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Oltre il Natale, la vera solidarietà verso chi soffre

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15/01/2014

Tratto da: Enzo Bianchi, Niente ori nella natività dei credenti, La Stampa, 22 dicembre 2013

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questo articolo, che solo in apparenza proponiamo “fuori tempo massimo”, Enzo Bianchi riflette sul valore che il Natale assume in tempi di crisi economica, sociale e morale; invita a considerare che cosa rappresenti questa festa per un cristianesimo autentico e maturo; e lancia una sfida che possiamo cogliere in ogni tempo dell’anno, perché è un appello alla nostra umanità più profonda.
Due gli snodi fondamentali della riflessione. Innanzitutto, la consapevolezza che il Natale del 2013 sia stato diverso da molti altri del passato, perché dominato dalla poca fiducia, dalla mancanza di speranza, dalla povertà che colpisce tante famiglie. Una situazione di sofferenza diffusa che lo stesso clima di festa contribuisce in molti casi ad aggravare, perché è proprio in momenti come questo che la solitudine, l’assenza di prospettive, la fatica di vivere si fanno ancora più acute e dolorose.
Secondo: il Natale, memoria della «nascita di un bambino da una coppia povera, una famiglia in viaggio, per la quale non c’era posto neanche nel caravanserraglio» dovrebbe richiamare con forza i cristiani alla solidarietà e alla condivisione, perché i buoni sentimenti non rimangano confinati nella magia del presepe o nella liturgia della notte santa. Non occorre assumere grandi iniziative, avverte Bianchi: è sufficiente trovare il tempo per guardare il volto di chi soffre, e allora le azioni e le parole verranno da sole, perché «non siamo cattivi, siamo distratti, siamo in fuga, abbiamo fretta e non abbiamo tempo di fermarci». In questo dovrebbe stare la forza di un cristiano vero, e anche di tutte le persone di buona volontà che, pur non credendo in una dimensione soprannaturale dell’esistenza, sentono nel proprio cuore l’urgenza etica di un mondo più giusto.
Bisogna però vincere quella che Bianchi chiama con efficacia la “presbiopia” della carità, quel difetto dell’occhio interiore che ci fa solidarizzare con i poveri lontani, e molto meno con quelli che abbiamo vicini. Chiede Bianchi con franchezza: «A Natale nutriamo sentimenti ideali verso “il povero bambino al freddo e al gelo”, ma poi riconosciamo chi è nel bisogno e abita magari nel nostro stesso palazzo, sullo stesso pianerottolo o nelle case vicine?».
L’augurio che facciamo per il nuovo anno alle nostre lettrici e ai nostri lettori, qualunque sia la loro idea sul senso della vita, è di trovare la capacità di mettere a fuoco le situazioni di sofferenza che si trovano a portata di mano, per incidere positivamente sulla vita di chi soffre (e sulla propria), e tornare così «ad avere fiducia gli uni negli altri, a sperare insieme per tutti».
Anche questo sarà un Natale nella crisi, aggravata dal crescere della disoccupazione. Per molti, soprattutto giovani, non c’è lavoro, per altri è diventato difficile arrivare alla fine del mese con il proprio salario. E per molti pensionati la situazione è segnata da penuria e grave povertà. Non tutti lo vedono, ma lo sanno molto bene quelle iniziative o istituzioni caritative che hanno visto aumentare le fila di quanti cercano un pasto caldo o “mendicano” pane, latte, pasta, un po’ di formaggio, qualche scatoletta di cibo...
Ma, aspetto ancor più preoccupante, in questo Natale domina la poca fiducia, la mancanza di speranza, e in alcuni cova una rabbia che a volte sembra pronta a esplodere nella violenza e nella voglia di dare una lezione a quanti sono ritenuti responsabili della situazione, nella rivalsa verso quelli che continuano a non patire la crisi, mostrando uno stile di vita lussuoso e arrogante. Certo, si mangerà il panettone, perché anche questo è distribuito e donato ai poveri, ma in molti cuori non ci sarà quella gioia che noi tutti immaginiamo collegata con questa festa, e addirittura per alcuni questa festa aggraverà la fatica e la sofferenza, come a volte accade quando i sofferenti vedono la gioia degli altri.
Essere consapevoli di questa “realtà” dovrebbe renderci particolarmente responsabili – soprattutto se non siamo feriti in modo grave dalla crisi – verso quanti sono nel bisogno. Non è necessario assumere grandi iniziative: basta che, usciti di casa, ci fermiamo a guardare negli occhi, volto contro volto, quelli che soffrono; basta che, conoscendo quella particolare famiglia nel bisogno, andiamo a trovarla rendendola prossima: allora il nostro cuore, le nostre viscere di compassione, ci detteranno il comportamento, ci ispireranno cosa condividere, cosa gratuitamente donare. Noi uomini e donne non siamo cattivi: siamo distratti, siamo in fuga, abbiamo fretta e non abbiamo tempo di fermarci.
Ma se avessimo la forza di fare questo, cioè di incontrare e guardare negli occhi chi è nel bisogno, sapremmo cosa fare e avremmo il coraggio, la spinta per farlo. Conosceremmo, soprattutto a Natale, la festa dello scambio dei doni, scopriremmo che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, e il nostro dono gratuito innescherebbe una dinamica feconda in virtù della quale chi ha ricevuto dona a sua volta.
D’altronde il presepio che troviamo qua e là nelle piazze o nelle chiese, o quello che noi stessi costruiamo nelle nostre case, che cosa ci narra? La nascita di un bambino da una coppia povera, una famiglia in viaggio, per la quale non c’era posto neanche nel caravanserraglio. Eppure verso quella grotta, verso quel neonato arrivano tanti poveri: pastori, donne di casa, abitanti dei villaggi, e arrivano con doni per il bambino povero, in fasce, che ha per culla una mangiatoia di stalla. È dunque il presepio che ci invita a fare altrettanto.
Se ci piace vederlo, contemplarlo, se lo costruiamo per essere in festa, allora si tratta di rifare lo stesso movimento: andare verso chi ha bisogno e gratuitamente donare a chi non può contraccambiaci. E poi per i cristiani il presepio diventa profezia. Quel bambino nella mangiatoia, infatti, ha anche detto, quale Messia e Giudice: «Tutto ciò che avete fatto a uno di questi poveri che sono miei e vostri fratelli, l’avete fatto a me».
Ma sappiamo discernere il povero nei poveri concreti, che sono accanto a noi? A Natale cantiamo Gesù povero, nutriamo sentimenti ideali verso “il povero bambino al freddo e al gelo”, ma poi riconosciamo chi è nel bisogno e abita magari nel nostro stesso palazzo, sullo stesso pianerottolo o nelle case vicine? Noi siamo facilmente attratti dalla “carità presbite”, quella carità che ama chi sta lontano e lo fa stare lontano, ma non amiamo il povero accanto a noi, in casa nostra, in vera relazione con noi.
Per questo la crisi economica, che prima di tutto è sociale, culturale e soprattutto etica, dovrebbe essere un’occasione per vivere in modo diverso, in modo semplicemente più umano e umanizzante, la nostra vita sociale. Natale, con la sua tradizione, il suo messaggio, può interpellarci e aiutarci a compiere passi concreti, in modo da conoscere una convivenza migliore e cominciare così ad avere fiducia gli uni negli altri, a sperare insieme per tutti. Quando ero ancora un bambino, nell’immediato dopoguerra (ed era un tempo di crisi, anzi di miseria!), il giorno di Natale a tavola si riservavano un piatto e una sedia nel caso si presentasse un povero per festeggiare. Era il segno che si era pronti a condividere quel poco che c’era: avere a tavola qualcuno arrivato come una sorpresa accresceva la festa…
Chissà se qualcuno la notte di Natale sentirà una predica come questa fatta da san Girolamo: «Noi oggi, con la scusa di onorare il Cristo, abbiamo eliminato la sporcizia delle stalle per sostituirla con oro e argento, ma per me è molto più prezioso quello che abbiamo tolto. Oro e argento si addicono ai potenti, ai ricchi, ma a chi crede in Cristo si addice di più quella stalla di terra battuta. Chi è nato nella stalla non vuole né oro né argento!».

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Parole chiave di questo articolo
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