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La ragazza del treno

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15/12/2010

Tratto da:
F.S. Fitzgerald, Tenera è la notte, introduzione e traduzione di Fernanda Pivano, Einaudi, Torino, 1975, p. 71-72

Selezione del brano, guida alla lettura e biografia a cura di Emanuela Aliquò

Guida alla lettura

Il brano proposto si colloca nell’orribile scenario della Grande Guerra – siamo in Francia, sei anni dopo la fine del conflitto – ed è incentrato sul tema del dolore causato dall’uomo; ma è anche un testo che parla di vita, di speranza, di sentimenti positivi.
La vicenda è quella di una ragazza americana che parte da casa per lasciare un ricordo sulla tomba del fratello, caduto in guerra in un Paese lontano, in un colloquio che presagiamo intimo e amoroso. La ragione del suo viaggio tuttavia viene meno, perché il numero della lapide comunicatole dal Ministero risulta errato e di fatto, di fronte a quel “mare di tombe”, lo sterminato cimitero di Verdun, la sua ricerca sarebbe interminabile e vana.
La vediamo così incerta di fronte al cancello, con il cuore affranto e il suo importante segno di affetto, sola e avvilita, mentre la pioggia cade sempre più impetuosa e il giorno declina. Tanta desolazione ci colpisce in profondità. Qualcuno però la vede e si avvicina: sono solo poche parole fra due sconosciuti, sufficienti però a creare una sintonia di emozioni e, per la ragazza, un significativo e inatteso momento di luce.
Il brano è desunto dal romanzo “Tenera è la notte”, pubblicato da Francis Scott Fitzgerald nel 1934 (il titolo è tratto da un verso dell’Ode all’usignolo di John Keats), ed è contenuto nel capitolo che racconta la visita che un gruppo di americani, fra cui il medico Dick Diver, fa dei luoghi della memoria.
Questa pagina, così bella e semplice nella sua essenzialità, contiene una grande ricchezza di significati e di insegnamenti. Emerge innanzitutto il valore dell’attenzione: quella somma virtù che si pratica nella sua pienezza quando l’oggetto o il soggetto di fronte a noi diventa unico e speciale, “come se non vi fosse nient’altro”, per usare le parole di Simone Weil, il cui pensiero sul tema ha lasciato un’impronta davvero indelebile. E’ per disattenzione che il Ministero commette l’errore di confondere il numero della lapide, con tutte le dolorose conseguenze che ne derivano. Per contro, è solo per attenzione che si è in grado di vedere veramente i bisogni di chi ci sta accanto e farci prossimi, e non passare oltre, a chiunque, in difficoltà, incroci la nostra strada.
E poi ci sono gli orrori della guerra e il valore delle lezioni della storia, una maestra di vita che troppo spesso trascuriamo; c’é l’influenza dei grandi poteri sulla vita concreta, intima e privata delle persone; c’è l’importanza della parola giusta che genera vita. Si può cogliere il senso profondo del dolore individuale innestato su quello collettivo, in un abbraccio solidale grande come il mondo, attraverso quel gesto simbolico e pacificatorio del deporre la corona su una tomba qualunque. E c’è, infine, la comunione tacita e misteriosa con le persone amate scomparse, che ci dà forza perché “forte come la morte è l’amore” (Cantico dei Cantici 8,6).
Poi salirono in macchina e ripartirono per Amiens. Una sottile pioggia calda cadeva sui nuovi boschi e sottoboschi stenti, e oltrepassarono grandi pire funerarie di cimelî: proiettili, bombe, granate, elmetti, baionette, calci di fucile e cuoio marcio abbandonati alla rinfusa per terra da sei anni. E improvvisamente, dietro a una curva, i bianchi coperchi di un gran mare di tombe. Dick chiese allo chauffeur di fermarsi.
– C’è quella ragazza; e ha ancora la corona.
Rimasero a guardarlo mentre scendeva e si avvicinava alla ragazza che stava incerta sul cancello con una corona in mano. Il taxi l’aspettava. Era del Tennessee e aveva i capelli rossi; l’avevano incontrata sul treno quel mattino, venuta da Knoxville a deporre un ricordo sulla tomba del fratello. Aveva sul viso lacrime di disperazione.
– Il Ministero della Guerra deve avermi dato un numero sbagliato, – balbettò. – C’era un altro nome. E’ dalle due che cerco, e c’è una tale quantità di tombe.
– Allora al vostro posto la poserei su una tomba qualunque, senza guardare il nome, – la consigliò Dick.
– Credete che debba fare così?
Credo che lui avrebbe voluto che faceste così.
Diventava buio e la pioggia aumentava. Lei lasciò la corona sulla prima tomba vicino al cancello, e seguì il consiglio di Dick di licenziare il taxi e ritornare ad Amiens con loro.

Biografia

Francis Scott Fitzgerald nasce nel 1896 a Saint Paul (Minnesota, USA), in una famiglia di origine irlandese. Sin dall’adolescenza, avverte il fascino del mondo della ricca aristocrazia del Sud, benché ne colga anche l’apatia e la corruzione. Frequenta l’università a Princeton, ma non termina gli studi. Nel 1917, all’entrata in guerra degli Stati Uniti, si arruola volontario.
Si sposa con Zelda Sayre nel 1920, non appena ottiene l’agiatezza economica e il successo grazie alla pubblicazione del primo libro, “This side of paradise” (Di qua dal Paradiso), una perfetta ricostruzione del sogno americano – fatto di ricchezza, bellezza ed esuberanza giovanile – messo crudamente a confronto con il senso di disagio e disorientamento provocato dalla prima guerra mondiale e dal crollo dei valori.
Fitzgerald si impone come simbolo della nuova generazione che, segnata dall’evento bellico, si abbandona a una spensieratezza dorata, a una vita fatta di emozioni e avventure (è questa la mitica “età del jazz”). Dopo un decennio vissuto intensamente fra New York, la Costa Azzurra e Parigi si ritrova ad affrontare la terribile crisi economica del 1929. Semialcolizzato, angosciato per i disturbi mentali della moglie, che sarà definitivamente internata in una clinica nel 1934, e preoccupato per l’educazione della figlia Frances, nata nel 1921, lo scrittore ha un tracollo nervoso dal quale riemerge dopo molti mesi.
Nel 1937 accetta di lavorare come sceneggiatore a Hollywood, riacquistando una certa tranquillità economica che gli consente di scrivere le ultime opere. Muore a Hollywood nel 1940, per un attacco cardiaco, mentre sta ultimando “Gli ultimi fuochi”.
Oltre al romando d’esordio, si ricordano di lui “Il grande Gatsby” (1925), suo capolavoro; “Tenera è la notte” (1934), considerato il momento più alto della sua lucida e disperata analisi della società americana e la cui trama, d’ispirazione autobiografica, s’incentra sulle vicende di un medico che esaurisce ogni sua energia nel tentativo di guarire la moglie-paziente Nicole; “Gli ultimi fuochi”, uscito postumo nel 1941 e che ha come protagonista il produttore Monroe Stahr; e numerose raccolte di racconti, fra cui “Racconti dell’età del jazz” e “Tutti i giovani tristi”.
È considerato uno dei maggiori narratori americani del Novecento.
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