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A fianco del sofferente: gli errori da non commettere – Prima parte

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23/02/2011

Tratto da:
Alexandre Jollien, Elogio della debolezza, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI), 2001, p. 62-64

Si ringrazia l’editore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Presentiamo oggi la prima parte di un’arguta riflessione di un autore che già conosciamo: Alexandre Jollien, cerebroleso dalla nascita, scrittore e filosofo.
Il brano rievoca – in un immaginario dialogo con Socrate – il lavoro dei medici e degli educatori del centro per portatori di handicap di Sierre (Svizzera), ove Jollien rimase ricoverato per 17 anni. E affronta la delicatissima questione del rapporto fra competenze tecniche e apertura umana, scienza e buon senso, rigore e compassione.
Dal racconto emergono in modo netto tre considerazioni. Primo: quando una persona ammalata, o handicappata, o morente, diventa un “caso clinico” privo di volto e di spessore umano, il dispositivo dell’assistenza finisce per perdere di vista gli aspetti più essenziali della cura, che sono sempre inerenti alla relazione più che alla prestazione. Secondo: talvolta questo bisogno di dissertare a discapito dell’accompagnare non è solo dettata da un approccio iperzelante ai doveri professionali, ma risponde al bisogno di «colmare una mancanza di esperienza, nascondere una sicura impotenza». Infine, il dolore ha sempre una solida base biologica: negarla, «accontentandosi di fornire spiegazioni pseudo-psicologiche», significa violare – a volte con conseguenze persino grottesche – il diritto del paziente a una diagnosi accurata e a terapie appropriate.
Nella seconda e ultima parte della riflessione, che pubblicheremo fra due settimane, Jollien fornirà ulteriori esempi di questo approccio distorto al rapporto con il paziente, ma rievocherà anche chi fra gli educatori ha davvero saputo svolgere il proprio compito con efficacia e umanità.
Alexandre: Al Centro, il personale si riuniva frequentemente: quante riunioni, sintesi, verifiche, colloqui! Mi ha sempre colpito la quantità di ore che i nostri educatori passavano nel loro ufficio a bere caffè e mangiare biscotti. Non facevano economia di parole...
Socrate: Eppure, non è forse un buon metodo per risolvere i problemi?
Alexandre: Forse, ma un metodo spesso mal utilizzato. Dissertavano, analizzavano, commentavano per ore ogni nostro minimo fatto e gesto. Che quantità di tempo dedicavano a queste cose! Però, cinque minuti prima della fine del loro turno erano già pronti a partire e guai a chi di noi avesse avuto bisogno di andare in bagno! Di conseguenza, ogni ospite rischiava di essere ridotto a un caso clinico suscettibile di fornire un argomento interessante per qualche analisi brillante. Al Centro ci sono due grossi schedari nei quali generazioni di educatori, di medici, di stagiste foruncolose hanno classificato gli eventi della mia esistenza, hanno emesso giudizi sulla mia situazione e sui miei genitori...
Socrate: E cosa dicono, questi famigerati schedari?
Alexandre: Non lo so. Per fortuna, in un certo senso! Infatti, nonostante questi schedari fossero teoricamente accessibili a tutto il personale curante, dalla stagista per due giorni al medico, il principale interessato, il soggetto di questi scritti, per non so quale decreto non aveva il diritto di leggerne nemmeno una riga! Eppure una folla di professionisti hanno elaborato un’impalcatura teorica impressionante. Forse avvertivano il bisogno di dissertare, di speculare per colmare un vuoto, una mancanza di esperienza, per nascondere una sicura impotenza. Quanti tentativi per spiegare delle sciocchezze! Un banale mal di testa scatenava investigazioni degne di Lacan. Ciascuno si ingegnava a dare la propria versione dei fatti. Mi ricordo di un compagno che portava un apparecchio per i denti che gli bucava la gengiva. Mi raccontò che suo padre dovette levarglielo con un paio di tenaglie. Il dentista non aveva preso in considerazione le sue lamentele, invocava piuttosto un problema psicologico per giustificare il dolore e preferiva una spiegazione strampalata all’ammissione del proprio errore professionale.
Ho conosciuto degli handicappati che hanno sviluppato una grave malattia in parte a causa del fatto che il loro medico non aveva indagato più di tanto all’inizio, accontentandosi di fornire una spiegazione pseudo-psicologica. Ancora una volta, ecco un esempio concreto per abbozzare una riflessione sulla nostra condizione umana. Pascal afferma che l’uomo è spirito e corpo e non può essere ridotto né all’uno né all’altro. Sono due entità che interagiscono. «L’uomo non è né angelo né bestia, ma la disgrazia è che chi vuol far l’angelo fa la bestia». Negare il corpo, lungi dall’elevarci, ci abbassa. Negando lo spirituale si ha lo stesso risultato!
Cercare l’armonia tra queste due dimensioni, saperla gestire: proprio in questo consiste il difficile apprendistato del mestiere di uomo. Si tratta di superarsi sempre, di andare costantemente al di là di se stessi, di generarsi, di perfezionare ciò che è già realizzato in sé. Questa intuizione ha assunto ben presto un’importanza radicale. La felicità, se esiste, è perciò diametralmente opposta a un quieto, tranquillo, tiepido comfort. Richiede un’attività intensa, una lotta sempiterna: qualcosa di analogo a una pienezza disinteressata acquisita attraverso una lotta incessante...

Biografia

Alexandre Jollien nasce nel 1975 a Sierre, in Svizzera, nei pressi di Lausanne. Soffocato dal cordone ombelicale, nasce affetto da atetosi, una sindrome neurologica caratterizzata da movimenti lenti, irregolari, continui, soprattutto della faccia e delle estremità degli arti. A tre anni viene ricoverato in un centro specializzato, ove rimarrà per diciassette anni. Nonostante il grave handicap, nel 1993 si iscrive a un istituto commerciale. Colpito da un passo di Platone sul senso della vita, si iscrive prima al Lycée-Collège de la Planta, a Sion, e poi all’Università di Friburgo, ove nel 2004 si laurea in Lettere e Filosofia con una tesi sulla terapia dell’anima nel “De consolatione philosophiae” di Boezio (V-VI secolo d.C.) Precedentemente, dal 2001 al 2002, aveva studiato greco antico al Trinity College di Dublino.
Scrittore di successo, ha pubblicato sinora quattro libri: Elogio della debolezza (1999), Il mestiere di uomo (2002), La costruzione del sé (2006) e Il filosofo nudo (2010). L’audiolibro “Alexandre Jollien, la filosofia della gioia” (2008), è una raccolta di interventi radiofonici e conferenze, curata da Bernard Campan.
Nella prefazione all’edizione italiana di “Il mestiere di uomo” (Edizioni Qiqajon, 2003), Guido Dotti scrive: «Esperto di pesi che condivisi diventano leggeri, Jollien assimila la sofferenza all’arte di cavarsela: nessuna accettazione della sofferenza in sé, nessun autocompiacimento masochista, ma la consapevolezza, maturata sulla propria pelle, che solo l’affrontare le difficoltà a viso aperto, il non sottrarsi alle sfide che la vita quotidiana non cessa mai di porre, permette di venirne fuori, magari feriti e doloranti, ma arricchiti di una capacità di compassione e di solidarietà con chi continua a dibattersi nella lotta. Davvero, come aveva luminosamente intuito il poeta Robert Frost, di fronte a ogni difficoltà, a ogni momento buio, a ogni enigma incomprensibile alla ragione, “la miglior via di uscita è sempre passarci in mezzo”: nessuna scappatoia, ma l’assunzione della fatica di vivere con la sola certezza che “tutto è da costruire con leggerezza e gioia”...».
Sposato con Corine, conosciuta a Dublino durante un periodo di studio, Alexandre ha due figli: Victorine, nata nel 2004, e Augustin, nato nel 2006. «Oggi – afferma nel suo sito – tento di vivere a fondo le tre vocazioni che la vita mi ha donato: padre di famiglia, persona handicappata e scrittore».

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