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Si può esistere non vivendo

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22/02/2012

Tratto da: Eugenio Montale, Il primo gennaio
In: Tutte le poesie (a cura di G. Zampa), Mondadori 1984

Guida alla lettura

Questi versi di Eugenio Montale, tratti da una più ampia lirica inclusa nella raccolta “Satura”, ritraggono con esemplare incisività l’esistenza priva di slanci di tanti uomini e tante donne di oggi, soprattutto fra i giovani. Ciascuna delle tre strofe sviluppa con efficacia un diverso aspetto del dramma: «vivere non esistendo», perché mai realmente veduti da alcuno, al punto che l’origine stessa dell’essere si confonde con una “quinta”, un ingannevole “fondale”; «esistere non vivendo», perché ogni colpo di vento strappa radici troppo poco profonde per poter germogliare; l’incapacità di porsi domande fondamentali, «il come – il dove – il perché», rassegnati al «non importa», come a una sentenza che annulla ogni possibilità di ricercare se stessi e, attraverso se stessi, gli altri e il senso della vita.
Va affermato con chiarezza: un’esistenza priva di vita è una resa che genera frustrazione e dolore, e prima o poi presenta un conto altissimo da pagare. Pensiamo al flagello della droga e dell’alcol, diffusi anche fra i più giovani, ma anche alla ristrettezza degli orizzonti culturali, alla povertà delle esperienze sociali e – in paradossale contrasto – alla promiscuità sessuale sempre più precoce, ostentata non di rado con triste euforia.
In un contesto così ferito dal non senso e dal non futuro, la scuola e la famiglia sono chiamate a ripensare, e a ritrovare, il loro naturale ruolo-guida. A questa urgenza ci richiama con forza una riflessione di Francesco Trisoglio (Fratel Enrico delle Scuole Cristiane), già docente di liceo e titolare della cattedra di “Storia della civiltà e della tradizione classica” all’Università di Torino: «Scuola e famiglia sono connesse da uno scambio educativo orizzontale reciproco. Entrambe debbono saper tracciare e tenere una rotta sicura, che non ceda ai flutti, non di rado prepotenti e minacciosi, delle mode e degli andazzi ispirati a un edonismo che alletta e distrugge. Debbono avere la sapienza di guardare lontano non sacrificando, a quanto piace sul momento, quanto costruisce la sana e vigorosa vita del futuro. Avere la forza virile di dire anche dei no, che saranno meglio accettati se conditi da un inequivocabile esempio. Agli studenti non si deve chiedere tanto l’approvazione di oggi, quanto quella di domani. Certe impennate ribelli, in fondo sono preghiere: non sono una forza che straripa, sono una debolezza spaventata che supplica sostegno. Non sono gl’impeti esuberanti che debbono inquietare; lo sono il disimpegno superficiale e la dissipazione delle doti; non sono le effervescenze giovanili che debbono impensierire, ma la disarmata inerzia d’impronta senile».
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone…
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente indisposta
al disponibile,
distratta rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze…

Biografia

Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896. Si diploma in ragioneria, ma i suoi veri interessi sono letterari e filosofici. Durante la prima guerra mondiale, fa richiesta di essere inviato al fronte: verrà congedato nel 1920.
Nel 1925 sottoscrive il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Dal 1927 lavora come redattore presso l’editore Bemporad, a Firenze. Due anni dopo è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux, da cui sarà espulso nel 1938. Nel frattempo collabora alla rivista Solaria, frequenta Carlo Emilio Gadda e Elio Vittorini, e scrive per quasi tutte le riviste letterarie del tempo. Nel 1948 si trasferisce a Milano: collaboratore del Corriere della sera, si occupa di critica letteraria e musicale, e scrive reportage culturali da vari Paesi, fra cui il Medio Oriente.
Riceve tre lauree ad honorem (a Milano nel 1961, a Cambridge nel 1967 e a Roma nel 1974), la nomina a senatore a vita nel 1967 e il premio Nobel per la Letteratura nel 1975.
Muore a Milano il 12 settembre 1981: è sepolto nel cimitero della chiesa di San Felice a Ema, a sud di Firenze, accanto alla moglie Drusilla. Le sue più importanti raccolte poetiche sono “Ossi di seppia” (pubblicata nel 1925), “Le occasioni” (1939) e “La bufera” (1956). Le ultime opere includono “Xenia”, pubblicata nel 1966 e dedicata alla moglie, “Satura” (1971), “Diario del 71 e 72”.
Montale si colloca nella linea più ortodossa dell’ermetismo, ossia di quella corrente poetica del Novecento caratterizzata da tre atteggiamenti fondamentali: la ricerca della parola pura, essenziale, scarnificata, libera da nessi logici e discorsivi, e nella quale possano liberamente vibrare anche le cose non dette; l’uso di immagini analogiche, ma con nessi equivoci e difficili da decifrare; l’attenzione per il tono della parola-suono considerata in se stessa, avulsa da sviluppi melodici.
Fedele a questa impostazione, la sua poesia esprime sensazioni piuttosto che sentimenti; una visione delle cose assorta e perplessa; ma anche una sofferta coscienza del mondo e della vita.
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