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Invecchiare con coraggio, pacatezza, rispetto di sé

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18/02/2009

Tratto da:
Romano Guardini, Le età della vita, Vita e pensiero, Milano, 1986, p. 59-61
in: Comunità Monastica di Bose (a cura di), Letture dei giorni, Piemme, Casale Monferrato 1994, pag. 963-964

Guida alla lettura

Esistono due modi sbagliati di invecchiare, ed entrambi privano della possibilità di dare un autentico compimento all’esistenza: distogliere gli occhi dall’inevitabile fine e fingere di essere ancora, e per sempre, giovani; oppure arrendersi cinicamente al tempo che passa e aggrapparsi con ostinazione al materialismo senile, dando importanza solo alle cose tangibili, reclamate con petulanza tirannica. Secondo Romano Guardini, uno dei più famosi teologi del XX secolo, questi atteggiamenti nascono dall’incapacità di assumere la prospettiva della morte e di apprendere la grande lezione che emerge dalla caducità di ogni aspetto del reale.
Chi invece, al termine di un cammino di crescita serio e non improvvisato, giunge ad accettare la morte come parte della vita, matura poco per volta «discernimento, coraggio, pacatezza, rispetto di sé», e riesce a dare senso, valore e un’autentica prospettiva d’immortalità alla propria opera, nonostante la sensazione sempre più forte che, continuamente, ogni giorno, «qualcosa sia alla fine».
Quanto più l’uomo invecchia, tanto più intensamente avverte la fine. Se l’attesa allunga il tempo, la consapevolezza di quanto avverrà lo contrae. Si fa sempre più forte la sensazione che, continuamente, qualcosa sia alla fine: un giorno, una settimana, una stagione, un anno.
Si è sempre più consapevoli che quanto si fa ora lo si è fatto anche ieri, che l’esperienza fatta oggi è quella di otto giorni fa, col risultato che si assottiglia il periodo trascorso nel frattempo, e la vita scivola via sempre più velocemente.
A tutto questo s’aggiunge l’azione d’un secondo fattore, dovuto non al tempo, ma al succedersi degli avvenimenti stessi, e precisamente al modo in cui questi vengono vissuti: essi si fanno labili. Questo non significa che gli avvenimenti si diradino o che vengano sminuiti, bensì che la vita è sempre meno dominata dagli avvenimenti: chi li vive ne è meno toccato e non li prende più così seriamente, o meglio, se ne interesserà magari per senso di responsabilità, certo non spontaneamente.
Proprio per questo l’uomo che invecchia dimentica con sempre maggiore facilità quanto accade di volta in volta, mentre ai suoi occhi acquistano importanza gli avvenimenti di un tempo.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma quanto è stato finora detto basta per caratterizzare la crisi che ora insorge. Se e come questa verrà superata, dipende dal modo in cui si accetta la prospettiva della morte e si segue l’indicazione contenuta nella caducità e nella labilità delle cose.
Se questo non si verifica, si è di fronte all’uomo vecchio nel senso negativo, più precisamente, a colui che non vuole diventare “vecchio”. Può capitare allora che egli distolga gli occhi dalla prossima fine, facendo come se non si avvicinasse, e che si aggrappi allo stadio di vita che si va esaurendo e si comporti come se fosse ancora giovane. Tutto ciò può avere conseguenze tanto funeste quanto pietose. Uno dei più inquietanti fenomeni del nostro tempo è l’opinione che il valore della vita coincida sic et simpliciter con la giovinezza.
Tuttavia, potrà darsi che egli capitoli dinanzi alla vecchiaia incombente, rinunciando al coronamento della sua vita e aggrappandosi a ciò che gli resta. Da questo atteggiamento nascono i gravi fenomeni del materialismo senile, che attribuisce importanza esclusivamente alle cose tangibili, come il mangiare e il bere, il conto in banca, la poltrona comoda. Si sviluppa così la testardaggine senile, la smania di mettersi in luce, la tendenza a comportarsi da tiranno tormentando gli altri: e questo per convincersi di essere ancora qualcuno.
Per superare positivamente tale crisi, si dovrà accettare il fatto che si diventa vecchi. Si tratta di accettare la fine, senza soccombervi e senza svalorizzarla in modo superficiale o cinico.
È allora che compare un complesso di comportamenti e di valori assai nobili e importanti per la totalità della vita: discernimento, coraggio, pacatezza, rispetto di sé, valorizzazione della vita vissuta, dell’opera compiuta e del significato conferito all’esistenza. Di particolare importanza è il superamento dell’invidia verso i giovani, del risentimento nei confronti delle novità che si verificano nella storia, della gioia maligna nei confronti dei difetti e degli insuccessi del presente.

Biografia

Romano Guardini nasce a Verona nel 1885. La famiglia, di origine trentina, si trasferisce in Germania l’anno successivo. Il giovane studia teologia a Friburgo in Brisgovia e Tubinga, e nel 1910 è ordinato sacerdote. Nel 1923 ottiene la cattedra di Filosofia della religione e visione cristiana a Berlino. Nel 1939 i nazisti lo sollevano dall’incarico e lo confinano a Mooshausen, un piccolo villaggio dove, in compagnia di una ristretta cerchia di amici, riesce a proseguire i suoi studi.
Nel 1945, dopo la fine della guerra, diviene docente di Filosofia della religione a Tubinga e, dal 1948, a Monaco di Baviera. Nel 1962 si ritira per motivi di salute: morirà a Monaco di Baviera nel 1968.
Guardini è uno dei teologi di riferimento di Benedetto XVI ed è considerato uno dei più significativi rappresentanti della filosofia e teologia cattolica del Ventesimo secolo, soprattutto per quanto riguarda la liturgia, la filosofia della religione, la pedagogia, l’ecumenismo e la storia della spiritualità. Le sue analisi critiche di scrittori come Dante, Rilke e Dostoevskij, così come di filosofi e pensatori come Socrate, Platone, Agostino, Pascal, Kierkegaard e Nietzsche, sono apprezzate in tutto il mondo per la profondità e la chiarezza espositiva.
Con l’opera “Lo spirito della liturgia” (1917), Guardini pose le basi del rinnovamento liturgico cattolico, che troverà pieno compimento nella riforma avviata dal Concilio Vaticano II. In ambito politico, elaborò un’etica del potere valida non solo per le grandi ideologie, ma anche per i nuovi poteri anonimi dell’epoca contemporanea (media, burocrazia, economia). In pedagogia, evidenziò l’importanza dell’autocontrollo, dell’equilibrio fra autorità e libertà, e della creativa obbedienza alla propria coscienza.
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