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Fede religiosa e aspettativa di salute: una correlazione positiva

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28/07/2016

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Li S, Stampfer MJ, Williams DR, VanderWeele TJ.
Association of religious service attendance with mortality among women
JAMA Intern Med. 2016 Jun 1; 176 (6): 777-85. doi: 10.1001/jamainternmed.2016.1615
Valutare la correlazione fra partecipazione ai riti religiosi e mortalità femminile: è questo l’obiettivo dello studio di S. Li e collaboratori, dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston, Massachusetts (USA).
La ricerca è iniziata nel 1992 ed è stata completata 20 anni dopo, nel 2012, valutando ben 74.534 infermiere statunitensi. Si tratta quindi uno studio prospettico, molto serio per numerosità del campione, lunghezza del monitoraggio, accuratezza della raccolta dei dati e qualità della loro analisi. Le infermiere hanno periodicamente completato una serie di test e questionari, fra cui quelli relativi alla pratica del proprio eventuale credo religioso. All’inizio dello studio, le partecipanti non soffrivano di malattie cardiovascolari né di cancro. I dati grezzi sono stati corretti in base a tre gruppi di variabili: sociodemografiche, storia clinica e stili di vita.
Questi, in sintesi, i risultati:
- nel corso dello studio, si sono registrati 13.537 decessi, di cui 2.721 per accidenti cardiovascolari e 4.479 per cancro;
- partecipare a un servizio religioso per più di una volta la settimana riduce la mortalità globale del 33%, rispetto alle persone non praticanti (hazard ratio, HR: 0.67; 95% CI, 0.62-0.71; P < .001);
- in particolare, la mortalità si riduce del 27% sul fronte cardiovascolare (HR: 0.73; 95% CI, 0.62-0.85; P < .001) e del 21% sul fronte oncologico (HR: 0.79; 95% CI, 0.70-0.89; P < .001);
- le variabili potenzialmente più efficaci nel mediare la correlazione tra fede e salute, e che tendono a caratterizzare in positivo la vita delle persone credenti, includono il minor tasso di depressione (11%), l’astensione dal fumo (22%), il maggior supporto sociale (23%) e il maggior ottimismo (9%): le non elevate percentuali di contribuzione fanno comunque pensare che la donna credente stia complessivamente meglio della non credente per un insieme di ragioni sinergicamente legate e difficilmente isolabili l’una dall’altra.
Avere fede e andare un servizio religioso più di una volta la settimana può dunque ridurre la mortalità globale, cardiovascolare e oncologica, allungando così l’aspettativa di salute. La spiritualità della paziente, quando viva e coltivata, può essere una risorsa in più a disposizione del medico in chiave preventiva e terapeutica.
Per una più approfondita analisi delle possibili correlazioni tra religiosità e salute rimandiamo all’articolo della professoressa Graziottin “Spiritualità e salute: le ragioni dell'anima e del corpo”.

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