In questo CD, i professori della Swedish e la loro bacchetta propongono anche nove esuberanti Danze ungheresi, pensate in origine per pianoforte a quattro mani, e orchestrate dallo stesso Dausgaard, prima che l’ultima traccia del disco lasci spazio al lato più oscuro di Brahms, quello della Ouverture Tragica, dai toni drammatici, ricchi di tensione.
E allora abbiamo cercato e trovato un video con la prima di queste Danze, tra le più celebri, la No. 1, di cui l’editore Simrock, amico di Brahms, aveva intuito il potenziale anche commerciale, pubblicandola a Berlino nel 1869 e riscuotendo un immediato successo popolare. Certo, il vero Brahms è un altro: come spiega Massimo Mila nel suo bellissimo libro “Brahms e Wagner” (Einaudi), «il vero paesaggio spirituale di Brahms resta quello della Germania del Nord, con le sue nebbie e le sue brughiere, con la spinta ascensionale delle sue gotiche architetture».
Brahms, tuttavia, non era affatto insensibile a queste melodie di immediato impatto, apparentemente facili, e per nulla indifferente anche al loro ritorno in termini di guadagni, tanto da scrivere di suo pugno sotto alcune note del valzer «Sul bel Danubio blu», parlandone con amara ironia a un giornale di Vienna: «Sfortunatamente, NON scritto da Johannes Brahms».
Le sue Danze Ungheresi per pianoforte a quattro mani, in parte trascritte da lui stesso per orchestra, sono state forse una risposta agli Strauss, sull’onda emozionale del pittoresco folclore popolare ungherese, ma anche per un’attitudine sua, di Brahms stesso, autenticamente popolare. E anche oggi, nei nostri auditorium, per dirla ancora con Massimo Mila, «per una grande quantità di persone Brahms non è che l’autore della Danze Ungheresi, e anche quando si sale a un livello più progredito di intendimento musicale, a molti avviene di gustare solamente, delle opere maggiori del Maestro, i vari finali “alla zingarese”, come quello del Concerto per violino, quello del secondo Concerto per pianoforte, il finale del Quartetto Op. 25, i Canti tzigani».
Sin dai suoi primi anni Brahms era stato appassionato di musica popolare dell’Ungheria. Era affascinato dai ritmi che si erano diffusi in Germania in conseguenza dei moti del 1848, quando migliaia di ungheresi erano fuggiti riempiendo le strade delle città tedesche, compresa Amburgo, con musiche improvvisate, eseguite qui e là da piccole formazioni di uno o due violini, contrabbasso e cimbalom, un antico strumento a forma di trapezio.
Da qui l’irresistibile tentazione di mettersi al pianoforte e scrivere queste Danze, via via più eseguite quanto più gli ungheresi arrivavano in Germania, basate su originali ritmi folclorici, alcuni dei quali il compositore aveva annotato già nel 1854. E nonostante la nostra predilezione oggi per Quartetti, Quintetti e Sestetti, non furono né le sue canzoni piene di sentimento, né la sua profonda musica da camera piena di dolci melodie, né il suo sublime, compassionevolmente Requiem che per primi resero Brahms veramente noto al grande pubblico, ma piuttosto il suo arrangiamento delle Danze ungheresi.
Chiunque non conoscesse il nome di Brahms – e relativamente pochi lo conoscevano, se non come pianista ed esecutore di musiche altrui, per esempio le pagine di Beethoven morto da una ventina d’anni – fece la sua conoscenza attraverso questi brani. Il successo fu tale che a Brahms fu chiesta un’orchestrazione, alla quale inizialmente il compositore rispose con scarso entusiasmo: «Questi maledetti arrangiamenti! Li ho scritti per pianoforte a quattro mani, che cosa pretendono, se avessi voluto che fossero per orchestra sarebbero stati diversi ...». Ma neppure lui poté resistere più di tanto alle necessità di vivere il più dignitosamente possibile.
Oggi, a noi che ascoltiamo, più in arrangiamento orchestrale che nell’originale per pianoforte (da non perdere assolutamente in un’esecuzione memorabile, quella delle sorelle Katia e Marielle Labèque), interessa la forza vitale che si sprigiona da questi omaggi alla terra della paprika, pescati da un tessuto popolare e contadino, e diventati arte. La loro incredibile capacità di alleggerire momenti di tristezza e malinconia. La freschezza e l’esotismo che animano le loro melodie.
Buon ascolto
Per approfondire l’ascolto
Orchestral Works – Hungarian Dances
Swedish Chamber Orchestra; Thomas Dausgaard, direttore (BIS, disponibile anche sugli store digitali)
2) Johannes Brahms
21 Hungarian Dances
Katia Labèque e Marielle Labèque, arrangiamento per due pianoforti (Universal, disponibile anche sugli store digitali)
3) Johannes Brahms
Simphony No. 3 – Serenade No. 1
Belgian Radio and Television Philharmonic Orchestra; Alexander Rahbari, direttore (Naxos, disponibile anche sugli store digitali)