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Tre le fasi in cui la musica è rilevante per la donna che attende un figlio: prima, durante e dopo il parto. E sempre la musica “parla” contemporaneamente alla madre e al bambino. Gli effetti rilassanti si trasmettono infatti al feto, che poi – dopo la nascita – ricorderà le melodie ascoltate nella “notte uterina”, rispondendo con particolare prontezza alle loro suggestioni di dolcezza e serenità. Durante il parto, poi, la musica «serve a favorire la distensione e la calma, così da permettere alla donna di gestire meglio il dolore, diminuendo il panico e riducendo la richiesta di analgesici e antidolorifici».
Nell’ultima parte dell’articolo, Lorena Guerra accenna agli altri impieghi della musicoterapia: la cura di malattie oncologiche e neuropsichiatriche, di patologie degenerative quali la demenza di Alzheimer e il morbo di Parkinson, ma anche la rianimazione nei pazienti in stato di coma e il loro successivo recupero fisioterapico sono tutti campi che possono beneficiare dell’influsso fisico, emotivo e relazionale della musica, ossia di quella capacità “psicagogica” di cui già parlò Platone e che contribuì a fare di quest’arte splendida uno dei capisaldi più rilevanti della nostra cultura.
«L’orecchio umano, desideroso di ascoltare, prepara l’ambiente sin dai primi giorni della concezione»: con questa frase Alfred Tomatis, nel suo libro “L’orecchio e la vita”, ci fa capire fin da subito come siano importanti le esperienze fetali di tipo sonoro-musicale, su cui fondare le basi di quel processo comunicativo-relazionale che il bambino dovrà intraprendere subito dopo la nascita.
Nell’ambiente intrauterino, infatti, il feto è in grado di percepire sia i messaggi sonori che provengono dal corpo materno, come il battito cardiaco, la frequenza respiratoria, i borborigmi gastro-intestinali, sia i vari suoni provenienti dall’ambiente esterno, quali le voci umane e la musica. Proprio quell’orecchio umano di cui parla Tomatis permette quindi, sin dall’ambiente intrauterino, l’attivazione tra madre e feto di un intimo gioco del conoscersi e del riconoscersi, tramite sonorità elettive che potranno essere indispensabili al neonato per ritrovare quel clima di assoluta protezione che ha caratterizzato i mesi della sua vita prenatale.
E’ indubbio infatti che il piccolo, una volta venuto alla luce, prediligerà la voce materna che lo aveva intrattenuto nel corso della gravidanza, riconoscendone il timbro, le inflessioni e la ritmicità che la caratterizzano, e predisponendosi di conseguenza, egli stesso, ai processi comunicativi che sono parte di ogni contesto sociale. Ecco quindi che il feto prima, e il neonato poi, hanno modo di creare una continuità affettiva tra vita intra ed extrauterina, affidandosi proprio a quella vocalità materna percepita sin dalle origini come fonte vibratoria ipersensibile. Per aver prova di ciò è sufficiente riflettere sul gesto forse più istintivo per una neomamma, ovvero quello di cullare il proprio piccolo intonando dolcemente una ninna nanna con cui ella, inconsciamente, è in grado di ridonare al neonato il piacere di quella prima danza che ogni essere umano effettua nel liquido amniotico, risonando per simpatia, come ci conferma lo stesso principio della fisica acustica, sulle frequenze della voce materna.
A questo punto è facile intuire come una madre sana, serena e positiva avrà più possibilità di inviare al feto onde sonore altrettanto “positive”, perché queste non si deformeranno incontrando masse muscolari rigide e ipertese. Al contrario, una madre ansiosa e tesa tenderà a trasmettere il medesimo stato di contrazione ovvero, come si intuisce dal termine stesso, una “azione contraria” all’armonioso sviluppo del feto stesso. Inoltre, le emozioni fondamentali come paura, rabbia, oppure felicità e tristezza, non agiscono solo sul rilassamento e/o la contrazione delle masse muscolari, ma stimolano le ghiandole endocrine a secernere varie sostanze (adrenalina, acetilcolina, endorfine) che potranno giungere al feto tramite il cordone ombelicale.
Ecco dunque come specifiche attività musicali, sapientemente utilizzate, possono aiutare la gestante a vivere nel migliore dei modi una delle esperienze più “calde”, dal punto di vista emotivo, nella vita di una donna, favorendo nel contempo l’instaurarsi di un sano rapporto nell’ambito della triade madre-feto-neonato. Inoltre, particolari tecniche di respirazione e vocalizzazione apprese durante le attività di musicoterapia possono essere un valido supporto alla donna nella gestione del dolore durante il travaglio e il parto, rendendola attenta e capace a riconoscere e gestire i segnali che provengono dal suo corpo o dal suo bambino.
Il canto prenatale, come ci testimoniano gli studi di psicofonia effettuati dalla cantante Maria Luisa Aucher in collaborazione con Paul Cauchard, neurofisiologo alla Sorbona, investe interamente il corpo del feto e, nel contempo, la respirazione distesa influenza positivamente il tono muscolare della gestante, che risulta quindi meno contratto. Alla psicofonia si affianca l’uso spontaneo della voce come mezzo di comunicazione degli stati affettivi materni: ad esempio, la semplice ricerca di ninne nanne permette ai genitori di scoprire un proprio modo sonoro di rivolgersi al nascituro, iniziando quindi a prendersi cura di lui.
Altro punto fondamentale è l’ascolto musicale che, durante la gestazione, rilassa, distende, favorisce il contenimento dell’ansia ed evoca immagini positive che possono essere rievocate con le medesime musiche durante il travaglio, fra una contrazione e l’altra, nella prima fase dello stesso, per aiutare la donna a rigenerare le forze.
Anche il movimento sulla musica, nelle sedute di musicoterapia in preparazione al parto, aiuta la futura mamma a prendere maggiore confidenza con ogni distretto del suo corpo: distende, migliora la circolazione sanguigna nelle gambe e offre indirettamente al feto una sorta di massaggio.
Da sperimentare è anche l’uso di strumenti musicali appartenenti allo strumentario Orff [strumenti a percussione ritmici e melodici, N.d.R.], molto semplici nell’utilizzo anche senza conoscenze musicali, con i quali si può cercare di esprimere il proprio ritmo interiore, il che consente anche una sorta di dialogo suono-movimento con il feto stesso.
E’ proprio in sala parto che l’ascolto musicale viene consigliato anche dai medici soprattutto per le primipare, nelle quali l’ansia e la paura potrebbero influire negativamente sulle dinamiche che contraddistinguono tale momento. Esperienze australiane confermano per esempio che l’ascolto della musica serve a favorire la distensione e la calma, così da permettere alla donna di gestire meglio il dolore, diminuendo il panico e riducendo la richiesta di analgesici e antidolorifici. Come è noto, poi, una mamma che abbia avuto un parto il più possibile sereno sarà meglio disposta sin dai primi attimi a impegnarsi nell’allattamento e nella cura del neonato, a differenza dell’atteggiamento dimostrato da donne che abbiano affrontato un parto doloroso. In tale percorso sono naturalmente da tenere in considerazione anche i gusti musicali e la provenienza geografica della gestante, precostituendo assieme a lei un elenco di “musiche del cuore” che abbiano il potere di rievocare momenti positivi.
La musicoterapia in gravidanza, attiva o recettiva, diviene così una modalità d’intervento multifattoriale poiché coinvolge elementi fisici, emotivi e relazionali, ponendosi come obiettivo primario la facilitazione del rapporto madre-bambino. Inoltre la musica ascoltata in gravidanza sarà un utile strumento che i genitori avranno per calmare e favorire il sonno del piccolo, che di certo avrà memoria del contesto sonoro-musicale che lo ha accompagnato nella “notte uterina”.
Ovviamente queste tecniche musicoterapiche possono essere utilizzate non solo in gravidanza e nel parto, ma in tutte le situazione ove è determinante il recupero di un rilassamento psico-fisico e del tono muscolare, utile a una miglior gestione del dolore in fase di terapia e all’accelerazione dei tempi di recupero: questo avviene anche nell’ambito di patologie femminili complesse e diffuse, come la vestibolite vulvare o la vulvodinia.
Quello che ho illustrato è solo uno dei campi applicativi della musicoterapia: essa può affiancare altre forme di trattamento medico, per esempio in ambito neuropsichiatrico e oncologico, in patologie degenerative quali la demenza di Alzheimer e il morbo di Parkinson, nella rianimazione nei pazienti in stato di coma e nel recupero fisioterapico che ne potrebbe seguire.
Non dobbiamo dimenticare infine che, nonostante tale forma di “arte-terapia” sia ancora molto giovane, essa ha radici ben lontane nella storia: lo stesso Platone affermava infatti che «la migliore educazione scaturisce dalla musica, perché l’armonia e il ritmo penetrano nel più profondo dell’anima e se ne impossessano, donando a colui che ne beneficia saggezza e ragione».
Bibliografia
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- Bruscia Kennet E., Definire la musicoterapia, percorso epistemologico di una disciplina e di una professione, Edizioni Gli Archetti, Ismez, 1993
- Manarolo Gerardo, Manuale di musicoterapia. Teoria, Metodo e Applicazioni della musicoterapia, Edizioni Cosmopolis, 2006
- Orff Gertrud, Musicoterapia Orff, Cittadella Editrice, 2005
- Postacchini Pier Luigi, Ricciotti Andrea, Borghesi Massimo, Musicoterapia, Carocci Editore, 2001
- Postacchini Pier Luigi, In viaggio attraverso la Musicoterapia. Scritti di Musicoterapia, Edizioni Cosmopolis, 2006
- Ricci Bitti Pio Enrico, Regolazione delle emozioni e arti-terapie, Carocci Editore, 1998
- Schön Daniele, Akiva-Kabiri Lilach, Vecchi Tomaso, Psicologia della musica, Carocci Editore, 2009
- Spaccazocchi Maurizio, Musica in sé, Edizioni QuattroVenti, 2002
- Spaccazocchi Maurizio, La musica e la pelle, Franco Angeli Edizioni, 2004