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Il dolore senza senso, fonte della mia pena e del mio isolamento

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20/05/2011

Le vostre lettere alla nostra redazione

Gentile professoressa Graziottin, forse queste mie parole non saranno pubblicate, perché sottendono una storia troppo dolorosa e a non lieto fine.
Apprezzo incondizionatamente la sua iniziativa di occuparsi del dolore e dei suoi rimedi, perché coinvolge la persona come unità biologica, psicologica, culturale e spirituale. Ho letto gli intensi articoli dei suoi collaboratori: s’adoperano ad attribuire un valore, un senso, un fine, una storia al dolore e alla sofferenza umana. Sono scritti dai quali si intuiscono un impegno e una passione che pervadono i contenuti, ne sono certa. Leggendoli, mi apro alla comprensione dei messaggi di genere spirituale. Quelle riflessioni toccano le domande più recondite e significative che l’uomo possa farsi ma, prima o poi, tutte concordano sullo stesso teorema: il dolore ha un senso, è l’interpretazione di una direzione tratta dall’insegnamento dei vangeli.
E qui vivo il peggio della mia evidenza interiore: oltre alla pena, mi trovo dentro un isolamento doloroso, perché non condiviso. Ci sono altre donne che come me non riescono a trasformare la crudeltà del dolore? Che sanno di essere sole di fronte alla sofferenza, e sono consapevoli che l’unico valore a cui possono autenticamente accedere è la dignità, la necessità di assumerla? Questo, paradossalmente, mi porterebbe il sollievo di un’appartenenza. Adesso mi viene in mente Camus, per il quale – cito dal vostro stesso sito – «la ricerca di un’autentica comunione fra gli esseri umani è resa impossibile dall’assurdo che incombe sull’esistenza. Il solo legame possibile sembra essere costituito dal rendersi consapevoli di questa situazione e dal cercare di superarla nella solidarietà»...
Grazie, Elisa

Risponde la professoressa Alessandra Graziottin:

Gentile signora Elisa, come vede pubblichiamo con piacere la sua lettera, perché ogni contributo alla riflessione sul senso della vita e del dolore aggiunge valore e conferisce significato al nostro lavoro. Lei riconosce con toni accorati di non riuscire a trovare un significato nella sofferenza e di sentirsi, proprio per questo, amaramente sola. Quello che desideriamo dirle è che comprendiamo e rispettiamo profondamente il suo punto di vista, che è d’altronde quello di molti scrittori le cui pagine ospitiamo sul nostro sito. La stessa Bibbia, lo abbiamo sottolineato più volte, non dà un’interpretazione univoca del dolore, e soprattutto non dà risposte all’enigma della sofferenza: sicché, il più delle volte, è proprio «la dignità, la necessità di assumerla» l’unica indicazione concreta su cui possiamo contare, così come l’esigenza, postulata da Camus, di «superarla nella solidarietà». Forse sta nella compassione e nell’empatia l’unica possibilità non effimera di «trasformare la crudeltà del dolore», dolore che resta purtroppo un’esperienza intrinseca all’esistere.
Auspichiamo che, oltre alle preziose testimonianze sulla malattia e la guarigione, giungano presto alla nostra redazione altre lettere che esprimano una presa di posizione rispetto agli scritti culturali e spirituali che proponiamo: perché il sollievo dal dolore e dal male può venire anche dal confronto vivo delle idee e dall’applicazione appassionata dell’intelligenza.
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