Torniamo alla musica di Johannes Brahms dopo le vette strumentali del Bach violoncellistico. E lo facciamo con la sua Serenata n. 1 in re maggiore op. 11, scritta a 25 anni. In un primo momento Brahms aveva concepito la Serenata per un organico ridotto (flauto, due clarinetti, corno, fagotto e quartetto d’archi). Poi, anche grazie ai suggerimenti di amici musicisti, allargò la strumentazione alla piccola orchestra. Tuttavia, non soddisfatto, scrisse un’ultima versione per grande orchestra, eseguita ad Hannover il 3 ottobre 1860. Per questo su YouTube (e nella discografia) si trovano più versioni, più o meno cameristiche. In tutti i casi è un capolavoro di freschezza e leggerezza, suddiviso in sei tempi, che il compositore mette sul pentagramma durante una delle amate e periodiche retrospettive sulla tradizione e sulla “forma” come argine alle spinte moderniste, in una rivalutazione delle serenata, tipicamente settecentesca, che in versione orchestrale era già stata abbandonata da Beethoven dopo il Settimino e da Schubert dopo l’Ottetto, ma che era stata ampiamente sperimentata nei Divertimenti, Notturni e Cassazioni del classicismo viennese da Haydn, e soprattutto da Mozart, al quale, ricordiamolo, Brahms tende con tutta la passione (come dimostra il suo Quintetto per clarinetto, omaggio apertamente dichiarato al gioiello quintettistico mozartiano).
Ma questo ritorno “démodé” alla serenata (per i tempi in cui componeva Brahms) è soltanto uno spunto storico e stilistico per scrivere comunque della musica magnifica, a tratti commovente, ricca di inventiva melodica, con momenti di lirismo che non sono da meno rispetto ai più raccolti e ispirati della produzione cameristica. Pur senza accesi contrasti drammatici, ma limpidamente “di Brahms” nelle sonorità e nei registri malinconici. Nel complesso è una pagina brillante, appunto serena, scritta, come conferma il compositore stesso, per stare lontano dai tumulti dell’animo e dalle passioni giovanili. In una lettera a Clara Schumann del 1857 si legge: «Le passioni non sono connaturali all’uomo. Sono sempre eccezione o anomalia. La persona in cui esse eccedono rispetto alla giusta misura dev’essere considerata malata e deve ricevere cure mediche per preservare vita e salute. Il vero uomo ideale è tranquillo nella gioia e tranquillo nel dolore e nella sofferenza. Le passioni devono passare presto, oppure bisogna reprimerle».
L’ultima annotazione nasconde forse la crisi esistenziale di Brahms, la mancanza di una donna al suo fianco, una compagna di vita, l’essere forzatamente scapolo, magari anche “orso”, sulla difensiva nei riguardi degli ardori e delle passioni: certo per la struttura del suo carattere ma soprattutto, crediamo, per l’impossibilità di dividere la sua vita se non con la Musica. Per fortuna, ci verrebbe da dire, ascoltando dal minuto 7:15 al minuto 8:20 l’Allegro molto che apre la Serenata, dopo la ripresa del primo tema: una felicità immensa sgorga dal fraseggio delicato e lirico e si prende sulle spalle tutta la sofferenza dei nostri momenti più bui, prefigurando il magistero al quale arriverà il camerista Brahms e l’intarsiatore degli ultimi Klavierstücke pianistici.
Al primo movimento segue uno Scherzo (Allegro ma non troppo) agitato, irrequieto, scuro nei colori orchestrali, denso, che interrompe l’atmosfera di serenità del movimento iniziale. L’Adagio ma non troppo è di nuovo un tema caldo, appassionato, dove Brahms anticipa la predilezione strumentale per le sonorità morbide degli archi e per le mezze tinte: viole, clarinetti, corni. Il quarto tempo, con i Minuetti I e II, è forse il più “mozartiano”: il riferimento ideale con la “Gran Partita per fiati” è palese. Poi entrano gli archi, e al minuto 34:52 (ascoltando la versione completa, ma con immagine fissa, su YouTube) la bellezza di un’idea melodica carezzevole ci riporta a quel Brahms che diventerà l’ultimo “grande sinfonista romantico”. Un altro Scherzo apre il quinto movimento, delizioso gioco di sponda (anche qui parecchio beethoveniano) tra i corni e la massa orchestrale. La Serenata è chiusa da un Rondo pieno di brio e di vitalità, a ritmo puntato di marcia, ricco di personalità già dalle prime misure di pentagramma, che lascia il segno su questo capolavoro della giovinezza, colorato da una strumentazione gioiosa.
In totale, a seconda delle scelte di metronomo, sono circa tre quarti d’ora di musica. Ma sembrano pochi minuti, tanto sono spontanee le linee melodiche che si rincorrono in quest’opera che sfodera inventiva e scrittura raffinata, con sonorità piene, colori alternati a chiaroscuri. Alla quale seguì una seconda Serenata, l’Op. 16, «la sorella più giovane e più tenera», secondo la definizione del critico viennese Eduard Hanslick. E vi invitiamo ad ascoltare anche questa, perché Brahms l’amava più della prima, e mentre la stava trascrivendo per due pianoforti annotò all’amico Joachim: «È un pezzo delizioso. Raramente ho scritto musica con tanto piacere».
Un piacere che si materializza nell’animo di chi ascolta ancora oggi a distanza di 156 anni.
Buon ascolto.