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E contro il dolore si va in battaglia

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13/06/2012

Selezione e recensione di Pino Pignatta

Guida al film
La guerra è dichiarata, di Valérie Donzelli
Con Valérie Donzelli (Juliette), Jérémie Elkaïm (Romeo), César Desseix (Adam a 18 mesi), Gabriel Elkaïm (Adam a 8 anni)
La trama del film sta tutta nel titolo: la guerra è dichiarata. E anche il suo senso, la ragione per la quale è stato girato, il messaggio che comunica. S’intravede addirittura, in questo titolo – dove il soggetto è la guerra dura e spietata di due genitori contro la malattia del figlio di 18 mesi al quale diagnosticano un tumore al cervello – lo spirito autentico di questo sito della Fondazione Graziottin, nato da un’idea di battaglia, di combattimento, di resistenza. A un certo punto (lo apprezzerete quando vedrete il film) si vedono persino i due genitori, Romeo e Juliette, allenarsi nella corsa, come metodo per abituarsi alla sofferenza, prima con passi leggeri di jogging, poi con allunghi decisi da runner in forma smagliante. Come dire: tu, dolore, non ci sconfiggi, siamo più forti. Siamo più tosti noi della fatica e della disperazione.
Rivelazione alla “Semaine de la Critique” del Festival di Cannes 2011, il secondo lungometraggio della regista Valérie Donzelli è un’opera vitale ed esplosiva, pur prendendo le mosse dalla vicenda personale, assai scioccante, dei protagonisti. E sin dall’esordio in Costa Azzurra, “La guerra è dichiarata” è stato molto amato sia dal pubblico sia dalla critica: è stato il candidato della Francia per l’Oscar 2012 e ha ricevuto sei nomination nelle maggiori categorie dei César, il più importante premio francese.
E’ la storia di Romeo e Juliette, che si conoscono a una festa, s’innamorano, vanno a convivere e hanno subito un figlio, Adam. Sono felici. Ma a un certo punto si accorgono che il bambino ha strani comportamenti. Iniziano gli accertamenti clinici. E quando Adam ha 18 mesi scoprono che si tratta di un tumore maligno. Catapultati nella disperazione più tremenda, iniziano una “guerra” personale contro la malattia, che affrontano con la forza dell’amore e della speranza, sino alla guarigione di Adam. I nomi dei protagonisti non sono casuali: Giulietta e Romeo per la coppia, in modo da evocare l’amore; Adamo è il nome del primo uomo, universale.
Tutto inizia con un flashback: si capisce che Adam, ormai a 8 anni, ha sconfitto la malattia. Ma il film, oltre che la battaglia contro il tumore, racconta la storia di una coppia. E proprio per questo, nonostante le tinte fosche, è un film ricco di vitalità, di romanticismo, dal taglio nuovo, vivace, per affrontare un argomento difficile come il dolore. L’attrice Valérie Donzelli, che è anche regista, ha mano brillante e leggera, e con una buona dose di umorismo narra la vicenda dei due giovani, insieme con l’attore co-protagonista, Jérémie Elkaïm, davvero suo ex-compagno nella vita, con il quale realmente ha condiviso la guerra contro la malattia del  figlio.
La regista ha pensato a un’avventura di vita vera, che obbliga i due genitori a guardarsi dentro, una realtà che li mette alla prova come donna, come uomo, come coppia. Nel film c’è sempre questa idea del destino, fatto di continue prove che fortificano. A Valérie Donzelli interessa raccontare una storia d’amore. E al tempo stesso intende parlare delle coppie di oggi, di come i giovani siano viziati e non siano abituati a fare la guerra, a resistere, a combattere. Ma di come, tuttavia, nel momento in cui il gioco si fa duro, i giovani tirino fuori la grinta e diventino persino eroi.
Forse è una prospettiva – alla prova dei fatti – esageratamente ottimistica. Ma è certamente un’analisi realistica, anche dal punto di vista sociologico e culturale, di come la vita dei genitori possa essere sopraffatta, con padri e madri smarriti che assistono impotenti agli avvenimenti dei figli, o dei figli dei figli. Perché quello di Valérie Donzelli è anche un film sulla famiglia e nella famiglia, sulla sua capacità d’essere un ammortizzatore sociale. E scopriamo via via che questa valenza è forte e vera anche in Francia, dove nonni, fratelli, cognati, famiglie allargate con compagni e compagne, reggono bene l’urto della notizia del tumore di Adam, anche se in modo straziato, e partecipano spendendosi, in maniera propositiva, dando la sensazione di un gruppo granitico. Anzi, questa esperienza tira fuori il meglio di tutti. Prevale sempre un senso di speranza.
Il “coup de théâtre”  sta nel fatto che la malattia di Adam rafforza il legame tra Romeo e Juliette ma alla lunga è la causa della sua fine, in un logoramento dovuto alla totalità delle energie vitali spese nella battaglia contro il cancro. Che cosa accade? Che la vita all’interno dell’ospedale provoca una routine che li spinge all’isolamento. Come se per far sopravvivere il figlio, qualcosa dovesse morire, cioè la coppia, e tuttavia la prova li unisce. L’opera, come abbiamo detto, è autobiografica: Valérie e Jérémie hanno avuto davvero un figlio gravemente malato. I personaggi, tuttavia, non s’atteggiano mai a vittime, non ne hanno il tempo: troppo occupati a sconfiggere il nemico, a dichiarare guerra contro la malattia e il dolore.
Nel film l’ospedale è molto presente, dà un taglio realistico. Le comparse non sono solo attori, ma anche personale che lavora davvero fra i malati. Le scene sono girate all’interno della struttura, ed è stato possibile perché Valérie e Jérémie sono conosciuti in quell’ospedale per via della malattia del figlio, e dunque hanno ottenuto i permessi. Anche per questo, per essere il più possibile discreti e non dare disturbo alle persone ricoverate, è stata usata una macchina da presa che in modo riservato gira riprese eccellenti.
La pellicola fa molto uso di voci narranti fuori campo, non sempre della stessa persona: un espediente narrativo che dà ampia libertà durante il montaggio. Nel film sono presenti anche aspetti divertenti: per esempio, quando i due protagonisti sono in ospedale, la vigilia di Natale, al battito delle mani compaiono magicamente tartine e champagne, un artificio cinematografico che però significa festa, sorrisi, gioia, convivialità. Insomma, è il cinema che cerca d’essere più allegro della vita, con gag e caricature, come la pediatra che scambia il telefono giocattolo con quello vero. Di non banale umorismo anche la scena in cui Romeo e Juliette immaginano le conseguenze dell’operazione di Adam, paure assurde, per sdrammatizzare anche i drammi più profondi.
Per concludere, qualche sfumatura psicologica. Secondo quanto dichiarato dai protagonisti, tornare sul luogo dell’incubo – l’ospedale a Parigi – non è stato faticoso. Anzi, a Valérie e Jérémie, che hanno vissuto realmente la storia, le riprese hanno fatto solo bene. Il film è stato non soltanto un modo per esorcizzare il dolore (aspetto certamente presente, forte e di sicuro impatto) ma anche un’occasione per ripercorrere un cammino di coppia, una sorta di terapia che ha fatto crescere entrambi.
Raccontare questa storia è stato possibile perché la vicenda personale di Valérie e Jérémie è finita bene, il bambino è guarito. Questo ha dato loro la possibilità di essere positivi pur provenendo da un inferno, e quindi di condividere con lo spettatore un ideale – quello della coppia combattiva, non remissiva, che va alla guerra contro la sofferenza – permettendosi anche la mano leggera dell’ironia su un dramma vissuto in prima persona. Alla fine del film la coppia si separa, ma ne escono più forti, più consapevoli, con una capacità di comprensione l’uno dell’altra d’intensità straordinaria. Il dolore ha inciso una ferita e insieme ha creato un legame indissolubile. E dunque la guerra è vinta.
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