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Si può sempre ricominciare. Riflessione su Luca 15,11-32

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05/09/2018

Tratto da:
Lisa di Bose, Un abisso riempito d’amore, monasterodibose.it/preghiera/vangelo-del-giorno/12384-un-abisso-riempito-d-amore

Guida alla lettura

A maggio, commentando un brano del Vangelo di Giovanni, abbiamo visto che nella vita, a volte, ci vuole coraggio a ricominciare. Oggi l’evangelista Luca ci insegna che, agli occhi di Dio, ricominciare è sempre possibile, e che questo, forse, è vero anche in una visione laica dell’esistenza.
La parabola è nota: un figlio chiede al padre la propria parte di eredità; la sperpera in un paese lontano; colpito dalla povertà ritorna a capo chino; il padre lo accoglie con gioia; il fratello maggiore si scandalizza per la misericordia del padre, che gli ribadisce la necessità di festeggiare per quel figlio perduto e ritrovato. Non sappiamo come sia finita questa antica vicenda: non sappiamo se il figlio maggiore si sia convinto e sia entrato in casa a festeggiare il fratello. Ma il senso della storia si chiarisce prima di ogni possibile epilogo, ed è qui che si apre la sua dimensione laica: non c’è nessuna situazione irrimediabilmente perduta, se qualcuno – inclusi noi stessi! – è pronto a darci fiducia, a tenere accesa la nostra speranza. A nostra volta siamo chiamati a dare speranza e fiducia agli altri, a chiunque incontriamo in difficoltà sulla nostra strada.
La parabola contiene poi altri insegnamenti, solo in apparenza minori: la tentazione di lasciare il “qui e ora” della nostra esistenza è sempre dietro l’angolo, così come l’attrattiva del “paese lontano”, l’illusione di una vita senza difficoltà; non c’è alcuna idealizzazione nella conversione del figlio, che torna perché costretto dalla fame più crudele; il figlio stesso non si aspetta che di essere trattato come un servo, esattamente come vorrebbe il fratello maggiore; il padre non solo lo accoglie così, ma colma con il suo amore l’abisso che si era creato con lui; il perdono non segue il pentimento, ma lo anticipa e lo suscita.
Cose forse troppo grandi per noi, uomini e donne alle prese con la fatica di vivere. Ma resta quel monito fondamentale: ripartire è sempre possibile. Insegniamolo a noi stessi e a chi ci sta vicino, perché la vita non venga mai sprecata ma sempre valorizzata al meglio, nella ricerca di se stessi e della propria realizzazione.
Gregorio Magno in una lettera a un amico scrive: «Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio» (Lettera 5,46). Ed è proprio del cuore di Dio che si parla in questa parabola di Luca: Dio ha un cuore grande, non solo si dimentica del peccato ma dà all’uomo un cuore nuovo. Non c’è nessuna situazione irrimediabilmente perduta. Si può sempre ricominciare, perché Dio stesso ci viene incontro, ci abbraccia, ci riconduce a casa.
C’è un padre che ha due figli e ama entrambi, eppure tutti e due si allontanano dal suo amore, non lo hanno capito e non lo sanno fare proprio.
Il secondogenito chiede l’eredità quando il padre è ancora in vita, vuole andarsene lontano dal padre e dal fratello, sogna un’altra vita. Tante volte ospitiamo in noi il sogno, l’illusione di una vita senza difficoltà, in cui non ci siano né limiti né divieti e non si debba portare il peso dell’altro. Il padre non si oppone, sa che non servirebbe a nulla, e il figlio parte, mette una distanza tra sé e il padre, tra sé e il fratello. Crede di essere padrone e signore della propria vita, di farne ciò che vuole e si trova nell’abisso della disperazione. A questo punto rientra in se stesso. Non c’è nessuna idealizzazione della conversione di questo figlio, non si è pentito: si trova nel bisogno, non sa dove andare e decide di ritornare a casa. Mentre è ancora lontano, il padre lo vede, gli corre incontro, lo abbraccia; ha sofferto per la lontananza del figlio e probabilmente intuiva che sarebbe finito male, ma non ha lasciato che il suo amore si intiepidisse. Con il suo amore riempie quell’abisso che si era creato tra lui e il figlio. E’ un padre che per la seconda volta dà la vita a un figlio che era morto. Il perdono di Dio non suppone il pentimento del colpevole, anzi, è il perdono che genera il pentimento, è l’amore che induce a cambiare. Scrive Giovanni Climaco: «La conversione è figlia della speranza e rinnegamento della disperazione» (Scala 5,2). È la speranza che induce a cambiare, non abbiamo paura di far fiducia agli altri, di dare speranza.
Il padre dà ordine che si faccia festa: il figlio era morto, è tornato in vita. Lo ripete due volte, lo dice ai servi e poi lo dirà anche al figlio maggiore. La conversione è già una resurrezione, un’anticipazione della resurrezione finale. Ogni volta che nel nostro cuore si apre un cammino di conversione sperimentiamo qualcosa di quella vita che un giorno vivremo in pienezza.
La musica e la danze hanno offeso il fratello maggiore. Il fratello minore torni pure a casa, ma che sia trattato a pane e acqua, porti il cilicio da penitente e pianga amare lacrime di penitenza. È difficile sentirsi fratelli dei peccatori! Il fratello maggiore, rimasto sempre in casa, non si scandalizza tanto della condotta del fratello ma della bontà, della misericordia del padre. Era rimasto sempre in casa, ma aveva capito l’amore del padre? Aveva vissuto come un servo, forse senza incontrare nel corso della sua vita occasioni di grandi peccati, ma non aveva mai amato veramente il padre e non aveva mai imitato il suo amore, e alle parole del padre risponde con le sue rivendicazioni.
Nessuno dei due figli ha capito l’amore del padre. Ce n’è uno che l’ha capito: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che per amore ha lasciato la casa del Padre, si è mescolato a peccatori, a prostitute, a uomini dal cuore duro che si sentivano giusti, e non si è vergognato di chiamarci fratelli (cf. Eb 2,11). E a tutti noi ha indicato la via per ritornare al Padre.

Il brano del Vangelo di Luca

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
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