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Una vita in solitudine

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03/06/2015

Tratto da:
Eugenio Montale, Tutte le poesie, Mondadori 2005

Guida alla lettura

Questa celebre lirica appartiene alla prima raccolta pubblicata da Eugenio Montale, “Ossi di seppia”. Il poeta trascorre il meriggio di una torrida giornata estiva passeggiando, assorto e stanco, lungo il muro di un orto. Le pietre sono roventi, le cicale friniscono, i merli intonano il loro canto, le serpi strisciano rapide e furtive, le formiche si affannano intorno ai loro nidi. Poco per volta, l’uomo si accorge come tutto il corso della vita sia simile a quel camminare lungo una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia, e che quindi non può essere scavalcata per andare incontro al mondo e agli altri.
Il mutamento di prospettiva avviene in modo quasi impercettibile: l’apparente compagnia della natura improvvisamente lascia il posto a un senso di profonda solitudine. Lo sgomento del poeta ricorda quello di Sylvia Plath, nella lirica “Sono verticale”: «Questa notte, sotto l’infinitesima luce delle stelle, / alberi e fiori vanno spargendo i loro freschi profumi. / Cammino in mezzo a loro, ma nessuno mi nota». E rispecchia una sensazione che coglie anche noi, quando di fronte alla caotica vita del mondo moderno e all’apparente abbondanza di relazioni ci scopriamo soli: soli nella normalità dei giorni tutti uguali, soli nelle gioie che talora ci sfiorano, soli nel dolore che ci colpisce lasciandoci senza respiro.
Lo stile, tipico dell’ermetismo, è ricco di immagini audaci (il poeta è pallido e pensoso, ma nel primo verso queste qualità vengono attribuire al meriggio, ossia alle ore intorno al mezzogiorno, quando la vita sembra fermarsi per la calura; le “scaglie di mare” evocano la parte schiumosa delle onde, che biancheggia alla luce del sole) e di parole rare e raffinate (la “veccia” è un’erba dei prati dai fiori violetti e rossicci, coltivata come biada; le “biche” sono i minuscoli mucchi di detriti che le formiche formano scavando nel terreno le loro intricate gallerie).
Come abbiamo ricordato in altra occasione, la raccolta “Ossi di seppia” uscì nel 1925 e si articola in otto sezioni: Movimenti, Poesie per Camillo Sbarbaro, Sarcofaghi, Altri versi, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi ed ombre. Fanno da cornice un’introduzione (In limine) e una conclusione (Riviere). Il titolo evoca i resti senza vita che le mareggiate abbandonano sulla spiaggia: in un’epoca in cui la poesia non sa più offrire una visione coerente della vita e del destino, le liriche – anche le più belle – giungono a noi come per caso, frutto di una momentanea ispirazione, sospinte da onde effimere e capricciose.
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Biografia

Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896. Si diploma in ragioneria, ma i suoi veri interessi sono letterari e filosofici. Durante la prima guerra mondiale, fa richiesta di essere inviato al fronte: verrà congedato nel 1920.
Nel 1925 sottoscrive il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Dal 1927 lavora come redattore presso l’editore Bemporad, a Firenze. Due anni dopo è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux, da cui sarà espulso nel 1938. Nel frattempo collabora alla rivista Solaria, frequenta Carlo Emilio Gadda e Elio Vittorini, e scrive per quasi tutte le riviste letterarie del tempo. Nel 1948 si trasferisce a Milano: collaboratore del Corriere della sera, si occupa di critica letteraria e musicale, e scrive reportage culturali da vari Paesi, fra cui il Medio Oriente.
Riceve tre lauree ad honorem (a Milano nel 1961, a Cambridge nel 1967 e a Roma nel 1974), la nomina a senatore a vita nel 1967 e il premio Nobel per la Letteratura nel 1975.
Muore a Milano il 12 settembre 1981: è sepolto nel cimitero della chiesa di San Felice a Ema, a sud di Firenze, accanto alla moglie Drusilla. Le sue più importanti raccolte poetiche sono “Ossi di seppia” (pubblicata nel 1925), “Le occasioni” (1939) e “La bufera” (1956). Le ultime opere includono “Xenia”, pubblicata nel 1966 e dedicata alla moglie, “Satura” (1971), “Diario del 71 e 72”.
Montale si colloca nella linea più ortodossa dell’ermetismo, ossia di quella corrente poetica del Novecento caratterizzata da tre atteggiamenti fondamentali: la ricerca della parola pura, essenziale, scarnificata, libera da nessi logici e discorsivi, e nella quale possano liberamente vibrare anche le cose non dette; l’uso di immagini analogiche, ma con nessi equivoci e difficili da decifrare; l’attenzione per il tono della parola-suono considerata in se stessa, avulsa da sviluppi melodici.
Fedele a questa impostazione, la sua poesia esprime sensazioni piuttosto che sentimenti; una visione delle cose assorta e perplessa; ma anche una sofferta coscienza del mondo e della vita.
Parole chiave di questo articolo
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