EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Saper comunicare l'essenziale, arte indispensabile della vecchiaia

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
05/11/2014

Tratto da:
Enzo Bianchi, L’arte di comunicare l’essenziale, Jesus, settembre 2014

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

L’uomo e la donna sono umani in quanto parlano e sono destinatari di parole. E’ questo il messaggio iniziale, e centrale, della riflessione di Enzo Bianchi, priore di Bose, sulle regole essenziali della comunicazione: una comunicazione che è spesso veicolo di violenza e fonte di dolore profondo, nelle relazioni familiari come in quelle amicali e di lavoro.
Bianchi ci consegna allora alcuni preziosi consigli su come parlare agli altri senza offenderne la libertà, la dignità e l’alterità: evitare le affermazioni troppo nette e direttive, che non lasciano spazio alla decisione e alla responsabilità di chi ascolta; avere comportamenti coerenti con le parole che si pronunciano, specialmente con i bambini; rispettare lo spazio dell’altro anche quando siamo animati dalla passione più travolgente; ascoltare ciò che diciamo, per chiudere ogni possibile via di espressione alla violenza; fare della comunicazione e delle relazioni un’occasione «per farsi del bene e diventare più buoni».
Nella vecchiaia, poi, diventa decisivo «vigilare per non diventare negativi, lamentosi, sempre in collera o addirittura abitati dalla rabbia», e imparare a comunicare l’essenziale, semplificando tutto ciò che si deve dire. Con una sorta di passo indietro, per lasciare che sia il racconto che facciamo del mondo e degli altri a trasmettere non la nostra verità, ma la bellezza e i possibili significati della vita.
Noi siamo umani perché ci viene rivolta la parola e perché parliamo. Per la maggior parte del tempo noi parliamo, e le parole ci servono per esprimere bisogni, per comunicare sentimenti, per chiedere informazioni, per conoscere l’altro, insomma per vivere insieme; ma interiormente ogni parola ha una risonanza, accende immagini e pensieri, forgia emozioni e sentimenti. Ogni espressione, quando raggiunge una persona, causa in chi la ascolta una vibrazione psicologica, innesca un moto interiore. Le parole sono come sassi scagliati in una pozza: anche il più piccolo tra di essi provoca un fremito della superficie dell’acqua.
Per questo occorre fare attenzione quando si parla: è bene mettersi all’ascolto anche di ciò che diciamo noi stessi. Innanzitutto bisogna evitare i toni apodittici, la parola che vuole imporsi: occorre rispettare la persona che ascolta e la sua dignità; evitare le affermazioni in cui risuonano “mai”, “sempre”, o i paragoni tra le persone; evitare le parole che esigono dagli altri, che ci fanno sembrare persone che danno ordini; evitare “si deve”, “bisogna”, perché queste espressioni tolgono la responsabilità agli altri, negano agli altri discernimento e libera decisione, precludono loro soprattutto la scelta. Solo così la comunicazione si spoglia della possibile carica di violenza.
Ma ci sono altri pericoli nel linguaggio, a cominciare dall’uso di un doppio linguaggio, di parole contrastanti con i segni o viceversa. Non si devono avere parole e comportamenti contraddittori, in particolare con i bambini, perché altrimenti li si disorienta e si instilla in loro la sfiducia. Un altro pericolo è quello del parlare dell’altro parlando di noi stessi. E’ facile questa patologia che proietta sugli altri i nostri bisogni e i nostri sentimenti, peggio ancora i nostri progetti. L’altro è altro, e occorre portargli rispetto anche nell’amore più forte e passionale: il bisogno dell’altro, il desiderio dell’altro non deve accecare, perché l’altro resta altro. L’altro deve accendere in me la responsabilità, deve darmi il desiderio di essere buono e di renderlo buono. E’ capitale, perché si deve stare insieme, tra amici o amanti, innanzitutto per questo: si sta insieme per farsi del bene, per diventare più buoni. L’uno ha la responsabilità di rendere più buono l’altro, sicché quando questo non accade, quando è contraddetto, e stare insieme significa diventare meno buoni o più cattivi, allora è necessario separarsi, a costo di rompere la relazione.
Infine, nel linguaggio occorre vigilare per non diventare negativi, lamentosi, sempre in collera o addirittura abitati dalla rabbia. Succede sovente negli anziani, ma è una situazione che genera tristezza. Chi si lamenta sempre, vede poco alla volta gli altri allontanarsi da sé, perché nessuno di noi ama stare insieme a chi comunica solo pensieri di tristezza o di lamento.
Ma qual è il mio desiderio oggi, da anziano? Comunicare l’essenziale, semplificare tutto ciò che devo dire, dire tutto con calma e dolcezza, e raccontare, raccontare: mi sembra l’unica maniera per parlare di me senza lamentarmi, ma raccontando il mondo, gli altri, che nel racconto mi sembrano meglio di come li ho vissuti. Dirsi all’altro attraverso il racconto è sempre un’opera di distacco da se stessi, per poter trasmettere all’altro non la propria verità, ma la bellezza e i significati possibili nella propria vita: è un’opera di speranza e di fiducia nel mondo.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.
Parole chiave di questo articolo
Sullo stesso argomento per pazienti

Il dolore e la spiritualità

Il dolore e la spiritualità

Il dolore e la spiritualità

Il dolore e la spiritualità

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter