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La mia storia si chiama "aurora"

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10/10/2008

Le vostre lettere alla nostra redazione

La mia storia porta davvero il mio nome, Aurora, come una rinascita a testimonianza che non bisogna mai, dico mai, a nessuna età, darsi per vinti, ma lottare per un obiettivo, perchè solo così esso diventerà raggiungibile!
Ho 45 anni, da piccola ho vissuto un’infanzia difficile: da un lato, la severità estrema dei miei genitori, la loro paura di vedermi sbocciare e crescere anche sessualmente; dall’altro, lo specchio della sofferenza fisica di mio fratello emofilico, col quale vivevo in “simbiosi”, e per il quale ho patito tanto, anche per essere sempre stata messa in secondo piano perchè tanto io ero “sana come un pesce”. Queste esperienze hanno fatto crescere in me un intenso rifiuto di maternità, una paura inconscia della gravidanza, come se si trattasse di una situazione di non ritorno di fronte alla quale non avrei potuto trovare alcuna via di uscita...
Sono cresciuta in fretta, riccamente imbottita di valori morali, ma con una marea di sensi di colpa... Ma il dolore fisico, intenso, insopportabile, l’ho conosciuto con l’arrivo delle mestruazioni. Mia madre mi portò da un ginecologo che non diagnosticò nulla di particolare. Le mie amiche mi dicevano che stavano male anche loro, ma io vedevo che non era la stessa cosa. E poi c’era l’altro aspetto, quella paura della penetrazione che mi ha portato a sposarmi, dopo sette anni di fidanzamento, senza mai avere avuto rapporti completi, con l’illusione creata dal mio inconscio di aver seguito una scelta etica arrivando al matrimonio ancora vergine.
Abbiamo imparato a conoscerci, ad amarci, a rispettarci, a crescere insieme, a coltivare interessi comuni, ad amare la natura... Tutto ciò ci ha mantenuto uniti, pur non riuscendo ad avere rapporti neanche dopo il matrimonio: al semplice contatto dei genitali sentivo un muro, come se da lì non potesse entrare niente. E più lui cercava di penetrarmi, pur con dolcezza, più io avvertivo un bruciore intenso, mi ritraevo, mi veniva il sudore freddo... In questo modo, alimentavo la sua eiaculazione precoce, quasi a dire “così finisce tutto e non ti faccio più male”.
La vergogna, l’imbarazzo di raccontare un problema così anomalo ci ha portato a cercare aiuto alla cieca, prima da uno psicologo, poi in un consultorio familiare, lontani da casa, per cui spese buttate al vento, energie e tempo sprecato... E intanto accusavo altri malesseri fisici: difficoltà ad andare di corpo, forti dolori all’addome... Alla fine ci siamo rivolti a un radiologo, che ha riscontrato la presenza di cisti ovariche. Andai dal ginecologo portandomi una maglietta di ricambio, perchè la visita, anche se fatta solo con un dito, fu molto sofferta e sudai letteralmente sette camicie. Costretta a dichiarare la mia verginità, mi sentii dire (giuro): “Ma non ti piace il membro? Quando sei con tuo marito devi lasciarti andare!”. A parole era facile... Cambiai ginecologo, e trovai una persona comprensiva e competente, che finalmente mi fece sentire protetta. Mi diagnosticò un’endometriosi severa, e riuscì a visitarmi con la sonda endovaginale, e infinita pazienza.
Seguì un primo intervento chirurgico alle ovaie, per eliminare le cisti. Fu un’opera d’arte, tuttora ne conservo il filmato: il chirurgo eliminò tutti i focolai e miracolosamente, pur nello stato avanzato della malattia, risultò che le tube erano libere e integre. Quindi, almeno potenzialmente, avrei potuto tentare una gravidanza. Ma come? Io mi sentivo diversa dalle altre, incapace di vivere il mio corpo e di farlo vivere al mio compagno. Soffrivo ancora di forti dolori alla schiena, non riuscivo ad andare di corpo, faticavo ad ogni passo come se avessi un cordone teso fra l’ano e la schiena: faticavo nel sedermi, a stare sdraiata, sempre, e sul lavoro mi facevo quasi violenza, per fingere anche con me stessa che quella situazione fosse la normalità.
Dopo soli 18 mesi seguì il secondo intervento, assai più delicato. Era il 1997, avevo 35 anni. Dopo una colonscopia, un clisma opaco, una rettoscopia, l’iniziale sospetto di un tumore all’intestino lasciò il posto a diagnosi di endometriosi del sigma, e fui di nuovo operata.
Dopo questa ennesima prova, vissuta solo con mio marito, lontano dal nostro paesino, lasciando all’oscuro i nostri genitori presi da altri loro problemi, per non farli preoccupare, dopo aver vissuto le ansie e le paure, le speranze, il sentirci ancora più uniti di prima... avremmo tanto voluto un figlio tutto nostro, al quale trasferire la gioia di vivere che nonostante tutto vedevamo anche in un fiore, nelle foglie d’autunno, in un tramonto, nel cielo stellato...
Così iniziò il calvario per la fecondazione assistita, presso il centro di una grande città, dove – ahimé – scoprii che eravamo tutti dei numeri, trattati con protocolli uguali. Dopo ben cinque cicli di tentativi, diluiti nel tempo, dove abbiamo lasciato illusioni, lacrime, e tanta parte di nostri risparmi, capimmo che gli interventi chirurgici di asportazione delle cisti avevano irrimediabilmente compromesso il patrimonio follicolare delle mie ovaie. Così abbiamo deciso di dire basta, perchè gli anni passano, e ritenevamo che non è etico accanirsi a tutti i costi pur di avere un figlio, e diventare per lui nonni al posto di genitori.
Nel frattempo il ginecologo che mi aveva seguita, assistita, incoraggiata, curata, è mancato per una malattia in breve tempo. Lui aveva curato soprattutto l’aspetto medico, tralasciando quello psicologico e sessuale perchè non rientrava nella sua competenza: ma era riuscito comunque a trasmettermi la forza di lottare anche per ottenere altri obiettivi, e ora che mi sentivo finalmente bene fisicamente ero pronta per affrontare anche quest’ultima battaglia. Un giorno tirai fuori dal comodino un pezzo di giornale con la foto e il recapito di una dottoressa, che avevo conservato per anni come un santino. Era l’ottobre del 2007, quando mi ritrovai con mio marito nella sua sala di aspetto, desiderosa di affrontare il nostro problema per risolverlo una volta per tutte: ero sicura che ce l’avrei messa tutta. In quello studio abbiamo trovato il nostro “angelo”. La dottoressa ci ha spiegato che il dolore che rendeva impossibile la penetrazione era stato innescato dall’endometriosi stessa, e poi si era mantenuto nel tempo a causa della contrattura difensiva dei miei muscoli pelvici. Ma soprattutto mi sono sentita capita nella realtà fisica del mio dolore. Così è nata la nostra “alleanza” terapeutica: lei mi ha dato fiducia, e io ho seguito fedelmente e costantemente le sue indicazioni, la cura farmacologica e gli esercizi di rilassamento a casa. All’inizio provavo ansia ed angoscia, ma sapevo di dover andare avanti. Mi prendevo il mio tempo, respiravo profondamente rilassandomi ad ogni espirazione. Ogni volta mi imponevo di raggiungere almeno il risultato già ottenuto nell’esercizio precedente, mai andare indietro, e pensavo “se ce l’ho fatta una volta...”. Così poco per volta sono migliorata, fino a quel giorno magnifico, la scorsa estate, in cui – dopo neppure un anno di terapia, ma ben 23 anni di matrimonio – io e mio marito abbiamo avuto il primo rapporto! Una gioia incontenibile, un traguardo che ormai sembrava irraggiungibile!
Abbiamo avuto fiducia nella persona giusta, e oggi mi sento una donna diversa: più sicura di me stressa, guardo la vita con occhi più gioiosi. Certo, non abbiamo un figlio nostro... ma ci dedichiamo ai bambini che hanno bisogno: una goccia nell’oceano, il nostro piccolo aiuto, ma è sempre meglio dell’indifferenza. E anche grazie a questi “nostri” bambini, quel qualcosa di grande che mancava ancora tra noi, lo abbiamo finalmente fatto nostro!
Aurora B.
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