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Al fondamento della vita: realismo e resilienza

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Al fondamento della vita: realismo e resilienza
28/09/2022

Liberamente tratto da:
Enzo Bianchi, Il valore del fallimento, La Repubblica, 3 maggio 2021

Guida alla lettura

Realismo e resilienza: sono le doti esistenziali a cui ci richiama Enzo Bianchi in questo articolo. La nostra società ha sviluppato due attitudini nefaste: la paura del fallimento e il mito del successo. Non sono esattamente la stessa cosa: paura di fallire significa escludere la possibilità di una caduta, di una contraddizione alle nostre aspirazioni; ambire sempre e comunque al successo significa confezionare un’immagine falsa della nostra identità, falsa semplicemente perché la vita è fatta, per tutti, di chiari e di scuri. Si pensi alle pose nevrotiche e vanagloriose predominanti in certi social professionali, imbevuti di una narrativa prometeica secondo la quale nulla è mai impossibile e tutto è rimesso alla mera volontà dell’individuo e delle organizzazioni.
Il realismo e la resilienza correggono queste esagerazioni: il fallimento va messo in conto perché non siamo perfetti, e nemmeno il mondo in cui viviamo lo è; la resilienza ci aiuta a rialzarci, a credere nella possibilità di una nuova pagina di futuro, ma senza sciupare la lezione di umiltà impartita dalla caduta. Insomma, la resilienza è lo strumento di quella “gestione” del fallimento di cui parlava Pasolini, e che permette di non porre in discussione il valore e la dignità della persona. Una gestione che Bernardo di Chiaravalle, monaco cistercense, fondatore dell’abbazia francese di Clairvaux, seppe attuare in modo magistrale nel momento più buio della sua vita: al punto che Dante, nei canti finali della Commedia, lo sceglierà come simbolo supremo del proprio stesso riscatto, come guida, superiore persino a Beatrice, per l’ultimo scatto verso la visione di Dio. In questo senso, la riflessione di Bianchi non è una compiaciuta apologia della fragilità, dell’incapacità di realizzarsi, dell’inconcludenza accidiosa, ma un salutare richiamo a tenere i piedi per terra.
In una lirica straordinaria di cui abbiamo parlato anni fa, Edgar Lee Masters racconta di una barca ferma in porto per paura del naufragio. E conclude: «Adesso so che bisogna alzare le vele / e prendere i venti del destino, / dovunque spingano la barca». La paura, e la sfrontata arroganza, sono trappole disseminate lungo il nostro cammino: l’equilibrio, l’umiltà, ma anche il coraggio e la perseveranza, sono luci sicure sul sentiero dei nostri progetti e illuminano l’orizzonte della nostra vita.

La parola dell'autore

Nell’aria che oggi tutti respiriamo appare più volte, subito rimossa, la paura del fallimento. Infatti l’obiettivo che viene proposto e che risuona come esito determinante la felicità e la riuscita di una vita è il successo. E non solo il successo viene perseguito, ma appare dovuto, ciò che salva una vita. Altrimenti ci si sente dei falliti, annoverati tra gli scarti della società. Questa mi sembra una malattia spirituale del nostro tempo e molti sono convinti che il successo vada ricercato, inseguito, e sia il desiderio per eccellenza da inoculare nelle nuove generazioni. Non a caso Pier Paolo Pasolini scriveva: «Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non diventare uno sgominatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo».
Anche i cristiani, spinti e abituati a cercare l’approvazione degli altri per i loro comportamenti buoni, caritatevoli e conformi al Vangelo, inseguono una sorta di riuscita, di successo nel mondo, e quindi sono diventati incapaci di intravvedere la possibilità della debolezza e del conseguente fallimento. Il dramma che vivono in questa svolta epocale nelle società occidentali è appunto determinato da un fallimento dell’evangelizzazione, dall’incapacità di opporre una presenza di minoranza significativa dinanzi all’umanità di oggi. E i loro pianti, le loro lamentazioni non sono diverse da quelle del profeta Geremia sulla città santa di Gerusalemme. Eppure si dichiarano discepoli di un profeta (questo almeno lo era!) che ha conosciuto come esito della sua vita un impietoso fallimento dopo alcuni anni di predicazione, di vita comunitaria, di azione benefica tra la gente. Tradito e abbandonato, è stato giudicato nocivo al bene del suo popolo e bestemmiatore dall’autorità religiosa e quindi condannato a morte dal potere imperiale romano. Che fine!
Dunque il fallimento va inscritto nell’itinerario della vicenda cristiana così come, lo sappiamo bene, in quello della vicenda umana. Caduta, fallimento non possono essere rimossi perché sono inscritti nella ”infirmitas” delle vite umane, che ci porta a fallire. Può venire l’ora della caduta e, come diceva un abba del deserto, «nel fallimento si va a fondo, si tocca il fondo, ma sul fondo si scoprono le fondamenta».
La caduta, il fallimento che ci colgono a volte sono leggibili e motivabili, altre volte restano oscuri ed enigmatici: soprattutto le crisi interiori, esistenziali, quando cadiamo nella “nientità” e non ritroviamo più il senso delle cose e della vita. Allora regna il buio, la tenebra, e anche Dio è percepito come muto e assente dal credente. Bernardo di Chiaravalle, questa tempra forte di cenobita, dopo una vita piena di successi al punto da essere stato decisivo ispiratore del papa, visse una crisi terribile: lasciò il monastero, si ritirò in un bosco in solitudine e giunse a riconoscere «di aver rasentato l’inferno cadendo e cadendo». Ma dopo quella crisi scriverà: «O optanda infirmitas! O desiderabile debolezza!».
Non voglio concludere questi pensieri con la ciliegina della speranza, ma semplicemente ridestare la consapevolezza che anche il fallimento fa parte della vita e non va rimosso, perciò va proclamata: «Beata debolezza»!

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi, poi sostituito, nel gennaio 2022, da Sabino Chialà.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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