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Vivere la Storia attraverso le emozioni

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25/01/2010

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

27 gennaio: Giorno della Memoria
Che cos’è stato l’Olocausto? Chiediamolo ai nostri adolescenti dai 12 ai 20 anni. Chiediamolo in classe, all’inizio di una lezione di storia o d’italiano, per iscritto: “Scrivi che cosa significa per te l’Olocausto”. In una pagina. Così, come domanda di cultura generale. Per molti (forse per la maggioranza?) l’Olocausto è remoto, lontano come le guerre puniche o le invasioni barbariche. Oppure è una parola vuota, senza significato e senza emozioni. Anche perché spesso, nei programmi scolastici, la storia moderna latita ed è un miracolo se si arrivi alla prima guerra mondiale. Come trasmettere ai nostri ragazzi il senso profondo di questa immane tragedia? Perché la Storia insegni loro qualcosa e non sia mero nozionismo, muto elencarsi di date e di eventi, bisogna andare oltre il numero dei morti (drammatico ma “freddo”). Bisogna andare dentro la solitudine, dentro il terrore e l’angoscia, dentro il crollo di ogni certezza di vita, dentro la percezione emotiva di quello che l’Olocausto ha rappresentato per ognuno di quei sei milioni e più di uomini, donne, vecchi e bambini. Soprattutto per i bambini ed i ragazzi. Si comprendono meglio gli eventi – e non li dimentichiamo più – se un racconto ci porta a identificarci con il protagonista, a sentire quello che ha provato, quello che ha vissuto. A sentire la paura e l’umiliazione delle aggressioni a scuola, la rabbia e il senso di impotenza. La solitudine. La separazione forzata dalla famiglia. Soprattutto la disperazione, intesa nell’etimo drammatico di perdita di ogni speranza, che può portare all’annichilimento di ogni spazio di vita, anche nei più piccoli. In questo senso, un libro straordinario è “L’ultimo dei Giusti”, di André Schwarz-Bart (Feltrinelli). Il protagonista degli anni della persecuzione nazista è un bambino, Erni Levy, che morirà a vent’anni nella camera a gas di un campo di sterminio (anche se il libro copre una storia di persecuzioni che inizia nel 1185). E’ attraverso gli occhi, la solitudine, la disperazione di quel bambino, di quel ragazzo, che l’Olocausto mi è entrato nella pelle e nel cuore. Ho incontrato Erni, leggendolo, a dodici anni, e dell’Olocausto ho serbato una percezione che non mi abbandonerà più. L’ho ritrovato ora, con la stessa emozione, cosa rarissima quando si rilegga un libro dopo decenni. Certo, ci sono stati poi il “Diario” di Anna Frank, “Se questo è un uomo” e “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, “La scelta di Sophie” di Styron William, e tanti altri. Ci sono stati film e il toccante museo dell’Olocausto a Washington. Ma nessuno mi ha dato un senso così vivido della sofferenza atroce che quella persecuzione ha comportato. Non solo nella tragedia della “soluzione finale” dei campi di sterminio, ma nel terrore progressivo delle persecuzioni quotidiane negli anni che hanno preceduto la distruzione di massa di un popolo. E ho capito il perché di un dato inquietante: dal 1934 in poi, in Germania, i suicidi degli ebrei adulti si sono ridotti drasticamente, come sempre succede nelle situazioni di emergenza di ogni Paese. Ma in quegli stessi anni sono aumentati tragicamente i suicidi nei bambini di età scolare e negli adolescenti, come conseguenza delle continue violenze fisiche e verbali, delle aggressioni, delle umiliazioni subìte a scuola e in quartiere, del terrore e del bisogno disperato di mettere fine allo strazio della violenza quotidiana da parte degli adulti e dei coetanei tedeschi più facinorosi. Immedesimarsi nella Storia attraverso le emozioni di un bambino, di un ragazzo in cui riconoscersi, affina il senso etico, diventa sguardo interiore sugli eventi anche contemporanei. E può aiutare un adolescente a capire, a intuire, a sentire che cosa provino altri ragazzi perseguitati oggi nel mondo. Che cosa sia un genocidio. Che cosa si provi a essere aggrediti, anche in Italia, perché diversi, o di altra razza, o più deboli. L’empatia, la sintonizzazione sui sentimenti, sulle emozioni, sul dolore dell’altro, è la base vera dell’etica, al di là delle razze, delle culture e delle religioni. E’ la base del rispetto profondo dell’altro, nella sua differenza e nella sua verità. Per questo è essenziale che la Storia diventi emozione, e insegni, anche leggendo, diventando vita.
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