Guida alla lettura
Si tratta di una lettura che fa giustizia di tante superstizioni, spesso sfruttate per lucrare sul dolore e sulle speranze della gente. E che, al tempo stesso, ci richiama con forza alle nostre responsabilità: dal male di vivere, dai conflitti, non ci guarisce un intervento miracoloso della divinità, ma l’impegno personale secondo una regola di giustizia.
Come scrisse Enzo Bianchi qualche tempo fa, « nella vita bisogna attendere dalla terra ciò che la terra ci può dare, e ad attendere dal cielo, da Dio, solo ciò che Dio ci può donare, il suo amore fino alla fine»: non una facile forzatura delle leggi della biologia, che ci portano a vivere ma anche ad ammalarci; non un intervento magico sui nostri conflitti collettivi, rispetto ai quali solo gli uomini e le donne di volontà forte e retta possono qualcosa.
Tutto ciò, mentre sembra ridurre le speranze, in realtà le amplifica. Non dall’adesione a una norma religiosa può venire un sollievo ai mali che ci circondano, ma dallo sforzo comune, di credenti e di laici, in nome di un’umanizzazione della vita. Siamo tutti chiamati ad alimentare un respiro davvero vitale nella società, nella natura, nell’intimo dei nostri cuori. Lo dobbiamo, lo meritiamo. Sarà il nostro impegno e la nostra gioia.
Evocando i benefici di Dio, il credente può dire con fiducia: «Già toccavano le soglie della morte. Nell’angustia gridarono al Signore, ed egli li salvò dalle loro angosce. Mandò la sua parola e li fece guarire» (Salmo 107, 18-20).
Segnaliamo qui un altro spostamento operato dai testi biblici: da una prospettiva individuale ci si allarga a una dimensione collettiva; si passa dalla persona all’insieme del popolo. Non si tratta più del soggetto malato, ma di Israele. Si dilata il concetto di malattia fino a inglobare ogni diminuzione di vita, ogni perturbazione sociale. Tale è la malattia da cui Dio vuole guarire il suo popolo.