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Ospitalità, uno spazio libero e amico

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20/06/2012

Tratto da:
Henri Jozef-Machiel Nouwen, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Queriniana, Brescia 1980, p. 65-66
In: Comunità Monastica di Bose (a cura di), Letture dei giorni, Piemme, Casale Monferrato 1994, pag. 587-588

Guida alla lettura

Questa riflessione di Henri Nouwen, presbitero olandese impegnato nell’assistenza ai disabili, si presta a molteplici letture caratterizzate da un interrogativo comune: come possiamo vivere senza far soffrire gli altri, e soffrire a nostra volta, per l’irriducibile diversità che li contraddistingue da noi?
Il primo piano interpretativo, di estrema attualità, riguarda i rapporti con lo straniero tout court, non di rado spinto nelle nostre terre dalla fame, dalle malattie, dalla guerra. Essere ospitali, in questo caso, non significa imporre le nostre scelte di vita, ma offrire uno spazio amico in cui l’altro possa autonomamente realizzare se stesso e le proprie aspirazioni. Solo uno spazio siffatto libera lo straniero e noi stessi da una relazione intessuta di tensione e di paura, e attenua in definitiva il quotidiano dolore di vivere.
Un secondo piano di lettura concerne i rapporti fra genitori e figli, insegnanti e allievi, e persino fra partner di coppia: tutte situazioni in cui un malinteso senso d’amore e di sollecitudine potrebbe spingerci lungo la strada infernale della pressione indebita sulle grandi scelte della vita – lo studio, il lavoro, i valori in cui credere e per cui combattere. Ospitalità, in questo caso, significa «dischiudere un’ampia gamma di opzioni per una scelta e un impegno», perché ognuno «possa seguire la propria via e non quella del padre o della madre o del vicino di casa». Anche in questo caso, l’opzione per la libertà produce scelte vitali e disinnesca la logica della tensione: basti pensare a quante vite vengono vissute come copioni imposti dagli altri, con strascichi di rancore duri a morire; e come al contrario, alla radice di un’esistenza ben riuscita, ci sia spesso una coraggiosa presa di distanza nei confronti delle invadenti aspettative altrui.
Chiudiamo con una breve nota a proposito di Henry David Thoreau, citato da Nouwen al termine del brano. Thoreau nacque nel 1817 e morì nel 1862 a Concord (Massachusetts, Stati Uniti). Filosofo e scrittore, fu uno dei rappresentanti più autorevoli della corrente del trascendentalismo, un movimento di pensiero caratterizzato da un radicale rifiuto del razionalismo e da un’esaltazione dell’individuo nei suoi rapporti con la natura: motivi che in definitiva possono ricondursi alla “weltanschauung” romantica, anche se il trascendentalismo rivendicava con forza l’originalità della cultura americana nei confronti di quella europea. Thoreau è noto per lo scritto autobiografico “Walden, ovvero La vita nei boschi”, da cui è tratta la citazione di Nouwen, e il saggio “Disobbedienza civile”, in cui sostiene che è lecito non rispettare le leggi quando esse vanno contro la coscienza e i diritti dell’uomo: per questo Thoreau è considerato uno dei padri del concetto giuridico di limite, alla base del costituzionalismo novecentesco. L’opera fu apprezzata anche da Gandhi e Martin Luther King, che vi si ispirarono per l’elaborazione del principio della non-violenza.
Ospitalità significa principalmente creazione di uno spazio libero dove lo straniero possa entrare per diventare amico anziché nemico. Ospitalità non significa mutare le persone ma offrire loro uno spazio dove il mutamento possa avvenire. Non significa trasportare uomini e donne dalla nostra parte, ma offrire loro una libertà scevra da fastidiose linee di demarcazione. Non significa incastrare il prossimo in un angolo dove non esistano più alternative, ma dischiudere un’ampia gamma di opzioni per una scelta e un impegno. Non è una cortese intimidazione operata per mezzo di buoni libri, buone storie e buone opere, bensì una liberazione di cuori che temono, affinché le parole mettano radici e diano frutti copiosi. Non è un metodo per fare del nostro Dio, della nostra strada, dei criteri di felicità ma l’offerta di un’occasione perché gli altri trovino il loro Dio, la loro strada.
Il paradosso dell’ospitalità consiste nel fatto che essa vuol creare il vuoto, non un vuoto pauroso ma un vuoto amico, in cui gli stranieri entrino e scoprano se stessi come creature libere; libere di cantare le loro canzoni, di parlare la loro lingua, di danzare le loro danze; liberi anche di andarsene per seguire la loro vocazione. L’ospitalità non è un invito subdolo ad adottare il modo di vivere di chi ospita, ma il dono di un’opportunità in cui l’invitato possa trovarne uno proprio.
Thoreau [1817-1862] ci offre un bell’esempio di tale atteggiamento: «A nessun costo vorrei che qualcuno adottasse il mio stile di vita; perché – a parte il fatto che prima che egli lo abbia imparato bene io potrei averne scoperto un altro – io desidero che nel mondo vi siano il maggior numero possibile di persone differenti; vorrei però che ciascuna di loro stesse bene attenta a trovare e seguire la sua propria via e non quella del padre o della madre o del vicino di casa» [Henry David Thoreau, “Walden, ovvero La vita nei boschi”, 1854].

Biografia

Henri Jozef-Machiel Nouwen (1932-1996) è stato un sacerdote cattolico olandese, autore di apprezzate opere sulla vita spirituale. Nel corso della sua intensa attività, ha tenuto numerose conferenze presso le università statunitensi di Notre Dame (Indiana), Harvard, Yale, e presso il Seminario Teologico dell’Ontario, in Canada.
Le riflessioni sulla compassione e sull’aiuto a chi soffre nascono in modo particolare dall’esperienza di pastore della comunità “L’Arche” di Toronto (Canada), che fa parte di una rete di oltre 130 centri sparsi in tutto il mondo: in essi, i disabili condividono ogni aspetto della vita quotidiana con le persone che li assistono.
Afflitto da gravi e ricorrenti crisi depressive, ha sempre cercato di conciliare il male di cui soffriva con la propria fede. Il suo pensiero teologico è oggi considerato uno dei più profondi espressi dal Cattolicesimo nel secolo scorso.
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