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Gesù Cristo, medico del corpo e dello spirito - Prima parte

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18/01/2012

Tratto da:
Enzo Bianchi, Miracoli: il tocco di Dio che cambia la vita, Avvenire, 11 dicembre 2011

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

La nostra rubrica saluta il nuovo anno con un ampio articolo in tre puntate di Enzo Bianchi, priore della Comunità Monastica di Bose. Al centro della riflessione, la figura di Gesù come medico delle persone che incontrò durante la sua esistenza. Un tema su cui ci siamo già soffermati in passato, ma che merita di essere ripreso e approfondito perché l’azione di Cristo a favore dei sofferenti racconta non soltanto il vero volto del Dio biblico, ma anche il volto dell’uomo secondo il desiderio più profondo del suo creatore: un essere capace di compassione che, prima di curare ed eventualmente guarire, sia disposto a incontrare il malato nella sua dignità e umanità, risvegliandone la volontà di vita e di relazione. In questo senso, lo stile di Gesù può essere un esempio per tutti, anche per chi non crede o segue altre vie spirituali, perché indica e valorizza ciò è davvero essenziale esprimere nei gesti e nelle prassi di cura.
L’articolo, in parte, ribadisce alcuni concetti già noti alle nostre lettrici e ai nostri lettori, ma anche li sviluppa con acutissime considerazioni di ordine antropologico e un ricco apparato di esempi, tratti dai Vangeli e dagli altri scritti del Nuovo Testamento.
In questa prima parte, Bianchi sottolinea innanzitutto una realtà tutt’altro che scontata: è incontrando i sofferenti che Gesù, in quanto uomo, ha appreso «l’arte della compassione e della misericordia». E’ un’osservazione di importanza capitale perché, da un lato, fa giustizia delle letture troppo frettolosamente spiritualistiche della vicenda umana del Figlio di Dio e, dall’altro, ci richiama con forza al fatto che solo accettando di vedere e di accogliere il dolore degli altri possiamo far nascere e crescere in noi un’autentica capacità di empatia e di aiuto. La storia di Gesù, in altre parole, ci insegna che «curare è in primo luogo incontrare ed entrare in relazione con un uomo o una donna», e che i fondamenti profondi di ogni terapia sono l’ascolto e l’accoglienza.
In secondo luogo, Bianchi ribadisce come Gesù abbia sempre lottato con tutte le sue forze contro il male e la malattia, senza mai predicare la rassegnazione o atteggiamenti di devoto fatalismo: ciò che infatti va “offerto” a Dio non è il dolore in quanto tale, come purtroppo si sente troppe volte ripetere anche oggi, ma l’amore con cui viviamo e attraversiamo ogni esperienza della vita, e quindi anche quelle che ci feriscono e ci fanno soffrire. Per i cristiani è fondamentale assimilare questa consapevolezza, altrimenti si corre il terribile rischio di attribuire a Dio il volto perverso di un padre che “gradisce” ciò che sfigura e disumanizza i propri figli. E di condannare se stessi a sofferenze fisiche e morali senza fine, quando Gesù per primo ha sempre cercato «di restituire al malato l’integrità della salute e della vita».
Introduzione
I vangeli testimoniano che Gesù ha incontrato un gran numero di persone afflitte da svariate malattie: menomazioni fisiche (zoppi, ciechi, sordomuti, paralitici), malattie mentali (gli “indemoniati”, che designano persone afflitte di volta in volta da epilessia, isteria, schizofrenia, mali la cui origine era attribuita a un impossessamento diabolico), handicap e infermità più o meno gravi (lebbrosi, la donna emorroissa, la suocera di Pietro colpita da grande febbre). L’incontro con questa umanità sofferente, con i volti e i corpi sfigurati di tanti uomini e donne, ha costituito per Gesù una sorta di Bibbia vivente, in carne e ossa, da cui egli ha potuto ascoltare la lezione della debolezza e della sofferenza umane, ha potuto apprendere l’arte della compassione e della misericordia. Possiamo dire che tali incontri hanno rappresentato per lui un magistero dell’umano e una rivelazione del divino, un luogo di apprendimento del vivere e del credere: Gesù non ha imparato solo da ciò che lui stesso ha sofferto (cf. Ebrei 5,8), ma anche dalla sofferenza degli altri.
I vangeli sottolineano il fatto che Gesù cura i malati (il verbo greco therapeúein, «curare», ricorre 36 volte, mentre il verbo iâsthai, «guarire», 19 volte), e curare significa innanzitutto servire e onorare una persona, averne sollecitudine. Gesù vede nel malato una persona, ne fa emergere l’unicità e vi si relaziona con la totalità del suo essere, cogliendone la ricerca di senso, vedendolo come una creatura disposta all’apertura di fede-fiducia, desiderosa non solo di guarigione, ma di ciò che può dare pienezza alla sua vita.
In proposito mi preme fare una precisazione che ritengo decisiva. Al cuore degli episodi in cui Gesù è alle prese con persone malate non vi sono le tecniche di guarigione e l’attività taumaturgica o esorcistica, ma l’attitudine umana all’ascolto e all’accoglienza delle persone, vi è l’umanissima realtà dell’incontro: non vi è dunque la malattia, ma la persona umana. Gesù non incontrava il malato in quanto malato: ciò avrebbe significato porsi in una condizione in cui l’altro veniva rinchiuso in una categoria, avrebbe significato ridurre l’altro a ciò che era solo un aspetto della sua persona. No, Gesù incontrava l’altro in quanto uomo come lui, membro dell’umanità, uguale in dignità a ogni altro uomo. E nell’incontrare e ascoltare un uomo Gesù sapeva coglierlo, questo sì, anche come una persona segnata da una particolare forma di malattia.
In breve, con la sua pratica di umanità Gesù insegna che curare è in primo luogo incontrare ed entrare in relazione con un uomo o una donna. Accostandosi alle persone non con il potere e il sapere del medico, ma con la responsabilità e la compassione dell’uomo, Gesù si presenta nella vulnerabilità e nella debolezza, e così riesce a incontrare l’umanità ferita dei malati entrando con loro in un rapporto autenticamente etico.
Fatte queste considerazioni generali, cerchiamo ora di cogliere alcuni tratti specifici del comportamento di Gesù Cristo nel suo porsi accanto al malato, tratti che configurano una vera e propria arte della relazione.

1. Gesù non predica rassegnazione
Innanzitutto un elemento preliminare, necessario per scardinare un’idea che spesso si sente evocare anche in buona fede, ma che è molto pericolosa, in quanto finisce per attribuire a Dio e a Gesù Cristo un volto perverso. Incontrando i malati, Gesù non predica mai rassegnazione, non ha atteggiamenti fatalistici, non afferma che la sofferenza avvicini maggiormente a Dio, non nutre atteggiamenti doloristici: egli sa che non la sofferenza, ma l’amore salva! Gesù:
- cerca sempre di restituire al malato l’integrità della salute e della vita;
- lotta contro la malattia, dicendo di no al male che sfigura l’uomo;
- cura e cerca di guarire con tutte le sue forze.
È così che egli fa delle sue guarigioni un vero e proprio Vangelo in atti, delle profezie del Regno, in cui «Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi (cf. Isaia 25,8) e non vi saranno più la morte, né il lutto né il lamento né il dolore, perché le cose di prima sono passate» (cf. Apocalisse 21,4).
Al riguardo è utile fare un’ulteriore precisazione: si sente ripetere con frequenza che occorre offrire a Dio la propria sofferenza. Che senso può avere questa espressione ritenuta altamente spirituale, ma che può essere equivoca? Dio gradisce forse l’offerta del dolore che sovente disumanizza e sfigura? Che immagine di Dio suppone un tale “gradimento”? In verità, questo consiglio spirituale deve essere chiarificato. Certamente nell’offerta di se stesso al Signore, che ogni cristiano deve fare come autentico culto spirituale (cf. Romani 12,1), sono comprese anche le sofferenze, come sono comprese le gioie. Di conseguenza occorre dire al Signore: «Eccomi tutto intero davanti a te, corpo, psiche e spirito, comprese la mia malattia e la mia sofferenza!». Ma anche in questo dobbiamo guardare all’esempio fornito da Gesù, che non ha offerto al Padre la sua sofferenza, bensì «ha innalzato preghiere e suppliche … a Dio che poteva liberarlo dalla morte» (Ebrei 5,7) nell’esperienza della sua passione, vivendola nell’«amore fino alla fine» (cf. Giovanni 13,1), nell’amore esteso fino ai nemici. Ciò che è stato decisivo e redentivo nella passione di Gesù è stato l’amore con cui ha vissuto la sofferenza e la morte. E così ci ha insegnato che ciò che Dio attende da noi quando attraversiamo la sofferenza e la malattia è che continuiamo a esercitarci nell’amore, accettando di essere amati e cercando di amare. Infatti noi raggiungiamo il desiderio di Dio non nell’offerta della nostra sofferenza, ma quando la nostra vita, anche nella sofferenza, diventa dono di sé nell’amore: questo è stato il cammino che Gesù ha percorso e ha aperto per quanti vogliono seguirlo.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2008 è stato invitato, in qualità di “esperto”, alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
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