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Vincere il vaginismo e aprirsi alla vita

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03/07/2009

Le vostre lettere alla nostra redazione

Sono arrivata al matrimonio vergine, per motivi etici: mi ero sempre detta che lo avrei fatto con l’uomo della mia vita, e così è stato. Ma non avrei mai immaginato l’amara sorpresa che mi attendeva la prima notte di nozze. Lui è stato molto dolce e affettuoso, e io ero travolta dall’emozione, ma quando ha cercato di penetrarmi ho solo sentito un dolore fortissimo e una paura folle, come se mi trovassi di fronte a uno sconosciuto. Potete immaginare come ci siamo sentiti... E purtroppo le cose non sono cambiate nemmeno nei giorni successivi: ci desideravamo tanto, ma non riuscivamo ad avere rapporti completi. Non potevamo rassegnarci a continuare in eterno con i cosiddetti preliminari, senza contare che volevamo anche dei figli!
Così ho iniziato il calvario: prima ho sentito il mio medico di famiglia, poi due ginecologi. Tutti sembravano completamente impreparati di fronte al mio problema. A sentire loro, sembrava che fosse colpa mia, che non fossi capace di rilassarmi, di concentrarmi sul lato bello della questione... Nessuno sapeva veramente ascoltarmi: se lo avessero fatto, avrebbero capito che mi sentivo come un muro all’entrata della vagina, che non ci potevo fare niente, e che ogni tentativo di ingresso mi procurava un dolore pazzesco e un panico incontrollabile. Altro che buona volontà! Di conseguenza non mi prescrissero nessuna terapia e nessun esame: tanto, secondo loro era tutto a posto, ero io che dovevo solo “rilassarmi”.
Ho sentito altri dottori, ma con sempre meno convinzione: non auguro a nessuno di provare quel sentimento di progressiva sfiducia verso se stessi e gli altri, quella sensazione che l’esperienza più bella della vita – il matrimonio – fosse destinata a chiudersi con un fallimento. Sì, perché con Renato le cose iniziavano ad andare male da tutti i punti di vista. Lui mi rincuorava, mi diceva che avremmo trovato una soluzione al mio problema, e che non mi avrebbe mai abbandonata. Ma poi la frustrazione accumulata a letto si riverberava su tutti gli altri aspetti della vita: litigavamo per delle sciocchezze, lui si sentiva in colpa per il male che mi faceva, e su tutti e due aleggiava una cappa grigia e scura. E pensate che non sapevo nemmeno cosa avessi, come si chiamasse il mio problema!
Nonostante le difficoltà, però, abbiamo tenuto duro: anche se la nostra era diventata una coppia molto “sui generis”, una specie di fidanzamento-amicizia che, nel corso dei mesi, finì per escludere non solo la penetrazione, ma qualsiasi forma di intimità. Poi un giorno, sul giornale, ho letto un articolo che parlava di un disturbo nel quale ho riconosciuto il mio problema: il vaginismo. Ho letto che poteva avere cause organiche, come una contrazione della muscolatura che circonda la vagina, ma anche cause psicologiche che rendevano difficile abbandonarsi al piacere. E mi è venuto in mente che, quando ero ragazzina, un amico di mio fratello aveva cercato di mettermi le mani addosso... Un episodio che avevo completamente rimosso, a quanto pare, ma che forse poteva spiegare quella paura assurda che mi prendeva al momento della verità.
Quell’articolo è stato il punto di svolta. Ho cercato su Internet e ho trovato il sito di una dottoressa che mi occupa proprio di vaginismo. Ho preso l’appuntamento, e lei mi ha confermato la diagnosi: ero proprio vaginismica! Le ho parlato del mio trauma, della tensione che provavo lì, della paura insensata che mi attanagliava quando mio marito cercava di avvicinarsi... Mi sono sentita ascoltata e capita, come mai mi era capitato nelle vita (e non solo in ambito sanitario).
La dottoressa non mi ha taciuto la complessità del mio disturbo, ma mi ha detto che con il giusto mix di terapie sarei potuta guarire. Così abbiamo iniziato: prima una terapia farmacologica a base di antidepressivi, per mettere sotto controllo le cause biologiche dell’ansia e spezzare il circolo vizioso che mi portava agli attacchi di panico. Poi una psicoterapia, per affrontare e risolvere il “nodo” emotivo della violenza subìta tanti anni prima. Infine, diverse sedute di fisioterapia, per sciogliere del tutto la tensione muscolare.
Così, dopo dieci mesi di cure, io e Renato abbiamo coronato il nostro sogno... E non solo: il mese scorso ho “saltato”, e pochi giorni fa ho saputo di essere incinta! Può il barometro della vita girare così rapidamente verso il bello dopo tanto tempo? Evidentemente sì, se non ci si arrende e se si ha la fortuna di incontrare il medico giusto. Quindi, care amiche, non perdetevi mai d’animo di fronte al dolore e alla solitudine: non banalizzate il problema, non aspettate che “passi da solo”, e cercate il dottore giusto per voi, senza timori reverenziali verso gli indifferenti e gli incompetenti. Il momento magico e bellissimo della guarigione arriverà anche per voi.
Serena R.

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