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La bellezza sconfigge la morte

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18/09/2019

Tratto da: William Shakespeare, Sonetti, Mondadori, 2011

Guida alla lettura

Questo sonetto di William Shakespeare affronta due temi cari alla poesia occidentale: quello della fugacità della bellezza e della vita, e quello dell’arte come via di immortalità contro l’implacabile fluire del tempo.
La lirica inizia con la proposta di un paragone: le bellezza dell’amata è simile a quella di un giorno d’estate? Subito il poeta si corregge: no, è molto più incantevole. Perché l’estate può essere turbata dal vento e dalla brevità dei giorni, dal calore arido che offusca il cielo, dalla rapidità con cui ogni cosa dolce perde il suo fulgore. Lei, invece, vivrà in eterno, grazie ai versi del poeta.
La tesi ha una lunga storia e ricorda per esempio quella di Callimaco, poeta greco fiorito nel terzo secolo avanti Cristo, che in una squisita lirica tramandataci dall’Antologia Palatina canta, a proposito di un sodale spirato in un luogo lontano: «Qualcuno mi disse della tua morte, / Eraclito, e piansi. (…) Ora tu, amico / d’Alicarnasso, sei da lungo tempo / cenere in qualche luogo. / Ma vivono per sempre i tuoi “Usignoli”: / su di loro Ade che tutto rapina / non metterà le mani».
La splendida traduzione di Giovanni Cecchin conserva in modo ammirevole la musicalità del testo inglese: il lessico è levigato ed elegante, le immagini ricercate ma non vuote (l’occhio del cielo, l’aureo volto, l’ombra della morte), le resa ritmica impeccabile. Si ha la sensazione di specchiarsi in un’acqua calma e luminosa, ogni verso ci invita dolcemente a pensare.
Lungi dall’essere una facile consolazione, o un mero “topos” letterario, l’idea che l’arte e la cultura possano accendere una scintilla d’immortalità dovrebbe animare l’esistenza di tutti noi. Studiare la letteratura, la pittura, la musica significa porsi in diretto contatto con la vita di coloro che ci hanno preceduti e che, con il loro genio, hanno detto qualcosa che trascende lo scorrere dei secoli. A nostra volta, e nei limiti delle nostre assai più modeste possibilità, coltivando i talenti scoperti negli anni della giovinezza, applicandoci quotidianamente agli artisti che più amiamo, possiamo rinnovare quella scintilla e trasmetterla ai figli, agli amici, ai giovani che “adottiamo” per affinità elettiva e per intima corrispondenza del sentire.
Questa dedizione alla bellezza è tanto più urgente in un’epoca come la nostra, in cui la lotta al dolore di vivere, al non-senso che sembra prevalere, prende spesso le forme dell’accidia inconcludente, dell’ottundimento fine a se stesso. Lo stesso “intrattenimento” televisivo, invasivo come un tumore, rivela – sin dall’etimo della parola: trattenere, distrarre (da occupazioni più importanti) – la serietà del problema. Chiarire l’importanza della cultura è un compito urgente delle famiglie e della scuola: da esso dipende forse la sopravvivenza stessa della nostra plurimillenaria civiltà. Sapremo essere all’altezza della sfida?
Devo paragonarti a una giornata estiva?
Tu sei più incantevole e mite.
Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di maggio,
e il corso dell’estate è fin troppo breve.
Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo,
e spesso il suo aureo volto è offuscato,
e ogni bellezza col tempo perde il suo fulgore,
sciupata dal caso o dal corso mutevole della natura.
Ma la tua eterna estate non sfiorirà,
né perderai possesso della tua bellezza;
né morte si vanterà di coprirti con la sua ombra,
perché tu cresci nel tempo in versi eterni.
Finché uomini respirano e occhi vedono,
vivranno questi miei versi, e daranno vita a te.

Shall I compare thee to a summer’s day?
Thou art more lovely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer’s lease hath all too short a date.
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimmed;
And every fair from fair sometime declines,
By chance or nature’s changing course untrimmed.
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou ow’st;
Nor shall death brag thou wander’st in his shade,
When in eternal lines to time thou grow’st:
So long as men can breathe, or eyes can see,
So long lives this, and this gives life to thee.

Biografia

William Shakespeare nasce il 23 aprile 1564 a Stratford-upon-Avon (Inghilterra). Frequenta la King’s New School, ove studia il latino e i classici della letteratura. Il padre John è guantaio e conciatore, ricopre svariate cariche amministrative e lo avvia all’attività artigianale. Il 27 novembre 1582, a diciotto anni, William sposa Anne Hathaway, a cui resterà legato per tutta la vita; da lei avrà tre figli: Susannah, concepita forse prima del matrimonio, e due gemelli, Hamnet e Judith.
Fra la nascita dei gemelli e la comparsa sulla scena letteraria inglese, non vi sono documenti relativi alla sua vita: per questo motivo, il periodo che va dal 1585 al 1592 è definito dagli studiosi come “lost years”, anni perduti.
Shakespeare vive in un periodo molto importante per la cultura inglese ed europea: nel 1558 era salita al trono Elisabetta I, inaugurando un periodo di fioritura artistica che da lei prenderà il nome. Nonostante la cronologia esatta delle sue opere sia ancora al centro di numerosi dibattiti, è possibile collocare con sufficiente certezza l’epoca di composizione della maggior parte dei suoi lavori nei venticinque anni compresi tra il 1588 e il 1613.
Complessivamente ci sono ci sono pervenuti 37 testi teatrali, 154 sonetti e vari poemi. Le opere teatrali includono tragedie (fra cui Romeo e Giulietta, Amleto, Otello, Re Lear, Macbeth, Antonio e Cleopatra), commedie (fra cui La bisbetica domata, Il mercante di Venezia, Sogno di una notte di mezza estate, Molto rumore per nulla, Le allegre comari di Windsor, Tutto è bene quel che finisce bene, La tempesta) e drammi storici (fra cui Enrico VI, Riccardo III, Riccardo II, Enrico VIII). Le tematiche principali del suo teatro sono l’amore, la lotta per il potere, la morte, la fugacità della vita.
Shakespeare è soprannominato il «bardo dell’Avon» (la parola “bardo” equivale a “poeta”, e deriva da una radice indoeuropea che significa “alzare la voce”). Considerato il più eminente drammaturgo della cultura occidentale, muore il giorno del suo cinquantaduesimo compleanno, il 23 aprile 1616. Viene sepolto nel coro della Holy Trinity Church, la chiesa parrocchiale di Stratford-upon-Avon. L’epitaffio recita: «Caro amico, per l’amor di Gesù astieniti / dallo smuovere la polvere qui contenuta. / Benedetto colui che custodisce queste pietre, / e maledetto colui che disturba le mie ossa».
Nel 1983 gli è stato dedicato un asteroide, denominato «2985 Shakespeare».
Parole chiave di questo articolo
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