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Aleksandr Solženicyn: il valore della memoria

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04/04/2012

Tratto da:
Marta Carletti Dell'Asta, Il valore della memoria di Solženicyn oggi
In: Gariwo, la foresta dei Giusti

Guida alla lettura

Questo articolo di Marta Dell’Asta ci propone la figura di Aleksandr Solženicyn in una prospettiva sinora poco esplorata: quella di uomo e scrittore non rinchiuso nel cliché ideologico dell’anticomunismo, ma più ampiamente e più profondamente “antitotalitario”, e proprio per questo ancora più attuale.
Autore dotato di una «personalità integrale», unita in sé, e di una «intelligenza acuta», capace di giungere sempre all’essenziale della realtà, Solženicyn svolse la funzione di coscienza morale del popolo russo arrivando ad affermare, davanti alle grandi tragedie del Novecento: «Ci fermiamo stupefatti davanti alla fossa nella quale eravamo lì lì per spingere i nostri avversari: è puro caso se i boia non siamo noi ma loro. Dal bene al male è un passo solo, dice un proverbio russo. Dunque anche dal male al bene». Alla radice di questa sapienza storica e antropologica, stanno il superamento radicale delle ideologie e il coraggio di «ricondurre ogni cosa all’uomo», nella cui anima si nasconde la possibilità del delitto come del riscatto.
Marta Dell’Asta, laureata in letteratura russa, è giornalista. Dal 1977 è ricercatrice presso il Centro Studi Russia Cristiana. Ha scritto diversi volumi, tra cui una storia del dissenso sovietico, “Una via per incominciare” (Edizioni La Casa di Matriona, 2003). Attualmente è direttore responsabile della rivista “La Nuova Europa”.
Il Comitato per la Foresta dei Giusti – Gariwo Onlus, dal cui sito sono tratti l’articolo di Marta Dell’Asta e la biografia di Solženicyn, ha iniziato a operare a Milano nel 1999 e si è costituito ufficialmente nel 2001. Gariwo è acronimo di “Gardens of the Righteous Worldwide” ed è presieduto da Gabriele Nissim, storico e scrittore. Il suo obiettivo è accrescere e approfondire la conoscenza e l’interesse sui “Giusti”, termine ispirato a un passo del Talmud babilonese che afferma: «Chi salva una vita salva il mondo intero». Il termine è stato applicato per la prima volta in Israele, in riferimento a coloro che avevano salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Il concetto è poi stato ripreso per ricordare i tentativi di fermare lo sterminio del popolo armeno in Turchia, nel 1915, e per estensione tutti coloro che nel mondo cercano di impedire il crimine di genocidio, di difendere i diritti dell’uomo e di salvaguardare la memoria delle persecuzioni.

[Testo liberamente tratto, con integrazioni, da Gariwo, la foresta dei Giusti]
Preservare la memoria di uno dei più grandi scrittori del ‘900, Aleksandr Solženicyn, non è semplicemente un debito di gratitudine nei confronti dell’uomo che ha intrapreso una lunga, personale battaglia col totalitarismo senza temere il prezzo da pagare. E non è neppure soltanto il riconoscimento del suo ruolo storico nell’additare a tutti la realtà spaventosa del Gulag.
In effetti, preservare la memoria di Solženicyn è una necessità per noi, ci conviene enormemente perché ci offre due cose che sono merce rara al giorno d’oggi: una personalità integrale (che non vuol dire senza punti deboli), profondamente unita in sé, in ciò che crede e in ciò di cui vive; e secondariamente un’intelligenza acuta, da artista, che sa «leggere» la realtà in tutti i suoi risvolti giungendo sempre fino all’essenziale.
La riduzione peggiore che si può fare di Solženicyn è quella di confinarlo nello spazio sovietico, oltretutto sempre più lontano nel tempo, così che il suo significato si riduca in sostanza all’«anticomunismo». Una visione limitata che non dà ragione della sua reale grandezza, come pure dell’impatto fortissimo che la sua opera ha avuto su intere generazioni, all’Est come all’Ovest. Tanto per incominciare bisogna essere più ampi, e parlare casomai di «antitotalitarismo», un concetto molto più vasto e radicale di anticomunismo, e che ha degli agganci impressionanti con una certa deriva delle democrazie, come Solženicyn stesso ha più volte richiamato nei suoi «discorsi occidentali». E poi bisogna andare al di là della dimensione esclusivamente politica per capire di che natura sia effettivamente questo suo antitotalitarismo, se sia, cioè, solo politico o si ponga essenzialmente su un altro piano.
Tutta l’opera letteraria di Solženicyn, anche il libro che normalmente si ritiene più politico, l’Arcipelago Gulag, offre una quantità di indicazioni inequivocabili in questo senso: «Chiuda pure il libro a questo punto il lettore che si aspetta di trovarvi una rivelazione politica. Se fosse così semplice!... Ma la linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno… Nel corso della vita di un cuore quella linea si sposta… Il medesimo uomo diventa, in età differenti, in differenti situazioni, completamente un’altra persona… Ci fermiamo stupefatti davanti alla fossa nella quale eravamo lì lì per spingere i nostri avversari: è puro caso se i boia non siamo noi ma loro. Dal bene al male è un passo solo, dice un proverbio russo. Dunque anche dal male al bene».
Il valore dell’opera di Solženicyn sta tutto in questo ricondurre ogni cosa all’uomo; qui c’è il giudizio del male e la possibilità del riscatto. Nel secolo in cui tutto è stato ridotto a politica al punto che l’uomo è stato cancellato, Solženicyn ci offre la dimostrazione che l’uomo c’è e può vincere, basta che si ricordi di se stesso. Anche oggi che si nega l’uomo in tanti altri modi, la sua affermazione dell’irriducibilità dell’uomo è assolutamente preziosa.
Nonostante la disumanità e la menzogna, l’uomo può restare se stesso se scopre dentro di sé una forza inimmaginabile, che gli permette di conservare sempre il suo rapporto costitutivo con la verità e «vivere senza menzogna». È l’anima, una realtà invisibile che però lo costituisce e la cui esistenza non può essere mai annullata definitivamente. L’uomo, così, si scopre definito dal rapporto con l’infinito, da un’irriducibile sete di infinito e di immortalità.
Un’altra motivazione della grandezza di Solženicyn è il suo radicale superamento della posizione ideologica, secondo cui ciò che decide della verità e della realtà delle cose è sempre l’idea. Solženicyn ha saputo superare l’ideologia, ogni ideologia e non solo quella marxista, con un’esperienza che rimanda al cuore dell’uomo, là dove passa la famosa «linea che separa il bene dal male». La sua vita è l’illustrazione più convincente della potenza del cuore, questo centro focale della persona.
La caduta del comunismo ha rappresentato infine la migliore verifica della sua posizione, che si è rivelata veramente universale, non legata alla semplice opposizione al regime sovietico. In effetti, non è difficile constatare che certe categorie, che Solženicyn ha affermato con forza, sono ciò che meglio risponde alla pressione dell’attuale società globale: ripartire dall’uomo, recuperare l’orizzonte dell’assoluto, ricercare la libertà nella verità. Riportare le cose di tutti i giorni alla loro misura autentica, eterna.

Biografia

Nato l’11 dicembre 1918 a Kislovodsk, nel Caucaso, Aleksandr Isaevic Solženicyn è figlio di uno studente in lettere, morto pochi mesi prima della sua nascita, e di una giovane donna appartenente alla piccola nobiltà. Nel 1941 si laurea in matematica e fisica all’università di Rostov, e contemporaneamente, dal 1939, segue per corrispondenza i corsi di filosofia, storia e letteratura dell’Università di Mosca.
Richiamato nell’esercito sovietico, impegnato nella guerra contro la Germania hitleriana, deve rinunciare alla carriera universitaria. Nel 1945 viene arrestato mentre presta servizio nella Prussia orientale: l’accusa è di propaganda antisovietica, per aver espresso giudizi critici su Stalin in una lettera indirizzata a un compagno di scuola. Viene condannato a otto anni di lavori forzati e tre di confino, che trascorre in gran parte nel Kazachstan.
Dal 1953 insegna matematica e fisica, e comincia sistematicamente a scrivere. Con il 1956 inizia in URSS la destalinizzazione e dopo il XXII Congresso del PCUS (1961) Kruscev dà parere favorevole alla pubblicazione sulla rivista “Novyj mir” (Mondo nuovo) del racconto “Una giornata di Ivan Denisovic”, che diventerà una sorta di manifesto letterario del nuovo corso krusceviano. Il breve racconto illustra, per la prima volta, la vita di un uomo qualunque all’interno di un lager: una denuncia che porterà Solženicyn alla fama mondiale.
La caduta di Kruscev nel 1964 porta a Solženicyn persecuzione e ostracismo: la polizia segreta gli requisisce parte dell’archivio; nel 1969 viene espulso dall’Unione degli scrittori sovietici.
Nel 1970 l’Accademia svedese delle scienze conferisce a Solženicyn il premio Nobel per la letteratura per i romanzi “Il primo cerchio” e “Divisione cancro”. Timoroso di non poter rientrare in patria, Solženicyn non si reca a Stoccolma. Ritirerà il premio nel 1975, un anno dopo essere stato arrestato e condannato all’esilio. Vive prima a Zurigo, in Svizzera, poi nel Vermont, negli USA.
Il capolavoro di Solženicyn è “Arcipelago Gulag”, un saggio d’inchiesta narrativa che è una particolareggiata e spietata denuncia delle repressioni di massa e dell’universo concentrazionario staliniano. Concepito già nel 1958 e terminato nel ‘68, è il più duro atto d’accusa contro il sistema sovietico. A partire dal 1971 viene pubblicato a Parigi dalle edizioni YMCA: nel 1971 i primi due tomi, “L’inchiesta carceraria” e “Moto perpetuo”; nel 1975 il terzo e il quarto, “Lavoro di sterminio” e “L’anima e il reticolato”; nel 1976 gli ultimi tre: “La galera”, “Il confino” e “Stalin non è più”. In questo libro non vi sono personaggi o fatti inventati. Solženicyn vuole dare voce a tutte le persone incontrate negli undici anni di detenzione e confino, dando spazio anche alle testimonianze che gli sono state affidate. Per questo il libro si presenta come un monumento alla memoria e inizia con l’elenco di 227 persone che gli hanno affidato la loro storia.
La produzione letteraria di Solženicyn è vastissima. Attraverso di essa egli si assegna la funzione di coscienza morale del popolo russo. La sua missione consiste nel tentativo di chiarire come sia stata possibile, all’interno della storia russa, la frattura che si è creata nel 1917, con la presa di potere bolscevica, che ha lacerato tutta la precedente tradizione culturale, sociale e religiosa.
Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, in URSS cade il divieto di pubblicare le opere di Solženicyn e “Arcipelago Gulag” esce a puntate sulla rivista “Novyj mir”.
Nel 1994 Solženicyn rientra in Russia e riprende il suo percorso intellettuale al servizio del popolo russo. Negli ultimi anni accentua la sua tradizionale censura dell’Occidente e le sue aspre prese di posizioni suscitano molte polemiche in patria e all’estero. Muore a Mosca il 3 agosto 2008.

[Testo liberamente tratto da Gariwo, la foresta dei Giusti]
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