Guida alla lettura
Il realismo e la resilienza correggono queste esagerazioni: il fallimento va messo in conto perché non siamo perfetti, e nemmeno il mondo in cui viviamo lo è; la resilienza ci aiuta a rialzarci, a credere nella possibilità di una nuova pagina di futuro, ma senza sciupare la lezione di umiltà impartita dalla caduta. Insomma, la resilienza è lo strumento di quella “gestione” del fallimento di cui parlava Pasolini, e che permette di non porre in discussione il valore e la dignità della persona. Una gestione che Bernardo di Chiaravalle, monaco cistercense, fondatore dell’abbazia francese di Clairvaux, seppe attuare in modo magistrale nel momento più buio della sua vita: al punto che Dante, nei canti finali della Commedia, lo sceglierà come simbolo supremo del proprio stesso riscatto, come guida, superiore persino a Beatrice, per l’ultimo scatto verso la visione di Dio. In questo senso, la riflessione di Bianchi non è una compiaciuta apologia della fragilità, dell’incapacità di realizzarsi, dell’inconcludenza accidiosa, ma un salutare richiamo a tenere i piedi per terra.
In una lirica straordinaria di cui abbiamo parlato anni fa, Edgar Lee Masters racconta di una barca ferma in porto per paura del naufragio. E conclude: «Adesso so che bisogna alzare le vele / e prendere i venti del destino, / dovunque spingano la barca». La paura, e la sfrontata arroganza, sono trappole disseminate lungo il nostro cammino: l’equilibrio, l’umiltà, ma anche il coraggio e la perseveranza, sono luci sicure sul sentiero dei nostri progetti e illuminano l’orizzonte della nostra vita.
La parola dell'autore
Anche i cristiani, spinti e abituati a cercare l’approvazione degli altri per i loro comportamenti buoni, caritatevoli e conformi al Vangelo, inseguono una sorta di riuscita, di successo nel mondo, e quindi sono diventati incapaci di intravvedere la possibilità della debolezza e del conseguente fallimento. Il dramma che vivono in questa svolta epocale nelle società occidentali è appunto determinato da un fallimento dell’evangelizzazione, dall’incapacità di opporre una presenza di minoranza significativa dinanzi all’umanità di oggi. E i loro pianti, le loro lamentazioni non sono diverse da quelle del profeta Geremia sulla città santa di Gerusalemme. Eppure si dichiarano discepoli di un profeta (questo almeno lo era!) che ha conosciuto come esito della sua vita un impietoso fallimento dopo alcuni anni di predicazione, di vita comunitaria, di azione benefica tra la gente. Tradito e abbandonato, è stato giudicato nocivo al bene del suo popolo e bestemmiatore dall’autorità religiosa e quindi condannato a morte dal potere imperiale romano. Che fine!
Dunque il fallimento va inscritto nell’itinerario della vicenda cristiana così come, lo sappiamo bene, in quello della vicenda umana. Caduta, fallimento non possono essere rimossi perché sono inscritti nella ”infirmitas” delle vite umane, che ci porta a fallire. Può venire l’ora della caduta e, come diceva un abba del deserto, «nel fallimento si va a fondo, si tocca il fondo, ma sul fondo si scoprono le fondamenta».
La caduta, il fallimento che ci colgono a volte sono leggibili e motivabili, altre volte restano oscuri ed enigmatici: soprattutto le crisi interiori, esistenziali, quando cadiamo nella “nientità” e non ritroviamo più il senso delle cose e della vita. Allora regna il buio, la tenebra, e anche Dio è percepito come muto e assente dal credente. Bernardo di Chiaravalle, questa tempra forte di cenobita, dopo una vita piena di successi al punto da essere stato decisivo ispiratore del papa, visse una crisi terribile: lasciò il monastero, si ritirò in un bosco in solitudine e giunse a riconoscere «di aver rasentato l’inferno cadendo e cadendo». Ma dopo quella crisi scriverà: «O optanda infirmitas! O desiderabile debolezza!».
Non voglio concludere questi pensieri con la ciliegina della speranza, ma semplicemente ridestare la consapevolezza che anche il fallimento fa parte della vita e non va rimosso, perciò va proclamata: «Beata debolezza»!
Biografia
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.