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Mamme adolescenti: quando la maternità causa depressione e dolore. Come aiutarle? - Seconda parte
Diagnosi e terapia

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05/05/2008

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Introduzione

Nella prima scheda abbiamo visto come i disturbi dell'umore in puerperio siano una delle più gravi cause di solitudine femminile, e come – nonostante questo – tendano ad essere sottovalutati. Abbiamo anche esaminato:
1) i diversi tipi di disturbi dell’umore;
2) i fattori predittivi di vulnerabilità, con particolare riguardo alle adolescenti;
3) le comorbilità mediche e psicosessuali.
In questa seconda e ultima scheda illustriamo:
1) la “collusione del silenzio” riguardo ai disturbi dell’umore nelle mamme adolescenti;
2) i fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento della depressione puerperale;
3) i rischi per il bambino della mamma depressa;
4) come si diagnostica la depressione post partum;
5) la terapia a livello farmacologico, psicoterapeutico e psicosociale.

La collusione del silenzio

Che cosa facilita la persistenza di una depressione non diagnosticata e quindi non trattata (Hanusa et Al. 2008)? Un fattore cardinale, che potremmo definire “la collusione del silenzio” (Graziottin 2003, 2005).
La mamma adolescente non chiede aiuto:
a) per l’effetto emotivamente paralizzante della stessa depressione;
b) perché è o si sente sola e disperata;
c) perché non sa a chi rivolgersi;
d) perché non sa nemmeno che esista la depressione puerperale;
e) per la paura della stigmatizzazione sociale legata alla malattia mentale;
f) per fattori di isolamento culturale.
Una recente indagine condotta da “Scegli Tu”, il progetto istituzionale della SIGO per l’educazione contraccettiva, mostra come l’86% dei maschi e il 56% delle ragazze non sappia nemmeno dove si trovi il consultorio familiare della propria zona: se l’adolescente non va nell’unica struttura gratuita che avrebbe a disposizione, questo significa un fallimento totale delle campagne di informazione e di contraccezione.
Il ginecologo diagnostica raramente la depressione post partum, soprattutto nella adolescente:
a) per mancanza di formazione;
b) per mancanza di attenzione e tempo;
c) per mancanza di motivazione;
d) per ignoranza sulle conseguenze a lungo termine su madre e bambino. La frase peggiore che purtroppo viene pronunciata troppo spesso è: “Passerà”. Si tratta del peggiore dei commenti. Sì, forse passerà, ma quando? Come? E con quali ferite e cicatrici per la madre e per il bambino?

Fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento della depressione puerperale

La depressione è solo la punta dell’iceberg di una grande varietà di fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento, con cui possiamo rileggere i fattori predittivi menzionati nella scheda “Mamme adolescenti: quando la maternità causa depressione e dolore. Come aiutarle? – Prima parte – Disturbi dell’umore e fattori predittivi”. Ed è questo iceberg che poi può distruggere la vita della donna e del bambino (Graziottin 2003, 2005).
Il principale fattore predisponente è la vulnerabilità genetica neurobiologica alla depressione e all’ansia, cioè ai disturbi cosiddetti “affettivi”: ecco perché l’anamnesi personale e familiare è essenziale per le eventuali persone a rischio. Questa vulnerabilità può esprimersi sia come basso livello basale di mediatori critici, quali la serotonina, dai quali dipende il “colore di fondo” dell’umore, sia come vulnerabilità a importanti riduzioni dei livelli ormonali, specialmente degli estrogeni, e/o a stressor ambientali che altri soggetti, con migliori sistemi adattativi biologici, possono superare più agevolmente. Ma sono fattori predisponenti – come abbiamo visto – anche la solitudine, la povertà, un contesto psicosociale sfavorevole, la giovane età, abusi pregressi, la condizione di ragazza madre.
I fattori precipitanti ci vengono spiegati soprattutto dall’endocrinologia, che ci dice come la riduzione degli estrogeni dopo il parto (90-95% nel giro delle prime 48 ore) sia comunque un fattore di destabilizzazione dell’umore e responsabile, come minimo, delle famose “lacrime del latte”. Il fenomeno tuttavia non deve superare i 15 giorni, altrimenti diventa una vera depressione psichiatrica. L’effetto degli estrogeni nella modulazione del tono dell’umore è ben dimostrato, specialmente nei soggetti geneticamente predisposti alla depressione (vedi la tabella Fattori di vulnerabilità per la depressione puerperale). Il ruolo delle modificazioni di altri ormoni, quali il progesterone, il cortisolo, la prolattina e gli ormoni tiroidei, è invece più controverso.
Altri fattori precipitanti sono un parto traumatico, il bambino prematuro in cura intensiva o problematico, la gravidanza indesiderata, la solitudine, la mancanza di supporto familiare.
Tra i fattori di mantenimento il principale è la mancata diagnosi. Qui si inserisce con più forza la responsabilità dei medici, e qui sta il grande merito della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) nell’aver avviato una campagna di sensibilizzazione come “Non lasciamole sole. Una rete di tutela contro la depressione post partum”, perché tutti insieme possiamo davvero cambiare le cose.
Altri potenti fattori di mantenimento sono la solitudine, la mancanza di supporto sociale e familiare, la difficoltà economiche: anche a causa di queste variabili, le donne affette da depressione post partum hanno il doppio di probabilità di sperimentare un altro episodio depressivo maggiore entro cinque anni. E il bambino viene esposto ad altissimi rischi.

Fattori di vulnerabilità per la depressione puerperale

- Familiarità per depressione
- Precedenti episodi depressivi maggiori (aumento del rischio del 30%)
- Precedenti depressioni puerperali (rischio di ricorrenza del 70%)
- Ricorrente sindrome disforica della fase luteale tardiva pregravidica (sindrome premestruale psichica, PMS)
- Conflitti coniugali e relazioni di coppia con abusi fisici, psichici e/o sessuali
- Mancanza di fonti di supporto familiari e sociali
- Sovraccarichi emotivi per problemi fisici o psichici del piccolo
- Comorbilità con abuso di sostanze (alcool o droghe)
- Disturbi di personalità
- Ansia e disturbi di somatizzazione

Quali conseguenze ha sul bambino la depressione della madre?

La depressione della madre lascia infatti un’ombra nera sul destino del figlio (Minkovitz et Al. 2005). In questo senso, i ginecologi hanno una responsabilità fortissima nella diagnosi precoce della depressione materna e nella conseguente definizione, in sinergia con lo psichiatra e lo psicoterapeuta, di una cura adeguata.
Ciò premesso, le conseguenze psichiche sul bambino sono molteplici:
a) la madre ha un atteggiamento meno affettuoso e dimostra una minore recettività/responsività ai segnali che il piccolo le trasmette, con una riduzione significativa del numero di interazioni verbali e non verbali;
b) la conseguenza diretta del punto precedente è la frustrazione del bisogno di attaccamento del neonato, una frustrazione che indebolisce la costruzione della sua personalità. La soddisfazione del bisogno di attaccamento è infatti il pilastro su cui si fondano poi, in età adulta, la capacità di autonomia e di autostima. Quando invece la madre è depressa, manifesta spesso un disinvestimento emotivo dal piccolo, un atteggiamento ostile o, ancora, forme persecutorie di cura del bambino (“intrusività”);
c) si assiste inoltre a un significativo aumento degli abusi fisici (p<0.001). Questo è un dato particolarmente grave. Infatti la depressione ha anche una faccia rumorosa e aggressiva, che si traduce in percosse e abusi verbali. Anche nella sindrome premestruale uno dei segnali di disagio è che la madre diventa molto aggressiva con il bambino. A loro volta, i figli di madri depresse tendono ad essere scontenti, irritabili, evitanti, rumorosi, hanno una mimica meno sorridente e vocalizzano meno dei figli di madri serene: anche il pediatra può avere quindi un ruolo importante nel formulare la diagnosi.

Come si spiega questa fenomeno di emulazione?

Lo teoria dei “neuroni specchio”, elaborata dall’italiano Giacomo Rizzolatti, illustra come a livello della corteccia motoria – quando il piccolo osserva la madre che gli parla o gli sorride – avvenga un’attivazione dei neuroni che coordinano i medesimi movimenti prima che siano realmente effettuati per imitazione. Questo fenomeno viene definito “neuronal mirroring” e indica un’attivazione cerebrale nell’area motoria che precede, come una sorta di “prova generale”, il movimento effettivo del piccolo. Si tratta, come mi piace dire, di una sorta di “gestazione empatica comportamentale”. Quindi, se la madre sorride, il bambino apprende il comportamento di sorriderle prima di farlo effettivamente. Viceversa, la madre è aggressiva, il linguaggio emotivo che il bambino impara sarà quello dell’aggressività. In altre parole,noi apprendiamo perché “rispecchiamo” i comportamenti degli altri.

Ci sono altri effetti sull'equilibrio psicofisico del piccolo?

Purtroppo sì. In particolare si registra un aumento del 44% dei ricorsi al pronto soccorso pediatrico, per incidenti domestici, e una riduzione del 20% dei controlli pediatrici periodici e delle vaccinazioni, rispetto ai bimbi di madri non depresse: due parametri obiettivi e inquietanti che correlano con il netto scadimento dell’attenzione nei confronti del piccolo, fino alla franca negligenza, da parte della madre depressa.
Nel lungo termine, infine, il bambino può sviluppare problemi cognitivi ed emotivi. A livello cognitivo, questi bambini presentano a 11 anni un QI significativamente inferiore rispetto agli altri e spesso manifestano problemi di attenzione e di concentrazione. Essi presentano inoltre:
- disturbi comportamentali e una minore “competenza sociale”, perché non hanno acquisito il linguaggio dell’empatia e quindi non lo possono esprimere;
- un minore QE (quoziente di intelligenza emotiva), che oggi sappiamo essere un fattore predittivo di riuscita nella vita molto più significativo del QI, perché l’intelligenza emotiva è un fattore essenziale di intelligenza sociale e di capacità di rapportarsi agli altri in modo efficace.
Molti dei disturbi dell’attenzione che colpiscono oggi in modo epidemico i bambini del mondo occidentale potrebbero dunque avere un cofattore importante nella deprivazione sensoriale, emotiva e giocosa, dei primi anni di vita. Questa può infatti causare un’incapacità di soffermarsi sulle persone prima ancora che sulle cose, perché nessun ancoraggio affettuoso ha stimolato, grazie a cure amorevoli, la capacità di dedicare attenzione e di pensare riflettendo.

Come diagnosticare la depressione?

Nella scheda “Mamme adolescenti: quando la maternità causa depressione e dolore. Come aiutarle? – Prima parte – Disturbi dell’umore e fattori predittivi” abbiamo visto come la diagnosi di depressione puerperale sia probabile quando la donna ha un umore significativamente triste o una franca assenza di piacere in qualsiasi attività, incluso il prendersi cura del bambino e quando questi sintomi siano presenti per due settimane o più (Graziottin 2003, 2005; Yonkers e Chantilis 1995). Questa durata, lo ripetiamo, è considerata clinicamente importante per la diagnosi differenziale rispetto ai più lievi “baby blues” che si risolvono spontaneamente in pochi giorni. Come criterio aggiuntivo, la diagnosi di depressione puerperale è altamente probabile quando almeno 4 o più dei sintomi elencati nella tabella “Sintomi di depressione puerperale” della medesima scheda persistano per due settimane o più.
Un dialogo attento con un ascolto empatico del linguaggio verbale e non verbale della giovane donna sono essenziali. Anche le parole del medico devono essere semplici, devono saper cogliere gli elementi meritevoli di attenzione con un linguaggio aderente alla realtà quotidiana, facile da comprendere e da seguire da parte della giovane donna che spesso è spaventata, emotivamente contratta, in atteggiamento di difesa o di vera e propria sfiducia.
Alcune domande di vita quotidiana, semplici e precise, sono utili a comprendere lo stato reale dell’umore della neomamma, e – cosa importantissima – possono essere poste anche dal partner, da un familiare o da un’amica. La valutazione clinica e i test specifici, come il Test di Hamilton per l’ansia e la depressione, e l’Illness Behaviour Questionnaire, sono invece di netta competenza medica.
La prima diagnosi consiste dunque in un colloquio attento, sensibile e dolce, perché la dolcezza porta a sentirsi accolti e questo è il primo passo che il ginecologo può fare insieme con la psichiatra o la psicologa. La prima cosa, in altre parole, è capire che c’è questo dolore nel non sentirsi madri adeguate, e nel dargli voce.

Alcune domande-chiave in fase di anamnesi

a) Riesci a dormire quando il bambino dorme? La qualità del sonno è un fattore preventivo importante per la salute mentale: la mamma sana allatta, si riaddormenta velocemente e recupera tra un risveglio e l’altro; la mamma depressa dice che il bambino l’ha svegliata e poi non è più riuscita a dormire.
b) Mangi con appetito o senza voglia, o ti abbuffi? Nell’adolescente il disturbo del comportamento alimentare è un segnale di attenzione di qualcosa di sostanziale che non funziona nel rapporto con il proprio corpo e, nello specifico, con la corporeità della maternità. Il compenso nel cibo, come tentativo più o meno conscio di placare compulsivamente l’angoscia interiore che la neomamma non riesce ad affrontare sul terreno psichico, può inoltre presentare una sovrapposizione clinicamente rilevante con la bulimia.
c) Ti senti sola? Se quando il medico pone con dolcezza questa domanda la ragazza inizia a piangere e singhiozzare, la diagnosi è fatta: le domande che vanno al cuore fanno sì che la persona si senta compresa nella sua solitudine. E questo è il primo passo per stabilire un’alleanza terapeutica di qualità.
d) Hai voglia di uscire o preferisci stare in casa? Anche questo è un segnale di attenzione: la donna felice di essere mamma fa volentieri una passeggiata con il suo bimbo, e lo presenta con orgoglio al mondo; la mamma depressa resta chiusa in casa. Questa domanda apparentemente neutra può dunque aiutare il medico a riconoscere la tendenza della giovane a chiudersi nella propria palude depressiva, privando se stessa dell’aiuto diretto e indiretto che può venire dagli altri e il bambino di altrettanto vitali possibilità di stimoli e interazioni con altri adulti e bambini.
e) Ti fa piacere prenderti cura di te, o non te ne importa niente? Quando la donna tende a lasciarsi andare, il sintomo è tanto più preoccupante quanto più si distingue dal suo atteggiamento precedente di cura di sé.
f) Ti sembra che il bambino sia un carico eccessivo per te? Questa domanda ha un’elevata valenza empatica, perché significa: «Capisco che potrebbe esserlo. E’ una cosa comprensibile e non ti colpevolizzo per questo. Anzi, lo sarebbe anche per me, se fossi una giovane mamma». Si tratta dunque di una frase che aiuta molto la ragazza a sentirsi capita e a dare voce a un sentimento di inadeguatezza che può altrimenti diventare paralizzante. Non dimentichiamo infatti che, in un caso su tre, le neomamme più giovani, specialmente se adolescenti, hanno questa netta sensazione che le fa sentire in colpa e del tutto inadeguate.
g) Temi di far del male al bambino? E’ un modo gentile e indiretto per cominciare a far emergere un disagio più profondo, e che può consentire al medico di diagnosticare anche le prime battute di una psicosi puerperale, disturbo psichiatrico più raro della depressione, ma molto grave e pericoloso sia per la mamma che per il bambino.
h) Il bambino ha cambiato la tua vita in un modo imprevisto e/o che ti preoccupa ? Qui torna il problema legato al “bambino dei sogni” e al suo confronto con il piccolo che invece ha qualche problema, che soffre anche solo di piccole coliche o ha difficoltà di sonno che la mamma però non sa come trattare (Graziottin 2003).

Come curare la depressione dopo il parto?

I disturbi dell’umore in puerperio meritano attenzione clinica sia per la sofferenza che comportano, sia per i rischi che implicano per la madre e per il bambino, specialmente nelle forme severe. Anche le forme di media gravità, tuttavia, non devono essere banalizzate in quanto possono creare una significativa riduzione della qualità dell’accudimento del bambino, comportando una sindrome da deprivazione emotiva, affettiva e cognitiva che può lasciare cicatrici indelebili nel futuro del piccolo.
Il grado di depressione in sé, peraltro, non dovrebbe dettare in maniera definitiva il tipo di intervento. Il trattamento deve essere piuttosto basato sulle esigenze reali della donna, sulla sua situazione affettiva e psicosociale, oltre che naturalmente sulla gravità dei sintomi. Questi sono i risultati a cui è giunto anche un recente studio canadese sull’attenzione alla personalizzazione del trattamento (McQueen et Al. 2008).

La terapia della depressione segue tre linee di intervento:

a) farmacologica (Graziottin 2003; Gabbard 1998; Wisner et Al. 1996):
- ormonale: alcuni studi indicano che la terapia estrogenica, da sola o in associazione con gli antidepressivi, può contribuire a ridurre la componente biologica della depressione puerperale. L’associazione fra i due farmaci va valutata congiuntamente dal ginecologo e dallo psichiatra curanti;
- con antidepressivi: modulatori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e antidepressivi triciclici sono i farmaci di scelta. Gli SSRI presentano il miglior profilo d’azione, con minori e meno frequenti effetti collaterali, nonché maggiori margini di sicurezza, rispetto ai triciclici. Nelle donne che allattano, i triciclici sono stati ampiamente studiati e usati in passato: non sono stati dimostrati livelli plasmatici significativi né effetti collaterali significativi nel bambino allattato al seno;

b) psicoterapeutica: è indicata quando fattori psicosessuali o relazionali emergono come importanti cofattori nel favorire, precipitare o mantenere la condizione depressiva. E’ più impegnativa e più costosa, ma è di particolare importanza per le neomamme adolescenti, che hanno più bisogno di essere sostenute nella difficile crisi transizionale, quando la loro maturazione e i loro meccanismi di adattamento e risposta agli stressor ambientali (“coping”) sono inadeguati;

c) psicosociale: di supporto alla donna nella cura del bambino, se possibile sensibilizzando i familiari e il partner, e/o fornendo un sostegno esterno domiciliare, anche attraverso l’assistente sociale.

I casi di psicosi puerperale con delirio sono normalmente trattati con neurolettici, e vanno seguiti in ambiente protetto e con personale specializzato (Wisner et Al. 1996; Mc Queen et Al. 2008). In queste situazioni va dedicata una maggiore attenzione anche alle cure domiciliari post ricovero, dato l’elevato rischio di recidive oltre i due anni dal parto.
Accanto allo psichiatra, che è la figura cardinale di riferimento terapeutico per la depressione e la psicosi post partum, i ginecologi possono fare moltissimo anche nell’area delle anemie. Nella mia esperienza di ginecologa che da trent’anni vive questo lavoro con molta passione, l’attenzione ad avere un emocromo perfetto in gravidanza riduce drasticamente la vulnerabilità alla depressione puerperale. La depressione è infatti un’assenza di energia vitale e quando una donna ha un’emoglobina gravemente ridotta, perché è molto anemica, necessariamente si sente spossata e priva di forze: e questo può creare una vulnerabilità neurobiologica all’emergere della depressione anche sul fronte psichico.
Non va però mai dimenticato che i disturbi dell’umore in puerperio devono essere affrontati nella loro multifattorialità: non solo vanno quindi curate le condizioni che peggiorano astenia e debolezza (anemia sideropenica, ipomagnesemia, dieta inadeguata), ma bisogna sempre anche “dare parole al dolore”, offrendo cioè alla giovane donna – come abbiamo già sottolineato – l’opportunità di parlare di sé, dei propri sentimenti di inadeguatezza, delle proprie paure, della propria solitudine, delle proprie speranze.

In sintesi

- Spesso la depressione post partum nelle adolescenti non viene diagnosticata a causa di una "collusione del silenzio” fra la giovane mamma e il medico
- Il principale fattore predisponente alla depressione puerperale è la vulnerabilità genetica neurobiologica alla depressione e all'ansia
- I fattori precipitanti includono: la riduzione degli estrogeni dopo il parto; le condizioni traumatiche del parto; la nascita prematura e/o le condizioni problematiche del bambino; la gravidanza indesiderata; la solitudine; la mancanza di supporto familiare
- Tra i fattori di mantenimento spiccano: la mancata diagnosi; la solitudine; la mancanza di supporto sociale e familiare; la difficoltà economiche
- I disturbi dell’umore post partum meritano tempestiva attenzione clinica per le potenziali gravi conseguenze per la madre e per il bambino, soprattutto nelle madri adolescenti
- Le conseguenze negative per il bambino includono: la frustrazione del bisogno di attaccamento; forme persecutorie di cura; l’aumento degli abusi fisici; l’aumento degli incidenti domestici; la riduzione dei controlli pediatrici periodici e delle vaccinazioni; problemi cognitivi ed emotivi
- A livello di diagnosi, è essenziale un ascolto empatico del linguaggio verbale e non verbale della giovane donna
- Alcune semplici domande di vita quotidiana aiutano comprendere lo stato reale dell’umore della neomamma
- La terapia segue tre linee di intervento: farmacologica (ormonale e/o con antidepressivi), psicoterapeutica, psicosociale
- Il mantenimento di un livello ottimale di emocromo in gravidanza riduce drasticamente la vulnerabilità alla depressione puerperale
- I medici dovrebbero strutturare frequenti controlli periodici nel primo anno dopo la nascita sia per far sentire alla donna che non è e non sarà più sola, sia per riconoscere tempestivamente le condizioni di depressione e/o comunque di vulnerabilità affettiva meritevoli di attenzione clinica e psicosociale

Approfondimenti specialistici

Gabbard G.O. (1998)
Psichiatria Psicodinamica, Masson, Milano, 1998

Graziottin A. (2003)
Modificazioni del tono dell’umore in puerperio
In AA. VV., Atti del LXXIX Congresso Nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) su “Dal concepimento alla nascita”,

CIC Edizioni Internazionali, Roma, 2003, pag. 599-606, 2003

Graziottin A. (2005)
Sessuologia medica: maschile e femminile
In Di Renzo G.C. (a cura di), Ginecologia e Ostetricia, Verduci Editore, Roma, 1462-1492, 2005
Full text disponibile su www.alessandragraziottin.it

Hanusa B.H. Scholle S.H, Haskett R.F. et Al. (2008)
Screening for depression in postpartum period: a comparison of three instruments
J Womens Health (Larchmt). 2008 May; 17 (4): 585-96

Mc Queen K. Montgomery P. Lappan-Grancon S. et Al. (2008)
Evidence-based recommendations for depressive symptoms in post-partum women
J Obstet Gynecol Neonatal Nurs 37, 127-136, 2008

Minkovitz C.S. Strobino D. Scharfstein D. Hou W. Miller T. Mistry K.B. Swartz K. (2005)
Maternal Depressive Symptoms and Children’s Receipt of Health Care in the First 3 Years of Life
Pediatrics 115: 306-314, 2005

Yonkers K.A. Chantilis S.J. (1995)
Recognition of depression in obstetric/gynecologic practices
Am. J. Obstet. Gynecol. 173 (2): 632-638, 1995

Wisner K.L. Perel J.M. Findling R. (1996)
Antidepressant treatment during breast-feeding
Am. J. Psychiatry 153 (9): 1132-1137, 1996

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