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Dopo la morte di Paul

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22/10/2008

Tratto da:
Norman Maclean, In mezzo scorre il fiume, Adelphi, Milano, 1993-1998

Guida alla lettura

«In mezzo scorre il fiume» è la storia con cui Norman Maclean rievoca la propria giovinezza in compagnia del fratello minore Paul: due ragazzi del Montana, diversi nel carattere ma profondamente legati, che condividono la passione per la pesca, in foreste e fiumi di immensa e ancestrale bellezza.
Poco per volta Paul, che dei due è il più brillante ma anche il più instabile, scivola nel giro del poker clandestino. La famiglia intuisce qualcosa, ma l’incertezza sul da farsi, una sorta di pudore e l’orgoglio di Paul impediscono a Norman di prendere una posizione decisa a favore del fratello. Poco per volta, in modo quasi impercettibile, le cose non dette e non chieste finiscono per prevalere sui presentimenti. Nelle ultimissime pagine del romanzo, esplode la tragedia: Paul inizia ad accumulare debiti e nemici sino a quando, una notte di primavera, viene ucciso per vendetta. La famiglia – il padre è un ministro presbiteriano, la madre una donna semplice e solida, capace di amore fedele e silenzioso – sprofonda nell’angoscia. La domanda è sempre una sola: avremmo potuto aiutarlo? Un giorno il padre capirà che «sono proprio le persone con cui viviamo, che amiamo e che dovremmo conoscere meglio, a eluderci».
L’autore non racconta come abbia superato con il tempo il dolore e il senso di colpa, ma possiamo credere che in qualche modo vi sia riuscito, perché da anziano potrà dire: «Ormai tutte le persone che ho amato senza capirle quand’ero giovane sono morte, ma posso ancora ricreare la loro presenza». Quando chi abbiamo perso può sopravvivere nel nostro ricordo, significa che il perdono ha purificato i nostri e i suoi errori.
Dedichiamo questo brano a coloro che soffrono per le domande mai fatte e le parole mai dette.
Mio padre diventava sempre timido, quando era costretto a lodare un membro della famiglie, e i membri della famiglia si facevano sempre timidi quando venivano lodati. Mio padre disse: «Sei un bravo pescatore».
Mio fratello disse: «Sono abbastanza bravo con la canna, ma mi ci vorranno altri tre anni, prima di cominciare a pensare come un pesce».
Mentre riponevamo in macchina l’attrezzatura e i pesci, Paul ripeté: «Datemi solo altri tre anni». Al momento, quella ripetizione mi sorprese, ma in seguito capii che il fiume, chissà dove, doveva a sua volta avermi detto che Paul non avrebbe avuto il dono di quei tre anni. Infatti, quando il sergente di polizia, all’inizio di maggio, mi svegliò prima dell’alba, mi alzai senza fare domande. Insieme, attraversammo in macchina il Continental Divide e scendemmo per tutto il corso del Big Blackfoot River tra foreste dal tappeto giallo e a volte bianco di fiori, per dire a mio padre e a mia madre che mio fratello era stato picchiato a morte con il calcio di una pistola e buttato in un vicolo.
Mia madre si girò e salì in camera sua, dove aveva affrontato da sola, in una casa piena di uomini e canne da pesca e fucili, gran parte dei suoi problemi più grandi. Non mi avrebbe mai fatto nemmeno una domanda sull’uomo che amava di più e capiva di meno. Forse sapeva abbastanza da capire che doveva bastarle averlo amato. Paul era probabilmente l’unico uomo al mondo che l’avesse mai abbracciata inarcandosi all’indietro e ridendo.
Quando finii di parlare, mio padre mi chiese: «C’è qualcos’altro che puoi dirmi?».
Alla fine dissi: «Aveva quasi tutte le dita della mano spezzate».
Lui andò fino alla porta, poi tornò indietro in cerca di rassicurazione. «Sei sicuro che le ossa della mano fossero spezzate?» chiese. Io ripetei: «Aveva quasi tutte le dita della mano spezzate». «Quale mano?» chiese lui. «La mano destra» risposi.
Dopo la morte di mio fratello, mio padre non riuscì più a camminare come prima. Faticava ad alzare i piedi, e quando ci riusciva li posava con un movimento leggermente incontrollato. Di tanto in tanto voleva essere rassicurato sulla mano destra di Paul; poi si allontanava a passi strascicati. Non riusciva ad allontanarsi in linea retta, per via della fatica che faceva ad alzare i piedi. Come tanti altri ministri scozzesi prima di lui, doveva trarre tutto il conforto che poteva dalla sicurezza che suo figlio fosse morto combattendo.
Per un po’, però, lottò in cerca di altre cose cui aggrapparsi. «Sei sicuro di avermi detto tutto quello che sai della sua morte?» mi chiedeva.
Io dicevo: «Assolutamente tutto». «Non è molto, vero?». «No», rispondevo io «ma è possibile amare senza riserve anche senza capire tutto». «E’ quello che ho sempre saputo e predicato» diceva mio padre.
Una volta mio padre tornò sui suoi passi con un’altra domanda. «Credi che io avrei potuto aiutarlo?» mi chiese. Anche se avessi avuto il tempo di pensarci su, gli avrei dato la stessa risposta: «Credi che io avrei potuto aiutarlo?». Restammo a guardarci con reciproca deferenza, in attesa. Come si fa a rispondere a una domanda che riassume le domande di una vita?
Dopo molto tempo, papà mi chiese quello che probabilmente avrebbe voluto chiedermi fin dall’inizio. «Secondo te è possibile che si sia trattato solo di una rapina e che lui stupidamente abbia tentato di resistere? Sai cosa voglio dire... qualcosa che non aveva niente a che fare con il suo passato».
«La polizia non lo sa» dissi io.
«Ma tu cosa pensi?» chiese lui, e io percepii il significato implicito della domanda.
«Ti ho già raccontato tutto quello che so. Se proprio insisti, ti dirò che tutto quello che so, in realtà, è che Paul era un bravo pescatore».
«Tu sai qualcosa di più» disse mio padre. «Sai che era bellissimo».
«Sì» dissi io «era bellissimo. Era impossibile che non lo fosse... gliel’hai insegnato tu».
Mio padre mi guardò a lungo. Si limitò a guardarmi. E queste furono le ultime frasi che ci scambiammo sulla morte di Paul.
Indirettamente, però, mio fratello era presente in molte delle nostre conversazioni. Una volta, per esempio, mio padre mi pose una serie di domande che mi fecero dubitare di aver capito a fondo perfino lui, l’uomo al quale mi sono sentito più vicino tra tutti quelli che ho conosciuto. «A te piace raccontare storie vere, no?» mi chiese, e io risposi: «Sì, mi piace raccontare storie vere».
Allora lui mi chiese: «Quando avrai finito di raccontare tutte le storie vere che conosci, però, perché non ne inventi una, e anche i personaggi? Solo allora capirai cos’è successo e perché. Sono proprio le persone con cui viviamo, che amiamo e che dovremmo conoscere meglio, a eluderci».
Ormai tutte le persone che ho amato senza capirle quand’ero giovane sono morte, ma posso ancora ricreare la loro presenza.
Naturalmente, ormai sono troppo vecchio per essere un gran pescatore, e naturalmente di solito vado a pesca nel grande fiume da solo, anche se certi amici pensano che non dovrei. Come molti pescatori del Montana occidentale, dove le giornate estive hanno una lunghezza quasi artica, spesso comincio a pescare solo col fresco della sera. Allora, nella mezza luce artica del canyon, tutta l’esistenza si riduce a un essere con la mia anima e i miei ricordi e ai suoni del Big Blackfoot River e alla speranza di vedere un pesce.
Alla fine tutte le cose si fondono in una sola, e un fiume la attraversa. Il fiume è stato creato dalla grande alluvione del mondo e scorre sopra rocce che sono le fondamenta del tempo. Su alcune di queste rocce sono impresse gocce di pioggia senza tempo. Sotto le rocce ci sono le parole, e alcune delle parole appartengono alle rocce.

Biografia

Norman Fitzroy Maclean nasce a Clarinda, Iowa, il 23 dicembre 1902. Il padre John, ministro presbiteriano scozzese, si occupa di gran parte dell’educazione primaria dei figli. Nel 1909, la famiglia si trasferisce a Missoula, in Montana, dove il ragazzo vivrà i suoi anni più emozionanti e la sconvolgente esperienza della perdita del fratello.
Troppo giovane per essere arruolato durante la prima guerra mondiale, Norman lavora dapprima come taglialegna e nel corpo della Guardia Forestale, ma si sente profondamente attratto anche dal mondo della cultura. Laureato in storia della letteratura, apprezzato studioso di Shakespeare e dei poeti romantici, dal 1931 è professore di Letteratura Inglese all’Università di Chicago, incarico che mantiene fino al 1973. Dopo il ritiro, inizia una nuova, terza vita come scrittore, pubblicando nel 1976 “In mezzo scorre il fiume”, un breve romanzo basato sui ricordi struggenti e tragici della sua giovinezza.
Muore a Chicago nel 1990. Il suo secondo romanzo, “Young Men and Fire”, che rievoca il terribile incendio scoppiato nel 1949 a Mann Gulch, nel Montana, uscirà postumo nel 1992. “In mezzo scorre il fiume” colse un inatteso e immediato successo, ed è considerato uno dei più intensi romanzi della letteratura americana del Ventesimo secolo. Da esso fu ricavato nel 1992 un film diretto da Robert Redford.
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