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Maria Maddalena, l'amore sconfigge la morte

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23/04/2014

Tratto da: Enzo Bianchi, Maddalena, l’amore sconfigge la morte, La Stampa, 31 marzo 2002

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questa intensa e vibrante riflessione sugli avvenimenti successivi alla morte e resurrezione di Gesù, Enzo Bianchi – priore di Bose – tratteggia la personalità e il ruolo di Maria di Magdala, nota alla tradizione come “Maddalena”: una donna che Cristo aveva guarita da “sette demoni” e che – contro ogni consuetudine del tempo – aveva iniziato a seguire il Maestro sulle strade della Palestina. La narrazione di Bianchi è, come sempre, molto scorrevole e chiara: ci limitiamo quindi a evidenziarne alcuni punti salienti, che per motivi diversi ci insegnano qualcosa di importante (o di problematico) sulle relazioni fra uomo e donna, sui rapporti umani in generale, e sul senso ultimo della nostra vita.
Innanzitutto: le prime persone ad annunciare la scomparsa del cadavere di Gesù, e la sconvolgente verità della sua resurrezione, sono state le donne che lo seguivano insieme ai discepoli. Un dato che – Bianchi lo sottolinea senza riserve – è stato ben presto dimenticato dalla tradizione cristiana, e che meriterebbe di essere ripreso in un’epoca come la nostra, in cui è vivo il dibattito sul sacerdozio femminile.
In secondo luogo: alla cattura di Gesù tutti i discepoli fuggono. E alla sua morte assistono in lacrime solo le donne, con quella «fedeltà testarda», quella capacità di legami profondi, quell’amore viscerale che solo loro sanno manifestare. Dai Vangeli emerge quindi, senza censure, la donna come paradigma di fedeltà anche nelle situazioni più fosche e drammatiche, quando tutto sembra perduto.
Terzo: l’adesione di Maria Maddalena a Gesù non è il frutto di un’ideologia, ma di un amore dato e ricevuto. Anzi: prima di tutto ricevuto, e poi ricambiato con tutto il cuore. E che fosse un amore personale, e non il proselitismo, ad animare il rapporto fra Cristo e Maria, lo dimostra un particolare commovente: di fronte alla tomba vuota, la Maddalena incontra Gesù e lo scambia per il custode del giardino; solo quando lui la chiama per nome – ossia fa appello alla sua umanità più autentica e profonda – lei lo riconosce, e l’angoscia si stempera finalmente nella gioia (cfr. Gv 20,14-16).
Infine, la vicenda di Maria ci racconta ancora oggi che l’amore può vincere la morte, e questo è davvero un messaggio che può rispondere alle attese di tutte le persone di buona volontà, credenti e laiche. Tutti noi vorremmo che la nostra esistenza avesse un senso più profondo di quanto non garantiscano i beni materiali, il denaro, il successo: questo senso lo possiamo trovare nell’amore che diamo e che accettiamo di ricevere, e ciò può davvero affermare la vita sulle forze di disgregazione del male e della morte.
All’alba del primo giorno della settimana, il nove aprile dell’anno 30 della nostra era, alcune donne, discepole del rabbi e profeta Gesù di Nazareth – e tra di esse Maria, la cui provenienza da Magdala, piccola borgata della Galilea, le darà il nome di Maddalena – annunciano per prime che Gesù è risorto da morte. Sì, ben presto la tradizione cristiana lo ha dimenticato, ma tutti i Vangeli sono concordi nell’affermare che sono state le donne discepole ad avere il coraggio e la forza di dire l’indicibile, di credere l’incredibile, di gridare contro tutti, compresi gli undici discepoli, che Gesù non era più preda della morte ma era vivente. E, tra di esse, proprio la Maddalena è nominata in tutti i Vangeli con un ruolo primario in quell’evento che sarà il fondamento della chiesa attraverso tutti i secoli fino a oggi. Come, infatti, dirà Paolo: «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede e noi cristiani saremmo i più miserabili tra tutti gli uomini» (1Cor 15,14.19).
Ma chi era Maria Maddalena, e come giunse a quel grido «Cristo è risorto da morte»? Secondo il Vangelo di Luca, era una donna dal passato devastato: era stata liberata da sette demoni proprio nell’incontro con Gesù. Secondo la religiosità popolare di allora, il demonio poteva entrare in una persona, possederla e provocare gravi turbe psichiche: per dirla con il linguaggio odierno, avveniva una distruzione della personalità che rendeva l’individuo incapace di stabilire relazioni con gli altri e con Dio. Questa, secondo Luca (8,2), la situazione in cui si trovava la Maddalena. L’incontro con Gesù significò per lei ristabilimento della comunicazione e inizio di una nuova vita: subito cominciò a seguire Gesù da discepola. Fatto scandaloso perché contrario a tutte le consuetudini giudaiche: «Un rabbi – diceva la tradizione – non deve insegnare alle donne neppure la Torah, perché sarebbe come insegnarle cose impure». Ma Gesù è un rabbi “diverso” e al suo seguito, in quella comunità itinerante, ci sono – evento assolutamente inedito – dodici uomini e mezza dozzina di donne. I Vangeli non dicono altro su questa insolita sequela: sarà la tradizione a identificare la Maddalena con la prostituta che aveva lavato i piedi di Gesù con le proprie lacrime e li aveva asciugati con i suoi capelli, una donna perdonata «perché ha molto amato». Ma i Vangeli sono concordi nel testimoniare che, nell’ora della morte di Gesù, queste donne sono presenti all’esecuzione. Si tengono a distanza, ma vogliono “vedere” quella morte del loro amato maestro e profeta, vogliono mostrargli una vicinanza con quella capacità femminile di discernere l’amato anche nel suo corpo: fedeltà testarda, legame profondo, viscerale, amore per la carne di Gesù, amore che solo le donne sanno nutrire e testimoniare. Quell’uomo appeso a una croce per loro non era un’idea, non una causa giusta, ma Gesù di Nazareth, colui che le aveva coinvolte nella sua vita e che esse amavano. Per Maria Maddalena quella morte violenta, ignominiosa, appariva come la catastrofe: era stato lui a destare in lei la sua vera identità, lui a ridarle dignità, lui a colmare di senso la sua vita. E ora, eccolo condannato, ucciso con violenza e infamia, appeso al legno come un maledetto da Dio e dagli uomini.
Così, alla morte di Gesù, lei e le altre donne ne seguono la sepoltura da “piangenti” e rimangono là, davanti alla tomba chiusa a guardare, con l’amore e il dolore che impediscono loro di staccarsi da lui. Al tramonto di quel 7 aprile, inizia il sabato, giorno carico di un silenzio di paura e di angoscia. I discepoli era tutti fuggiti, Pietro aveva addirittura rinnegato Gesù, e loro, le donne discepole? Ritornano con la morte nel cuore al luogo in cui soggiornavano in quei giorni pasquali a Gerusalemme: l’osservanza del sabato le strappa alla vicinanza fisica a Gesù morto e sepolto. Attendono che passi il giorno del santo riposo per tornare alla tomba. Ma a fare che? A visitare la tomba? A vedere il sepolcro? A ungere di profumo il cadavere di Gesù? Forse, ma soprattutto a stare nuovamente accanto a lui. Così, prima che giunga l’alba del terzo giorno dalla morte, quand’è ancora buio, si recano al sepolcro... Ed ecco, una novità sconvolgente le attende: la pietra che chiudeva l’accesso alla tomba è rotolata via e la tomba è vuota!
Il Vangelo di Giovanni indugia nel narrare come Maria di Magdala arrivò a svelare che Gesù era risorto. Maria vede la tomba vuota e, spaventata, corre da Pietro e dal discepolo amato per riferire che qualcuno ha trafugato il corpo di Gesù. Per amore era andata alla tomba ma qualcuno le ha portato via il suo Signore! Sì, il suo, perché lo amava e si era sentita amata. Parole che agli altri parvero allucinazioni, parole non credute, eppure così cariche di amore da provocare un’altra corsa, quella di Pietro e del discepolo amato al sepolcro. Costoro, però, tornano a casa con la bocca chiusa, non sanno cosa dire: in loro, a differenza delle donne, non c’è gioia (cf. Mt 28,8), né spavento (cf. Mc 16,7-8), né stupore (cf. Lc 24,12). Ma lei, Maria, resta là e piange: piange perché ha perduto Gesù e ora neppure il suo cadavere è accessibile alla sua affettività. Ma perché Gesù morto non è più nel sepolcro? L’unica cosa certa è questa scomparsa: l’hanno rubato? Perché il non senso di una tomba vuota? Ed ecco una parola che risuona e indica un senso, una risposta. Poco importa se a pronunciarla, secondo i diversi racconti, è un angelo, un giovane raggiante, due angeli o due uomini come Mosè ed Elia, il significato è unico e inequivocabile: «Voi cercate Gesù il Crocifisso? Non è qui, è risorto da morte!». La vita è più forte della morte, l’amore ha sconfitto la morte e Dio ha resuscitato Gesù! E Maria di Magdala, che piange e persevera nella ricerca del corpo morto di Gesù, Maria che ha perso colui che l’aveva salvata, sente una voce che la chiama per nome: «Maria!». Quella voce che le aveva ridato la vita... E’ lui: Maria gli si getta ai piedi, li abbraccia, li bacia ed esclama: «Mio rabbi, mio maestro!».
L’amore che sembrava sconfitto e negato è vittorioso: è l’unica forza che neppure la morte riesce a sconfiggere. Di questo la Maddalena è “apostola”, testimone, evangelizzatrice e corre a gridare a tutti i discepoli: «Gesù è risorto e vivente, è veramente risorto!». Ecco la prima festa di Pasqua, ma la corsa gioiosa di Maria continua anche oggi, anche oggi risuona per tutti quella parola che è lieto annunzio per l’umanità intera, evangelo di cui ogni cristiano deve divenire testimone in mezzo ai suoi fratelli gli uomini tutti: Gesù è risorto, la morte è vinta, l’amore è più forte.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Parole chiave di questo articolo
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