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La fede del cristiano, sottile dialettica della tragicità e della speranza

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06/11/2013

Liberamente tratto da: Xavier Thévenot, Avanza su acque profonde!, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI), 2001, p. 119-120

Si ringrazia l’editore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Come può un cristiano conciliare la fede nella resurrezione e nella vita eterna con la consapevolezza del male che assedia il mondo e la conseguente urgenza della compassione? Come può muoversi fra speranza e dolore, senza che la prima diventi ottimismo cieco e superficiale, e il secondo sconforto senza luce? Come può, per dirla con Bonhoeffer, guardare al cielo senza smettere di pensare alla cose della terra, e non cedere all’orgoglio e alla disperazione, doppio inganno dello spirito umano?
Xavier Thévenot, sacerdote e teologo, lo spiega con semplicità in questa breve riflessione: Cristo risorto richiama sempre l’attenzione alle piaghe impresse nel suo corpo, un corpo che però è ormai “glorioso”, ossia sottratto al potere della morte. Questa coesistenza di piaghe e di gloria, da un lato, rappresenta con plastica evidenza la vittoria di Cristo sul male, ma sottolinea anche come il male non passi mai senza conseguenze, e come nessuno al mondo possa sperare di non essere in qualche modo trasformato dal dolore, dalla violenza e dall’ingiustizia.
Questa tensione – che Thévenot definisce “gioiosa”, ma non certo distensiva in senso psicologico – è ciò che impedisce di «costruire la propria storia in una folle speranza che potrebbe far dimenticare l’infelicità degli uomini», ma anche di «lasciarsi paralizzare dall’eccesso di male nel mondo». Solo con un atteggiamento di questo tipo, contro ogni illusione e ogni nichilismo, il cristiano (e in ultima analisi ogni persona di cuore) può abitare lo spazio e le relazioni facendosi davvero veicolo di condivisione e amore.
I racconti di apparizione del Risorto, contro tutte le aspettative dell’inconscio che aspira sempre a ritrovare l’integrità perduta, presentano con insistenza un corpo di Gesù risorto non ricostituito nella sua bellezza originale, ma segnato dalle piaghe della passione. L’apostolo Tommaso, ad esempio, è invitato a guardare e a toccare le ferite del suo Signore e suo Dio (cf. Gv 20,27-28). Certo, con sottolineature del genere gli evangelisti intendono probabilmente accentuare il fatto che il Risorto è davvero quell’uomo, Gesù di Nazareth, che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato. Ma mi sembra legittimo leggervi anche uno speciale insegnamento su come debba crescere la nostra speranza in Cristo.
Infatti, questi racconti fanno uso di una sottile dialettica della tragicità e della speranza. Della tragicità: proprio quando i discepoli potrebbero essere pienamente nella gioia, dato che si vedono comparire innanzi Gesù tornato alla vita, ecco che il Risorto attira la loro attenzione sulle sue piaghe, cioè sull’ingiusta violenza di cui è stato vittima. Della speranza: quando i discepoli, alla vista delle terribili tracce della passione, potrebbero sprofondare in un senso di colpa morboso, ecco che l’apparizione del Signore che ha vinto il potere della morte fa loro comprendere che l’esistenza terrena non ha come fine il nulla, ma la vita nella comunione con Dio…
Essere testimoni della resurrezione significa dunque essere guidati all’assunzione di una tensione gioiosa. Quando, animato dal piacere di vivere, rischio di costruire la mia storia in una “folle” speranza che potrebbe farmi dimenticare l’infelicità degli uomini, Cristo mi richiama alla mia responsabilità: «Ricordati del mio corpo torturato a causa del peccato del mondo, e la tua fede in me non ti distolga dalla lotta dell’amore e dal perdono offerto ai tuoi fratelli». Quando al contrario, paralizzato dall’eccesso di male nel mondo, mi lascio andare alla disperazione, Cristo risveglia la mia fede: «Ricordati del mattino di Pasqua, e confida nella mia promessa di cieli nuovi e di una terra nuova». Credo che si tratti davvero di una tensione gioiosa. Il che mi ricorda come la gioia evangelica non si trovi sempre sul versante della distensione psichica.

Biografia

Xavier Thévenot (1938-2004), sacerdote francese, è stato salesiano di Don Bosco e professore di teologia morale all’Istituto Cattolico di Parigi. Affetto per oltre 20 anni dal morbo di Parkinson, ha scritto pagine dense e sofferte sulla propria esperienza di malattia.
Thévenot amava definire la morale come «ciò a cui gli uomini si obbligano quando vogliono conferire un senso alla propria vita» e come «un insieme di regole e di valori che ci consentono di trovare a poco a poco, e liberamente, cammini di umanizzazione e di felicità».
Teologo di fama internazionale, capace di parlare della morale senza cadere nel moralismo, Thévenot ha contribuito a dimostrare come sia possibile riflettere sulla realtà e assumere decisioni responsabili anche quando il bene e il male sembrano essere inestricabilmente legati.
Parole chiave di questo articolo
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