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Non so dove i gabbiani trovino pace

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27/07/2011

Vincenzo Cardarelli, Gabbiani. In: Opere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1981

Guida alla lettura

In questa delicata lirica, Vincenzo Cardarelli sviluppa una malinconica similitudine fra la propria vita, inquieta e senza riposo, e quella dei gabbiani, “in perpetuo volo”. La semplicità dello stile e la schiettezza dei sentimenti ne fanno una pagina eloquente anche per noi: da che cosa nasce infatti tanta dolorosa inquietudine di oggi, specialmente fra i giovani, se non dalla difficoltà di trovare pace, e soprattutto di vivere la vita in modo non superficiale, ma assaporandone in profondità la bellezza e la ricchezza?
La vita non va “sfiorata”, come il poeta dice di sé e come i gabbiani fanno con l’acqua alla ricerca del cibo. Una vita in cui il tempo sia solo quella forza divoratrice che gli antichi Greci chiamavano “chrónos” – l’impassibile trascorrere dei giorni, sfuggenti come sabbia fra le dita – non è una vera vita: al massimo, è sopravvivenza. Ciò di cui tutti abbiamo bisogno è invece il “kairós”, il tempo propizio, il tempo che è insieme sfida e opportunità: ma coglierlo è nostro compito, e richiede un costante sforzo di ascolto e conoscenza di se stessi, un’intelligenza vigile e aperta, una cultura vasta e profonda.
Il momento del riposo estivo può essere, da questo punto di vista, particolarmente proficuo: per leggere o rileggere un libro che ci ha colpito, per approfondire una materia che ci affascina, per pensare con calma al futuro che ci attende, a partire dall’autunno ormai imminente. L’augurio che rivolgiamo a tutti, e soprattutto ai giovani, è quindi di cogliere – fra le tante suggestioni della vacanza – anche questa opportunità.
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina:
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

Biografia

Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome era Nazzareno Caldarelli, nasce a Corneto Tarquinia (l’attuale Tarquinia, in provincia di Viterbo), nel 1887. Figlio illegittimo, compie studi irregolari, da autodidatta: suoi costanti punti di riferimento saranno Leopardi, Baudelaire, Nietzsche, Pascal.
A diciassette anni fugge di casa e si trasferisce a Roma. Nel 1906, dopo una lunga gavetta come correttore di bozze, diviene redattore del quotidiano “Avanti!”, iniziando una multiforme carriera giornalistica.
Durante la prima guerra mondiale si reca in Toscana, Veneto e Lombardia. Dopo il conflitto rientra a Roma e con altri intellettuali fonda nel 1919 la rivista letteraria “La Ronda”, che si propone di conciliare classicismo e modernità, propugnando un ideale dell’arte come disciplina: «La poesia profonda – afferma Cardarelli stesso nel manifesto programmatico – è poesia meditata: solo un lungo raccoglimento e un aspro sforzo interiore precedono e preparano la nascite di opere durature».
Poeta di integrale e intransigente classicismo leopardiano, Cardarelli è ricordato per numerose liriche e prose autobiografiche. La prima e forse migliore raccolta di versi è “Prologhi” (1916), cui fanno seguito “Viaggi nel tempo” (1920), “Favole della genesi” (1924), “Terra genitrice” (1925), “Il sole a picco” (1929) e “Parole all’orecchio” (1930), che raccoglie le pagine scritte per “La ronda”, poi ristampate in “Parliamo all’Italia” (1931). Le ultime opere escono nel secondo dopoguerra: “Lettere non spedite” (1947), “Villa Tarantola” (1948) e le impressioni di “Viaggio di un poeta in Russia”, che rielaborano ricordi del 1928.
Cardarelli muore a Roma nel 1959, povero e dimenticato: fu e volle essere sempre un solitario, senza legami sentimentali, senza famiglia, senza neppure una casa. Non ebbe incarichi universitari, non fondò scuole: e rimase un “solitario in Arcadia”, come afferma il titolo di un suo libro del 1947.
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