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Puerperio, il delicato passaggio verso l'autonomia del neonato

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15/02/2019

Le vostre lettere alla nostra redazione

Cara professoressa Graziottin, sono mamma di una bimba di sei mesi. Non immaginavo quanto fosse travolgente l’arrivo di un neonato: la mia vita e quella del mio compagno sono ormai irriconoscibili, e questi mesi così faticosi, e a volte sconfortanti, sono stati resi ancora più difficili dalla marea di suggerimenti e consigli non richiesti che vengono da parenti, amici e, a volte, da perfetti sconosciuti.
La piccola, che allatto al seno a richiesta, sta iniziando lo svezzamento ed è in piena salute. Ciò mi rende felice e mi rassicura circa il nostro operato. La delicatezza del post partum mi ha tuttavia resa vulnerabile e i pareri ricevuti hanno, fino a poche settimane fa, generato in me molta confusione, contribuendo ad aumentare i dubbi su ciò che è meglio fare per la mia creatura. A distanza di sei mesi dal parto ho però sviluppato alcune convinzioni che mi stanno aiutando a crescere la mia bimba con maggiore sicurezza.
Viviamo in una società che considera profondamente negativo il contatto fisico con un neonato. Il neonato dovrebbe essere autonomo in numerosi aspetti già a pochi mesi di vita: dallo stare tranquillo nella carrozzina o sulla sdraietta per ore, all’addormentarsi e riaddormentarsi da solo. Ma soprattutto, secondo opinione diffusissima, dovrebbe abbandonare il seno entro pochi mesi, perché è scandaloso proseguire con l’allattamento per più tempo. Stare in braccio, essere portato in fascia o essere allattato oltre una certa età sarebbero comportamenti nocivi per il neonato, che crescerebbe viziato. Ma gli adulti non hanno vizi? Perché mai si parla sempre e solo dei vizi dei bambini? Eppure, più o meno inconsciamente, anch’io avevo gli stessi pregiudizi, prima però di fare i conti con la realtà.
Mia figlia non ha voluto saperne di stare nella carrozzina né nell’ovetto in auto. Erano pianti disperati, che non si esaurivano da sé e che non ci permettevano di uscire di casa serenamente. Numerosi sapientoni ci suggerivano di lasciarla piangere, perché poi si sarebbe abituata; all’inizio, ahimè, ci abbiamo provato, peraltro senza alcun risultato, ma dopo qualche uscita abbiamo capito che non era quella la via da seguire e abbiamo iniziato ad assecondarla e portarla fuori in fascia, che usiamo spesso ancora oggi. Ho dimenticato l’auto per circa un mese e mezzo ed abbiamo riprovato a portarla in macchina solo a poco meno di tre mesi, quando abbiamo ritenuto che potesse essere pronta. E infatti è andata meglio, ma non perché si fosse abituata: semplicemente, a nostro parere, era un po’ cresciuta e riusciva a vedere ciò che succedeva intorno a lei e a non avere paura.
La mia piccola non sa ancora addormentarsi e riaddormentarsi da sola, e lo fa con il mio seno. Ogni altro tentativo è vano. Offrire il seno è la cosa più efficace e istintiva per indurre il suo sonno, che credo sia una necessità per tutti gli esseri umani e un nutrimento per corpo e mente, dunque un qualcosa di imprescindibile. Oltre al fatto che anch’io, così facendo, posso riposare per accudirla l’indomani. Mi chiedo quindi per quale ragione io debba ostacolare il suo sonno ricorrendo ad altri sistemi che la farebbero piangere disperata. Ma so che la nostra società vedrebbe con occhio più accondiscendente l’uso di ipnoinducenti piuttosto che il ricorso al seno materno. Il mio pensiero va quindi a quei neonati che vengono lasciati piangere nei loro lettini al buio, per far sì che imparino a dormire da soli. Mi immagino il loro terrore e credo che se una cosa del genere venisse fatta a un adulto o a un anziano, l’artefice verrebbe denunciato. Ma sembra che con i bambini si possa fare qualunque cosa.
Lo stesso corso pre-parto, che pure ho frequentato presso il principale ospedale ginecologo-ostetrico piemontese, ci presentò l’allattamento unicamente come fonte di cibo. Usare il seno per altro è visto come un tabù, una rovina per il bambino, che non si staccherà più, che non acquisirà mai autonomia. Allora sorrido pensando a tutti quei trentenni o quarantenni che, pur lavorando e guadagnando da vivere, rimangono a casa dei genitori dove la loro mamma cucina, lava e stira per loro. Sono forse adulti autonomi, queste persone? E mi dico che vorrei che la mia bimba fosse autonoma quando avrà l’età per farlo. Ma adesso perché sarebbe sbagliato rispondere ai suoi bisogni per il timore di minare una futura autonomia? Tanto più che, pur essendo molto impegnativa, è al tempo stesso una bimba molto sorridente, che protesta spesso, ma ha pianto molto poco. La linea dell’accondiscendere ai suoi bisogni mi sembra quella che la fa crescere nel modo migliore.
Non riesco a pensare che le sue attuali necessità siano dei capricci o un modo per manipolarci. Credo che, per ora, assecondarla e garantirle un clima familiare sereno siano il massimo che possiamo fare. L’educazione, la disciplina e l’autonomia verranno in seguito, quando l’interazione con il mondo sarà maggiore. E penso all’esempio di certe tribù africane, dove si pratica un maternage ad alto contatto. Dove i bambini piangono pochissimo e crescono felici. E autonomi.
Fiamma
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