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Il parto mi uccise, e varcai le porte del nulla

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16/11/2016

Tratto da: Edgar Lee Masters, “Amanda Barker”
In: Antologia di Spoon River, a cura di Fernanda Pivano, introduzione di Guido Davico Bonino, contributi di Cesare Pavese, Einaudi 1993
In: Antologia di Spoon River, a cura di Luigi Ballerini, Oscar Mondadori 2016

Guida alla lettura

Amanda Barker è la protagonista di una delle testimonianze più cupe dell’Antologia di Spoon River: in poche parole dolenti, che feriscono l’anima come lame di coltello, racconta la sua gravidanza e la sua morte per parto. Una circostanza non insolita, ai tempi in cui è ambientata la narrazione. Ma con un dettaglio agghiacciante: Henry, il marito, la mise incinta nonostante sapesse che la giovane non avrebbe potuto sopportare una gestazione senza perdere la vita e così, di fatto, ne decretò la morte per dare sfogo al suo odio.
Non ricordiamo un fatto di cronaca che riproduca l’atroce vicenda di Amanda: ma in un mondo tristemente infestato dalla violenza e dal femminicidio non possiamo escludere che, in qualche oscura regione del mondo, un uomo possa arrivare a tanto, e trasformare il concepimento di una vita in una sentenza di morte.
Quest’anno cade il centenario della celeberrima Antologia. Mondadori ha voluto celebrare l’evento con una nuova traduzione a cura di Luigi Ballerini – poeta, critico, italianista – attesa in libreria proprio in questi giorni. L’inserto “Tuttolibri” del quotidiano La Stampa, lo scorso 29 ottobre, ha confrontato la nuova versione dell’epitaffio di Amanda con quella storica, e per molti aspetti tuttora inarrivabile, curata negli anni Quaranta da Fernanda Pivano per i tipi di Einaudi.
Gli editori e gli studiosi concordano sul fatto che i classici non invecchiano, ma le loro traduzioni sì: ecco perché vanno periodicamente sostituite da nuove fatiche, che tengano conto di come una lingua cambia nel tempo. Uno degli esempi più recenti e significativi è costituito da “La montagna magica” di Thomas Mann, in cui persino il titolo (un tempo, “La montagna incantata”) è stato corretto in omaggio a una nuova e più consapevole lettura del dato linguistico tedesco. Ma può anche capitare – per motivazioni di ordine storico e artistico – che la nuova traduzione non sia destinata a sostituire le precedenti, ma solo ad aggiungervi la propria voce, arricchendo così la sinfonia di segni e significati di cui noi, felici lettori, possiamo fruire. E’ senz’altro questo il caso di Spoon River: entrambe le traduzioni vibrano di drammatica bellezza, e in esse – pur differenti – pienamente ci riconosciamo a partire dal capolavoro scritto in inglese. Si prendano, per esempio, i “portals of dust” che la sventurata fanciulla attraversa morendo di parto: le meravigliose “porte del nulla” di Fernanda Pivano, sublime metafora non priva di echi scritturali (la parola che in Ecclesiaste 1 è resa con “vanità” significa in realtà “nulla”, “vapore” , e suonerebbe “Abele”, nebbia, in una traduzione strettamente letterale dall’ebraico), diventano straordinari “cancelli di cenere” nell’energica versione di Ballerini, ove si riprende con maggiore puntualità il senso ultimo del termine inglese, e il termine ultimo della nostra vita mortale.
Dedichiamo la lirica di Amanda a tutte le donne che soffrono l’odio degli uomini che vivono accanto a loro, la loro gelosia, la loro ottusa violenza. Nei villaggi (nelle città) dove queste donne vivono, troppo spesso si crede che siano amate «di un tenero amore»: possano i nostri occhi aprirsi senza ambiguità e la nostra mano sostenerle nella scelta coraggiosa e difficile di dire basta all’abuso.
La versione di Fernanda Pivano

Henry mi rese madre,
pur sapendo che non potevo creare una vita
senza perdere la mia.
Nella giovinezza perciò varcai le porte del nulla.
Viandante, si crede nel villaggio dove io vissi
che Henry mi amasse di un tenero amore,
ma io proclamo dalla polvere
che egli mi uccise per soddisfare il suo odio.

La versione di Luigi Ballerini

Henry mi ha ingravidata
pur sapendo che,
mettendo al mondo
una nuova vita, avrei perso la mia.
Così, giovanissima,
ho varcato cancelli di cenere.
Al paese dove sono cresciuta
credono, o viandante,
che Henry mi amasse
come un marito devoto,
ma io da questa cenere dichiaro
che mi ha ucciso
per dare sfogo al suo odio.

L’originale di Edgar Lee Masters

Henry got me with child,
Knowing that I could not bring forth life
Without losing my own.
In my youth therefore I entered the portals of dust. 
Traveler, it is believed in the village where I lived
That Henry loved me with a husband’s love,
But I proclaim from the dust
That he slew me to gratify his hatred.

Biografia

Edgar Lee Masters nasce a Garnett, in Kansas, nel 1868. La famiglia è originaria dell’Illinois, ove ben presto fa ritorno. Dopo il diploma di scuola superiore, inizia a collaborare con il Chicago Daily News: il clima culturale della città, il cimitero cittadino di Oak Hill e il vicino fiume Spoon saranno preziose fonti di ispirazione per l’Antologia di Spoon River.
Dopo un lungo apprendistato presso l’ufficio legale del padre, ottiene la laurea in Giurisprudenza e l’abilitazione alla professione forense. Nel 1911 apre un proprio studio.
L’ascesa come scrittore inizia, nel 1914, quando sotto lo pseudonimo di Webster Ford scrive una serie di poesie sulle esperienze della sua infanzia. Tra il maggio 1914 e il gennaio 1915 vengono pubblicate sul Reedy’s Mirror quasi tutte le liriche della celeberrima Antologia, che uscirà in versione definitiva nel 1916. Con estrema semplicità espressiva, in versi appena ritmati, Masters riesce a creare un piccolo capolavoro di poesia realistica, sia pure con talune forzature di sentimentalismo e di genericità nella caratterizzazione dei tipi umani e delle vicende che rappresenta.
Dopo lo scarso successo della raccolta “The New Spoon River” (1924), abbandona la professione di avvocato per dedicarsi interamente alla scrittura. La sua opera ottiene la Mark Twain Silver Medal nel 1936, i premi della Poetry Society of America e della Academy of American Poets Fellowship nel 1942, e lo Shelly Memorial Award nel 1944. Negli ultimi anni, però, riesce a sostentarsi solo grazie ai prestiti di alcuni amici. Muore di polmonite il 5 marzo 1950.
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