi avete visitato» (Matteo 25,36). Questa affermazione è normalmente intesa nel senso che la visita al malato è un incontro misterioso eppure reale con il Cristo presente nel malato: nel bisognoso c’è Cristo, e chi serve il bisognoso serve Cristo, ne sia consapevole o meno. Ora, questa verità decisiva su cui si giocherà il giudizio alla fine dei tempi va intesa con intelligenza: meglio cioè, paradossalmente, non sapere che amando l’altro si ama Cristo, piuttosto che cadere nella perversione di amare le persone malate allo scopo di amare Cristo…
Credo però che, alla luce del cammino percorso, queste parole di Gesù possano essere intese anche in un altro modo: è Cristo che ci visita nel malato, proprio perché è lui che ha preso su di sé una volta per sempre tutte le nostre sofferenze e le nostre malattie. È lui, il guaritore ferito, il crocifisso risorto, che può insegnarci ad amare e ad accettare di essere amati anche nell’ora della nostra massima debolezza. Per Cristo, con lui e in lui, «che ha com-patito le nostre debolezze» (cf. Ebrei 4,15), ogni nostra malattia può essere vissuta come un cammino di comunione; così «anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale del [Cristo] crocifisso e risorto» (Messale Romano, Prefazio comune VIII [Gesù buon samaritano], Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 19832, p. 375).

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2008 è stato invitato, in qualità di “esperto”, alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

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